Cassazione sentenza n. 22513/2013
OMISSIS
Svolgimento del processo
1. L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Puglia indicata in epigrafe, con la quale, in parziale accoglimento dell'appello dell'Ufficio, è stato in parte annullato l'avviso di accertamento emesso, per IRPEG ed ILOR dell'anno 1990, nei confronti della C. s.r.l..
In particolare, per quanto qui ancora interessa, in relazione al recupero a tassazione di oneri pluriennali per L. 73.199.864, il giudice a quo, premesso di ritenere legittima tale ripresa, ha tuttavia rilevato che l'Ufficio aveva proceduto all'accertamento dei precedenti esercizi 1988 e 1989, nulla osservando in merito alla patrimonializzazione dei costi ed alla loro esclusione dal conto economico per tali anni, per poi disconoscerli nel momento in cui ha determinato il reddito per il 1990; ha, quindi, concluso nel senso che l'Ufficio "dovrà, nella rideterminazione del reddito 1990, tenere presente gli effetti che la mancata imputazione a conto economico dei componenti negativi di reddito in esame - a seguito della loro patrimonializzazione - ha generato negli anni 1988 e 1989.
A seguito di tanto, nel caso in cui tale imputazione dovesse generare una perdita per gli anni da ultimo indicati, tenere presente le conseguenze di tali perdite sulla determinazione del reddito 1990".
2. La società contribuente resiste con controricorso.
Motivi della decisione
1. Premesso che il ricorso investe unicamente il terzo capo della sentenza, relativo al sopra menzionato recupero di oneri pluriennali pari a L.. 73.199.864, il primo motivo, con il quale si denuncia la violazione dell'art. 346 c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, in quanto il giudice a quo avrebbe deciso su questione prospettata dalla contribuente in primo grado, ma non riproposta in appello, è inammissibile per difetto di autosufficienza, non avendo la ricorrente fornito elementi testuali idonei a consentire a questa Corte di valutare la fondatezza della censura.
2. Con il secondo motivo, denunciando la violazione dell'art. 112 c.p.c., e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, la ricorrente censura la sentenza impugnata per extrapetizione, avendo il giudice, nell'ambito di una controversia concernente un avviso di accertamento per l'anno 1990, statuito in ordine ai risultati di esercizio e alla liquidazione delle imposte relativi ad esercizi pregressi.
Con il terzo motivo, infine, è dedotta la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 42, poichè il giudice ha imposto all'Ufficio di accertare la deduzione di costi non dichiarati, violando il principio in base al quale l'Ufficio non può accertare l'esistenza di costi deducibili non dichiarati dal contribuente.
I motivi, da esaminare congiuntamente per intima connessione, sono fondati.
Con la statuizione riportata in narrativa, infatti, il giudice d'appello ha finito con l'estendere illegittimamente la propria cognizione, in violazione del principio generale di autonomia di ciascun periodo d'imposta e della natura impugnatoria del processo tributario (il cui ambito è circoscritto allo specifico atto impugnato nei limiti dei vizi denunciati), alla determinazione del reddito di anni anteriori a quello oggetto di controversia, facendone refluire gli effetti su quest'ultimo. Inoltre, è stato anche violato il consolidato principio secondo cui è onere del contribuente e non dell'ufficio finanziario provare l'esistenza di costi deducibili, trattandosi di una componente negativa del reddito la cui effettività deve essere dimostrata dal contribuente tramite la contabilità di cui egli, e non l'ufficio, dispone (Cass. n. 7867 del 1997 e, da ult., Cass. n. 7701 del 2013).
3. In conclusione, vanno accolti il secondo e il terzo motivo e dichiarato inammissibile il primo; la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito, dichiarando legittimo il recupero a tassazione di oneri pluriennali pari a L. 73.199.864.
4. Mentre sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese dei gradi di merito, quelle relative al presente giudizio di cassazione seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo e il terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, dichiara legittimo il recupero a tassazione di oneri pluriennali pari a L. 73.199.864.
Compensa le spese dei gradi di merito e condanna la controricorrente alle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2013.
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