La lite temeraria è regolata dall'art. 96 c.p.c.
Di seguito si riportano alcune massime di giurisprudenza sulla lite temeraria.
Nel procedimento innanzi al giudice di pace, quando una controversia abbia ad oggetto un credito contenuto nei limiti del giudizio di equità, la relativa sentenza è impugnabile - secondo il regime processuale anteriore all'entrata in vigore del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, nella specie applicabile "ratione temporis" - con il ricorso per cassazione e non con l'appello, senza che assuma rilievo il fatto che sia stata avanzata domanda riconvenzionale di condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., perché essa attiene al regolamento delle spese processuali senza incidere sul valore della controversia, che resta contenuto nel limite entro il quale il giudice di pace decide secondo equità, ai sensi dell'art. 113, secondo comma, c.p.c., con conseguente ricorribilità della decisione di primo grado direttamente in cassazione.
Cass., massima sentenza n. 8197 del 04.04.2013
In tema di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all'equa riparazione di cui all'art. 2 della legge 24 marzo 2001, n. 89, spetta indipendentemente dall'esito del processo presupposto, ad eccezione del caso in cui il soccombente, consapevole dell'inconsistenza delle proprie istanze, abbia proposto una lite temeraria, difettando in questi casi la stessa condizione soggettiva di incertezza e, dunque, elidendosi il presupposto dello stato di disagio e sofferenza; ne consegue che, proposta una pretesa verso la P.A., nella specie derivante da rapporti di pubblico impiego per il periodo anteriore al 30 giugno 1998, ancora avanti al giudice amministrativo, secondo la competenza in via esclusiva mantenuta dall'art. 45 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80, solo per le domande presentate, a pena di decadenza, entro il 15 settembre 2000, il predetto indennizzo compete alla parte che abbia agito anche oltre tale termine, sussistendo, ancora, all'epoca della presentazione della domanda, il dubbio interpretativo sulla portata, se solo processuale ovvero anche sostanziale, di tale preclusione, i cui effetti sostanziali sono stati esplicitati solamente dall'art. 69 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, secondo una lettura di legittimità costituzionale oggetto delle pronunce nn. 213 del 26 maggio 2005, 382 del 7 ottobre 2005 e 197 dell'11 maggio 2006 della Corte costituzionale.
Cass., massima sentenza n. 10500 del 12.05.2011
Ai fini della decorrenza della prescrizione triennale prevista in materia di assicurazione contro le malattie professionali dall'art. 112 del D.P.R. n. 1124 del 1965, la consapevolezza dell'esistenza della malattia e della sua origine professionale si può ragionevolmente presumere sussistente alla data della domanda amministrativa, atteso che, senza di essa, l'istanza sarebbe palesemente infondata e pretestuosa e la successiva domanda, per il riconoscimento giudiziale del beneficio, potrebbe comportare l'insorgenza della responsabilità per le spese "ex" art. 152 disp. att. c.p.c., per lite temeraria; per converso, in ordine al requisito del raggiungimento del minimo indennizzabile, l'opinione personale dell'interessato è assolutamente irrilevante, dipendendo da un accertamento tecnico complesso suscettibile di divergenze valutative e di giudizi anche diametralmente opposti da parte di medici esperti della materia.
Cass., Sez. Lav., massima sent. n. 23110 del 10.12.2004
In caso di violazione del termine di durata ragionevole del processo, il diritto all'equa riparazione ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89 spetta a tutte le parti del processo, attori o convenuti, indipendentemente dal fatto che esse siano risultate vittoriose o soccombenti, l'esito favorevole del processo non essendo, di regola, condizione di azionabilità della pretesa indennitaria, salvi i casi di abuso del processo, configurabile allorquando risulti che il soccombente abbia promosso una lite temeraria o abbia artatamente resistito in giudizio al solo fine di perseguire, con tattiche processuali di varia natura, il perfezionamento della fattispecie di cui all'art. 2 della citata legge n. 89 del 2001.
Cass., massima sentenza n. 3410 del 07.03.2003
La condanna ad una somma equitativamente determinata a danno della parte soccombente ex art. 96, comma 3, c.p.c. può essere disposta d'ufficio. Non vi è poi alternatività ma cumulabilità tra la condanna alle spese richiamata e la responsabilità da "lite temeraria" ex art. 96, comma 1, c.p.c.. Pertanto, il giudice può pronunciare condanna per entrambe le disposizioni, dovendo comunque evitare duplicazioni risarcitorie.
Cass., massima sentenza n. 4926 del 27.02.2013
Chiunque, nonostante una sentenza di sfavore passata in giudicato, riproponga la medesima domanda giudiziale, con lo stesso oggetto e verso lo stesso convenuto, deve essere condannato d'ufficio, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c., per lite temeraria.
Trib. Trento, sentenza del 07.03.2013
Sussiste la giurisdizione tributaria per la c.d. condanna da "lite temeraria", che può essere disposta dal giudice qualora sia dimostrato che la parte soccombente abbia agito con mala fede o colpa grave. Si tratta, infatti, di una responsabilità di natura diversa da quella aquiliana di cui all'art. 2043 c.c. (per la quale permane la giurisdizione ordinaria), posto che risulta strettamente connessa all'atto impugnato, che costituisce l'oggetto del processo tributario, e deve essere decisa dal giudice che esamina il merito della causa in cui si verifica il danno. Tale conclusione vale per tutte le responsabilità contenute nell'art. 96 c.p.c., quindi anche per la condanna che il giudice può infliggere alle parti, relativa alla corresponsione, all'altra parte, di una somma equitativamente determinata. Infine, si deve intendere in senso estensivo il concetto di responsabilità processuale, comprensivo anche, cioè, della fase amministrativa che, qualora ricorrano i predetti requisiti, ha dato luogo alla esigenza di instaurare un processo ingiusto.
Cassazione massima sentenza n. 13899 del 03.06.2013
In tema di responsabilità aggravata per lite temeraria, che ha natura extracontrattuale, la domanda di cui all'art. 96, primo comma, c.p.c. richiede pur sempre la prova, incombente sulla parte istante, sia dell'"an" e sia del "quantum debeatur",o comunque postula che, pur essendo la liquidazione effettuabile di ufficio, tali elementi siano in concreto desumibili dagli atti di causa.
Cass. massima sentenza n. 9080 del 15.04.2013
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