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Cognome del padre - interesse esclusivo del minore

Secondo la sentenza in commento qualora il padre, che ha legittimato per provvedimento del giudice il figlio naturale successivamente alla madre, chieda di attribuirgli il proprio cognome, trova applicazione analogica l'art. 262 c.c.; pertanto, dovrà valutarsi l'interesse esclusivo del minore, avuto riguardo al diritto del medesimo alla propria identità personale fino a quel momento posseduta nell'ambiente in cui è vissuto, anche con riferimento alla famiglia in cui è cresciuto, nonché ad ogni altro elemento di valutazione suggerito dalla fattispecie, esclusa ogni automaticità.

Cass. sentenza n. 6098/2001
OMISSIS

Svolgimento del processo

Con ricorso depositato in data 12 novembre 1996 presso la cancelleria del Tribunale per i Minorenni di Salerno S. M., premesso che:

- da un relazione con A. De I. era nato in Salerno il 22 maggio 1990 un bambino al quale era stato imposto il nome di Simone e che aveva assunto il cognome della madre in quanto inizialmente solo da lei riconosciuto;

- a seguito del riconoscimento da parte sua del minore con dichiarazione resa avanti all'Ufficiale di Stato Civile, il Tribunale per i Minorenni di Salerno da lui adito attribuiva al minore medesimo il cognome di M. con provvedimento del 16 ottobre 1995 confermato dalla Corte di Appello con decreto depositato il 5 marzo 1996;

chiedeva che venisse concessa la legittimazione del figlio Simone, precisando che la propria moglie A. S. era disposta a manifestare il suo consenso al riguardo.

Si costituiva la De I., la quale deduceva che precedentemente, in data 10 ottobre 1995, aveva essa stessa esercitato l'azione di legittimazione del figlio, azione che la Corte d'Appello di Salerno, in riforma della decisione di primo grado, aveva accolto con sentenza del 13 marzo 1997, attribuendo al minore il cognome della legittimante De I. in sostituzione del cognome M.. Si opponeva quindi alla domanda, sostenendo che la legittimazione non rispondeva agli interessi del figlio che era stato allevato dalla madre sin dalla nascita, mentre il padre non aveva mai corrisposto alcuna somma per il suo mantenimento.

Riassunto il giudizio a seguito di interruzione, la De I. proponeva domanda riconvenzionale chiedendo che il M., in caso di accoglimento della domanda di legittimazione, venisse condA.to al pagamento di un assegno di mantenimento per il figlio con decorrenza dal 22 maggio 1990.

Con sentenza del 5 giugno 1998 il Tribunale per i Minorenni, preso atto del consenso prestato dalla moglie del M., concedeva la legittimazione del figlio naturale Simone, attribuendogli il cognome M., e rigettava la domanda riconvenzionale perché tardivamente proposta.

La De I. proponeva impugnazione ed all'esito del giudizio, nel quale si costituiva anche il M., la Corte d'Appello di Salerno con sentenza dell'8 febbraio-22 maggio 2000 la rigettava.

Relativamente alle questioni che sarebbero state prospettate poi avanti a questa Corte, rilevava la Corte d'Appello che non poteva essere condiviso l'assunto dell'appellante, secondo cui l'attribuzione al minore del cognome del padre a seguito della legittimazione non conseguirebbe automaticamente ma potrebbe essere disposta solo quando risponda all'interesse del figlio.

Osservava al riguardo che, comportando la legittimazione lo "status" di figlio legittimo, una delle conseguenze era costituita proprio dall'assunzione del cognome corrispondente a tale "status" che nel caso specifico, stante la legittimazione anche della madre, era quello del padre, come previsto da una serie di norme sia del codice civile (artt. 6, 236, 237 e 290 c.c.) che dell'Ordinamento dello Stato Civile (artt. 70-73 del R.D. n. 1238 del 1939), da cui si desume l'automatica attribuzione in casi del genere del cognome del padre, non consentendo la legge alcuna valutazione di sorta da parte del giudice.

Ribadiva infine la tardività della domanda riconvenzionale proposta solo nel corso del giudizio, quando ormai la causa era matura per la decisione, precisando che nessun potere d'ufficio era dalla legge attribuito al giudice.

Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione A. De I., in proprio e nella qualità di esercente la patria potestà sul minore Simone, deducendo due motivi di censura illustrati anche con memoria.

Resiste con controricorso S. M. che eccepisce preliminarmente l'inammissibilità del ricorso e propone anche ricorso incidentale affidato ad un unico motivo illustrato anch'esso con memoria.

Motivi della decisione

Pregiudizialmente i due ricorsi, il principale e l'incidentale, vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c., riguardando la stessa sentenza.

Del pari pregiudizialmente vanno esaminate le due eccezioni di inammissibilità del ricorso principale dedotte con il controricorso.

Quanto alla prima - riguardante la notifica del ricorso effettuata nei confronti del Procuratore Generale della Corte d'Appello anziché al Procuratore Generale presso il giudice "ad quem" - va in primo luogo precisato che in ogni caso, anche qualora non si ritenesse valida una tale notifica, non conseguirebbe l'inammissibilità del ricorso ma se ne dovrebbe disporre tutt'al più la rinnovazione.

Orbene, in relazione alla sua validità, giova osserva che l'obbligatorietà di tale notifica discende dalla natura della controversia per consentire al P.M. di esercitare, come prevede l'art. 288, comma 3, c.c., il potere, di cui è titolare, di proporre impugnazione, potere da considerarsi esteso anche alla fase successiva avanti alla Corte di Cassazione.

A tal fine la notifica non può che essere effettuata quindi, come è avvenuto, nei confronti del Procuratore Generale presso la Corte d'Appello, investito di tale potere e non già del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione che ne è invece sprovvisto.

Relativamente poi all'ulteriore rilievo con cui è stata evidenziata l'erronea individuazione dell'ufficio, risultando la notifica avvenuta presso il Tribunale anziché presso la Corte d'Appello, trattasi all'evidenza di una mera improprietà in quanto effettuata al Procuratore Generale e cioè al P.M. presso la Corte d'Appello.

Del tutto infondata è infine la seconda eccezione d'inammissibilità con cui si sostiene la mancanza nei motivi di ricorso dei requisiti di "specificità, completezza e riferibilità" alla decisione impugnata, in violazione dell'art. 366 c.p.c., risultando chiaramente dal ricorso il contenuto dei vari motivi di censura e la loro stretta relazione con le ragioni poste a sostegno della decisione.

Con il primo motivo del ricorso principale A. De I. denuncia violazione degli artt. 261, 250, 143, 147, 148 c.c. e dell'art. 30 Cost. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c., lamentando che la Corte d'Appello non abbia provveduto d'ufficio ad assicurare al minore un assegno di mantenimento con decorrenza dalla nascita.

La censura è infondata, dovendosi escludere il potere del giudice di provvedere d'ufficio al riconoscimento ed alla determinazione della somma da versare a titolo di mantenimento al minore nell'ambito del procedimento di legittimazione di cui agli artt. 280 c.c. e segg.

Gli obblighi di natura patrimoniale che ne conseguono assumono infatti una loro autonomia e richiedono quindi per la loro liquidazione un'espressa richiesta da parte dell'avente diritto. Correttamente pertanto la Corte d'Appello non ha ritenuto di accogliere la domanda in quanto formulata tardivamente nel corso del giudizio di primo grado.

Con il secondo motivo la ricorrente principale denuncia violazione degli artt. 280, 284, 290 c.c.; degli artt. 70-73 del R.D. n. 1238 del 1939 e degli artt. 236 e 237 c.c. in relazione all'art. 360, n. 3, c.p.c. Dopo aver premesso che il minore si era visto attribuire per ben quattro volte il cognome, deduce la ricorrente che, sebbene ad esso debba comunemente riconoscersi, secondo l'interpretazione della Corte Costituzionale, una duplice funzione, l'una privatistica intesa come strumento identificativo della persona e l'altra di ordine pubblico come mezzo di tutela della famiglia per consentire ai membri di essere identificati come appartenenti al nucleo, deve convenirsi che nell'ipotesi di figlio legittimato, allorché manchi una famiglia legittima da tutelare, l'unica esigenza da considerare è quella privatistica, nell'ambito della quale diviene insopprimibile ed inviolabile il diritto all'identità, verificandosi del resto diversamente un inconciliabile contrasto fra l'art. 262 c.c. - che consente, nella lettura datane dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 297 del 1996, al figlio di mantenere il proprio cognome, qualora sia divenuto segno distintivo della personalità, e di aggiungere o di anteporre, a sua scelta, quello del genitore che lo ha riconosciuto - e gli artt. 280-284 c.c. che tale interesse del minore non tutelerebbe in caso di legittimazione. Sostiene altresì che, essendo il cognome, quale segno identificativo dell'individuo, costituzionalmente tutelato, una legittimazione che comporti un suo tardivo cambiamento non può non violare una tale tutela (artt. 2 e 22 Cost.), sottraendo diritti già acquisiti, senza considerare che, applicando il cognome del padre automaticamente a seguito della legittimazione del minore, la Corte d'Appello ha violato il principio della parità fra uomo e donna sancito anche dalla Convenzione della Donna sulla eliminazione di ogni forma di discriminazione adottata a New York il 18 dicembre 1979.

La censura, riguardante la statuizione relativa all'attribuzione automatica al minore del cognome del padre che ne ha chiesto ed ottenuto, sia pure successivamente alla madre, la legittimazione, è fondata nei limiti che saranno qui di seguito precisati.

Le disposizioni del codice civile in materia di legittimazione dei figli naturali (artt. 280-290), sia che essa avvenga per susseguente matrimonio dei genitori ovvero, come nel caso in esame, per provvedimento del giudice, nulla prevedono al riguardo, cosi come nulla dispone l'ordinamento di stato civile (R.D. 9 luglio 1939 n. 1238), con la conseguenza che compete all'interprete colmare il vuoto attraverso un'analisi sistematica della disciplina del nome e delle sue finalità anche con riferimento ad istituti affini.

A tal fine non può essere trascurata la giurisprudenza della Corte Costituzionale che più volte e sotto diversi aspetti ha avuto modo di pronunciarsi sul cognome da attribuire al figlio e di cui è necessario seguirne lo sviluppo.

Con una prima ordinanza ha dichiarato infatti manifestamente inammissibile la questione basata sulla pretesa dei genitori di imporre al figlio legittimo entrambi i loro cognomi anziché attribuire il solo cognome paterno (come presupposto da "una norma implicita nel sistema del codice civile"), argomentando che verrebbe pregiudicato gravemente in tal caso l'interesse alla conservazione dell'unità familiare tutelato dall'art. 29 Cost. "se il cognome del figlio nato dal matrimonio non fosse prestabilito sin dal momento dell'atto costitutivo della famiglia....e potesse essere scelto dai genitori (ordinanza n. 176/88).

Successivamente ha anche avuto modo di precisare però che, allorché non ricorra una tale esigenza trattandosi di figli nati fuori dal matrimonio e non riconosciuti dal padre immediatamente o comunque contemporaneamente alla madre, non solo è esclusa per legge l'automatica imposizione del cognome paterno (art. 262 c.c.), ma deve essere riconosciuta al cognome già acquisito dal figlio, anche se non conforme al rapporto di filiazione, una propria autonoma tutela quale segno distintivo dell'identità personale fino ad allora da lui posseduta nell'ambiente in cui vive (Corte Cost. 3 febbraio 1994 n. 13; Corte Cost. 23 luglio 1996 n. 297).

Del resto, potendo la legittimazione essere chiesta senza limiti di tempo, la tesi dell'automatica attribuzione del cognome potrebbe comportare l'assurda conseguenza - già sottolineata dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 13 del 1994 riguardante l'azione di rettifica prevista dall'art. 165 dell'ordinamento dello stato civile - di un cambiamento del cognome anche in età avanzata con l'inevitabile ripercussione su tutta la discendenza "portatrice anch'essa del medesimo cognome" e con altrettanta inevitabile confusione cui una siffatta situazione potrebbe dar luogo, in contrasto, oltre tutto, anche con l'interesse generale.

Peraltro un'autonoma tutela all'uso del cognome, anche dopo il venir meno del rapporto che ne ha dato origine e senza quindi alcuna automaticità, è prevista anche dall'art. 5, comma 3, della legge 1 dicembre 1970 n. 898 che, in caso di scioglimento del matrimonio, riconosce alla donna la facoltà di conservare il cognome del marito in presenza di un interesse proprio e dei figli meritevole di essere garantito, costituito dalla necessità di assicurare l'identità personale maturata fino ad allora.

Altra ipotesi non conciliabile con il principio dell'automaticità è ravvisabile in tema di separazione personale dall'art. 156-bis c.c. che consente al giudice di vietare alla moglie l'uso del cognome del marito qualora possa derivarne grave pregiudizio.

In tale contesto, nel quale le varie esigenze meritevoli di tutela non consentono di parificare ai fini in esame la posizione del figlio legittimato con quello del figlio legittimo nato dal matrimonio e che escludono, contrariamente alla tesi sostenuta dall'impugnata sentenza, l'obbligo di un'automatica imposizione al primo del cognome paterno, mancando oltre tutto l'interesse alla conservazione dell'unità familiare, viene a costituire un imprescindibile riferimento normativo l'art. 262 c.c. che, nell'ambito della disciplina del riconoscimento del figlio naturale, regola, a differenza dell'istituto della legittimazione, l'attribuzione del cognome al figlio.

Non potendosi disconoscere infatti, relativamente ai fini in esame, che ricorra la stessa situazione fra l'ipotesi di riconoscimento e quella di legittimazione - sia sotto il profilo dei rapporti interni fra i soggetti coinvolti e delle relazioni con terzi che con riguardo agli interessi da tutelare - e che si giustifichi quindi una regolamentazione unitaria per entrambe, deve ritenersi consentito il ricorso all'analogia e l'applicazione, conseguentemente, dell'art. 262 c.c.

A tale norma dovrà far riferimento pertanto il giudice di rinvio che, nel decidere in ordine alla richiesta di attribuzione al figlio naturale del cognome del padre che lo ha legittimato successivamente, dovrà valutare l'interesse esclusivo del minore, avuto riguardo al diritto del medesimo alla propria identità personale fino a quel momento posseduta nell'ambiente in cui è vissuto, anche con riferimento alla famiglia in cui è cresciuto, nonché ad ogni altro elemento di valutazione suggerito dalla fattispecie, escludendo ogni automaticità.

L'accoglimento del presente motivo del ricorso principale, comportando il riesame della questione, determina l'assorbimento del ricorso incidentale relativo alle spese del giudizio d'appello le quali dovranno essere oggetto di una nuova valutazione.

L'impugnata sentenza deve essere pertanto cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per la spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte d'Appello di Napoli - Sezione per Minorenni.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione riunisce i ricorsi. Rigetta il primo motivo del ricorso principale. Accoglie per quanto di ragione il secondo. Dichiara assorbito il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del giudizio di cassazione alla Corte d'Appello di Napoli - Sezione per Minorenni.

Così deciso in Roma 13 marzo 2001

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 27 APRILE 2001.

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