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Obblighi informativi della banca all' investitore

Tribunale di Bari , sentenza del 10.07.2013
OMISSIS
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Le attrici, C.N. e C.G., lamentando la violazione delle regole di comportamento dell'intermediario finanziario previste dall'art. 21 TUF hanno chiesto, con citazione ex art. 2 D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 notificata il 14 maggio 2007 alla banca e il 6 giugno 2007 a M.M., la dichiarazione di nullità ex art. 1418 c.c. del contratto quadro di negoziazione dei valori mobiliari (cui è annesso il contratto di deposito titoli n. 505216 doc. 12 fasc. attori) e degli ordini di acquisto di obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina per un controvalore di L. 42.257.988 (Euro 21.824,43) stipulati con la BR (oggi U. spa) nel febbraio del 1999 con condanna della banca convenuta e del funzionario preposto, avendo i titoli perso completamente valore nel 2001 a seguito di default dello Stato emittente, alla restituzione della somma investita, oltre rivalutazione ed interessi legali. In subordine chiedevano l'annullamento del contratto per vizio del consenso (sotto specie o di errore essenziale riconoscibile sull'oggetto del contratto -ossia su una sua qualità essenziale- o del dolo, art. 1427 ss c.c.) con rimborso del capitale oppure la risoluzione del contratto e degli ordini di acquisto per grave inadempimento (art. 1453 c.c.), con, in ogni caso, la condanna della banca convenuta al pagamento della somma investita a titolo di risarcimento del danno. In via ulteriormente subordinata chiedevano di dichiarare la responsabilità precontrattuale della banca (artt. 1337 e 1440 c.c.) o la sua responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 c.c..

La banca si è costituita chiedendo il rigetto della domanda e, in via condizionata all'accoglimento della domanda attorea, la restituzione dei titoli con relative cedole. Anche il M. si è costituito assumendo di non aver avuto con le attrici rapporti di lavoro, quale funzionario della banca, ma di mera conoscenza essendo colleghi di un corso universitario.

Posto che domanda di nullità è infondata perché la violazione delle doveri di comportamento (art. 21 TUF e artt. 26, 27, 28, 29, Reg. Consob n. 11522/1998,) non rileva ai fini dell'azione di nullità proposta a norma dell'art. 1418 c.c. ma solo in relazione alla domanda di risoluzione e a quella risarcitoria (Cass. s.u. n. 26725 del 2007), e che altrettanto infondata (disattesa per questa l'eccezione di prescrizione quinquennale, sollevata dalla banca genericamente senza alcun riferimento ai termini di relativo decorso, che deve essere collocato a quando è stato scoperto l'errore o dolo v. p. 17 comparsa di costit. BR) è la domanda di annullamento per errore (e tantomeno dolo) in quanto non ricorre la difformità fra oggetto negoziale e rappresentazione soggettiva visto che l'oggetto del contratto impugnato era correttamente rappresentato essere un investimento finanziario, esaminiamo la domanda di risoluzione per inadempimento e la domanda risarcitoria.

Le attrici hanno lamentato il grave inadempimento contrattuale posto in essere dalla banca al momento della vendita dei bond Argentini (ascrivendo i fatti anche al funzionario preposto, indicato nel M.M.) per avere questa omesso di informare i clienti dei rischi che correvano, essendo la banca onerata dell'onere della prova di aver agito con la diligenza richiesta dalla legge (art. 23 co. 6 TUF "Nei giudizi di risarcimento dei danni cagionati al cliente nello svolgimento dei servizi di investimento e di quelli accessori, spetta ai soggetti abilitati l'onere della prova di aver agito con la specifica diligenza richiesta. ") e quindi di aver acquisito le informazioni sugli strumenti finanziari offerti ai clienti, sulla loro esperienza e propensione al rischio e di averli informati sulle caratteristiche ed adeguatezza delle singole operazioni finanziarie di investimento, cosa che non era avvenuta avendo eseguito la banca gli ordini di acquisto del 24 febbraio 1999 senza proteggere le clienti disinformate e violando l'obbligo di astenersi dalle operazioni in caso di inadeguatezza rispetto al profilo del risparmiatore. Alla luce di tali fatti hanno chiesto la risoluzione del contratto quadro e dei successivi ordini di acquisto e il risarcimento del danno quantificato nella somma investita di Euro 21.824,43, oltre rivalutazione ed interessi.

La domanda è fondata e deve essere accolta.

Superata l'eccezione di prescrizione quinquennale trattandosi di risarcimento del danno da inadempimento contrattuale e non già da fatto illecito, in punto di fatto è pacifico che in data 24 febbraio 1999 le sig.re C.N. e C.G. hanno impartito alla banca convenuta l'ordine di acquistare obbligazioni della Repubblica Argentina per un controvalore di Euro 21.824,43. Più precisamente (v. CTU) furono acquistati, con data regolamento 1.3.99, bond Repubblica Argentina 8,5% per un valore nominale di 15.000,00 Euro e bond Repubblica Argentina 10% per un valore nominale di 5000 GBP (lire sterline inglesi); i titoli furono pagati complessivamente 21.824,43 Euro (di cui Euro 20.557,63 per sorte capitale, Euro 1.245,69 per rateo interessi e Euro 21,11 per spese bolli).

Dalla documentazione in atti (doc. 10 11 12 13 14 fasc. attori) risulta che le sig.re C., in relazione a detta operazione di investimento, firmarono i seguenti documenti, tutti privi di data e luogo di sottoscrizione: 1) un foglio con cui le clienti, dopo aver dichiarato di aver ricevuto il documento sui rischi generali degli investimenti, conferivano alla BR l'incarico di negoziare strumenti finanziari di cui agli ordini che sarebbero stati impartiti dai clienti medesimi nonché di ricevere e trasmettere ordini dei clienti su strumenti finanziari: tale documento, costituente il contratto quadro (o di negoziazione), a parte le firme dei soli clienti (odierne attrici), è per il resto completamente in bianco, salvo che per il numero 505216 che identifica non già il contratto ma il numero del deposito titoli di riferimento; 2) la "Scheda di informazioni tra intermediari e investitori", documento finalizzato alla valutazione della esperienza dei clienti in materia di investimenti, della loro situazione finanziaria, dei loro obiettivi di investimento, anch'essa munita solo delle firme delle C. senza alcuna specificazione delle informazioni richieste (doc. 13); 3) i due moduli commissione relativi ai due ordini di acquisto di titoli argentini 10% e 8,50% (doc. 10 e 11); 4) il contratto di apertura del deposito titoli n. 505216 appoggiato sul c/c bancario delle sottoscrittrici (doc. 12); 5) un foglio intestato "Intermediazione di titoli immobiliari" contenente l'indicazione delle varie commissioni spettanti alla banca in relazione a ciascuna operazione di investimento immobiliare (doc. 14).

Posto che l'operazione di investimento in questione è stata effettuata sotto la vigenza del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, testo unico in materia di intermediazione finanziaria, e della deliberazione Consob 1 luglio 1998, n. 11522 (quest'ultima ora abrogata e sostituita dalla Deliberazione Consob 29 ottobre 2007, n. 16190) giova ricordare che l'art. 21 T.U.F., nel tutelare non solo l'interesse economico dei clienti, ma anche quello dell'integrità dei mercati, prevede una serie di obblighi di diligenza, di correttezza e di trasparenza a carico dell'intermediario, che si estrinsecano nei confronti della clientela mediante una articolata attività di acquisizione di tutte le informazioni necessarie e mediante una costante informazione della stessa in ordine ai possibili investimenti.

Gli artt. 26 e 28 del regolamento Consob 11522/1998 (espressione della c.d. know your customer rule) declinano ulteriormente gli obblighi di informazione che gravano sugli intermediari, sancendo, dal lato attivo, un obbligo di conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi, nonché dei prodotti diversi dai servizi di investimento propri o di terzi da essi stesso offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire, con obbligo di operare al fine di contenere i costi a carico degli investitori e di ottenere da ogni servizio d'investimento il miglior risultato possibile, anche in relazione al livello di rischio prescelto dall'investitore, ed imponendo (art. 28), prima della stipula del contratto di gestione e di consulenza in materia di investimento e prima dell'inizio della prestazione dei servizi di investimento e dei servizi accessori a questi collegati, di richiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio, e di consegnare agli investitori il documento generale sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.

Ai sensi dell'art. 1374 c.c., tuttavia, il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso, ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge ovvero, in mancanza, secondo gli usi e l'equità.

In forza dell'art. 1375 c.c., inoltre, il contratto deve essere eseguito secondo buona fede.

Ora, non vi è dubbio che tale contratto-quadro debba essere integrato, ai fini della sua attuazione, dalla normativa generale e di dettaglio, di cui agli artt. 21 ss. del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (T.U.F.) e 26 ss. deliberazione Consob n. 11522/1998, che sono espressione del più ampio principio della buona fede di cui all'art. 1375 c.c. e la cui violazione, pertanto, costituisce inadempimento di tale contratto-quadro.

In particolare, l'art. 28, 1 co., del regolamento Consob 11522/1998, prevede a carico dell'intermediario, e prima dell'avvio dell'operazione di investimento, l'obbligo di chiedere all'investitore notizie circa la sua esperienza in materia di investimenti e strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento nonché circa la sua propensione al rischio, con l'ulteriore obbligo di far constare nel contratto l'eventuale rifiuto del cliente di fornire notizie.

Sempre ai sensi della suddetta norma, l'operatore deve consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari.

Ai sensi dell'art. 28, 2 co., dello stesso regolamento, gli intermediari finanziari non possono effettuare o consigliare operazioni o prestare il servizio di gestione, se non dopo avere fornito all'investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazione della specifica operazioni o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento.

L'intermediario ha, quindi, l'obbligo di procurarsi un quadro completo delle caratteristiche del cliente, in modo da effettuare scelte di investimento, che in quanto rispondenti ai parametri sopra indicati, siano effettivamente calibrate sulle sue esigenze

Gli obblighi informativi previsti diventano ancora più stringenti con l'art. 29 del regolamento Consob, che impone all'intermediario finanziario di astenersi dall'effettuare con o per conto degli investitori operazioni, anche se espressamente impartite dal cliente, rispetto a costui non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza e dimensione, salvo la ripetizione scritta dell'ordine, in cui sia fatto esplicito riferimento alle avvertenze ricevute (c.d. suitability rule).

Infine, l'art. 26, 1 co., lett. e) del reg. Consob 11522/1998 prevede la c.d. know you merchandise rule, imponendo agli operatori di acquisire essi stessi una conoscenza degli strumenti finanziari, dei servizi nonché dei prodotti diversi dai servizi di investimento, propri o di terzi, da essi stessi offerti, adeguata al tipo di prestazione da fornire.

Si può quindi dire che l'intermediario diligente, prima di effettuare operazioni o di prestare il servizio di gestione, deve fornire informazioni sulla natura, i rischi, e le implicazioni relative, adeguate alle caratteristiche e alle esigenze specifiche del cliente e quindi idonee a consentirgli di effettuare consapevoli scelte di investimento o di disinvestimento (art. 28, comma 2).

Per quanto attiene, invece, al piano più strettamente esecutivo, la diligenza dell'intermediario si coglie nell'astenersi dall'effettuare operazioni non adeguate per tipologia, oggetto, frequenza (al fine esclusivo di lucrare sulle commissioni) o dimensione (art. 29, comma l). Ne consegue che, in presenza di disposizioni provenienti dall'investitore e relative ad un'operazione non adeguata, è cura dell'intermediario informarlo della circostanza e delle ragioni che rendono non opportuno procedere nell'esecuzione (art. 29, comma 3). Se, ciononostante, l'investitore decide di effettuare l'operazione, la cristallizzazione dell'ordine relativo in un documento scritto o in una registrazione su nastro magnetico, in cui si fa esplicito riferimento alle avvertenze ricevute dall'intermediario, varrà a mettere al riparo quest'ultimo da ogni censura in merito alla mancata osservanza della diligenza richiesta ma la prova che, nonostante tali avvertenze, le attrici abbiano espressamente confermato l'ordine di investimento non è stata fornita dalla convenuta così come a lei imposto dall'art. 23, 6 co., D.Lgs. n. 58 del 1998, secondo cui incombe sulla banca l'onere di provare di avere adempiuto con la specifica diligenza professionale richiesta ad un soggetto che opera nella qualità professionale di intermediario.

Va a questo punto evidenziato che, secondo la prevalente giurisprudenza formatasi in materia, gli obblighi informativi in questione possono ritenersi concretamente adempiuti soltanto quando l'investitore abbia pienamente compreso le caratteristiche dell'operazione, atteso che "la conoscenza deve essere una conoscenza effettiva e l'intermediario o il promotore devono verificare che il cliente abbia compreso le caratteristiche essenziali dell'operazione proposta non solo con riguardo ai relativi costi e rischi patrimoniali ma anche con riferimento alla sua adeguatezza" (tra le altre Trib. Firenze 30 maggio 2004; Trib. Roma 8 ottobre 2004).

Ne consegue che l'investitore non professionale deve avere ricevuto dall'intermediario e deve avere compreso le necessarie informazioni sui rischi dello strumento finanziario trattato, connessi alla eventualità che gli interessi non gli vengano pagati o addirittura che il capitale non gli venga più rimborsato. La cogenza di tali obblighi non si affievolisce neppure quando l'investitore abbia una conoscenza approfondita dei mercati finanziari oppure una esperienza in pregresse operazioni, non contemplando la normativa di settore alcuna distinzione tra clienti esperti o meno, salvo che l'investitore non rivesta la qualifica, che nella specie non ricorre, di operatore qualificato.

A questo punto, deve procedersi alla valutazione della natura e del tipo di obbligazioni acquistate dalle attrici.

Trattasi di titoli di stato della Repubblica Argentina, rispetto ai quali già a partire dal 1998 si erano posti problemi di criticità e rischio di insolvenza. In particolare, come già evidenziato da questo Tribunale in precedenti pronunzie (v., ex plurimis, Trib. Bari, sent. 18 ottobre 2010 n. R.G. 5745/2006; Trib. Bari, sent. 10 gennaio 2011 n. R.G. 7028/2007), in quell'anno il P.I.L. del Paese manifestava una contrazione, che successivamente ha assunto un andamento altalenante fino all'inizio del 2001, epoca a partire dalla quale il decremento era stato progressivo ed era sfociato drasticamente nel default. Nella specie, i giudizi di rating assegnati alla Repubblica Argentina dalle principali agenzie specializzate (Moody, Standard & Poor's), pur se con valori attestati su posizioni diverse, avevano, in maniera sostanzialmente concorde, classificato tale emittente nella categoria "speculativa", almeno a partire dall'anno 1997 (v. le sentenze di questo Tribunale citate in precedenza).

Tale valutazione è stata confermata, ad abundantiam, dalla disposta CTU (v. rel. per prof. A. Dell'Atti, dep. 9.10.2008) -il cui esito non è stato in alcun modo contestato da parte convenuta- la quale ha accertato che in effetti fin dal 28.5.1997 l'agenzia di rating Fitch aveva assegnato al debito dello Stato argentino un rating a lungo termine BB, non variato alla data dell'investimento in questione (febbraio 1999), indice che denota un investimento speculativo, come tale passibile di sviluppo del rischio che l'emittente non riesca ad adempiere alle obbligazioni a seguito di avversi cambiamenti economici, poi in effetti verificatisi a partire dal marzo 2001 (quando il titolo fu classificato BB-) per culminare nel default del dicembre dello stesso anno (con classe di rating assegnata DDD). Parimenti valutazione BB era stata data dall'agenzia S&P il 13.8.1998 ai bond Rep. Arg. 8,5%.

Sulla base di tali considerazioni, pertanto, non vi è dubbio che all'epoca in cui venne effettuata l'operazione di investimento la banca fosse a conoscenza della elevata rischiosità delle obbligazioni emesse dalla Repubblica Argentina o, comunque, avrebbe dovuto essere a conoscenza di tale circostanza, essendo l'intermediario, quale operatore professionale altamente qualificato, obbligato esso stesso, in primo luogo, a conoscere adeguatamente la natura dei titoli intermediati.

Del resto, a conferma della rilevante rischiosità dei titoli in esame, depone l'elevato rendimento da essi previsto (8,5 e 10%). In linea generale, infatti, nei casi in cui il livello del rischio di credito percepito dal mercato è elevato, cresce in misura corrispondente la misura del rendimento che l'emittente dovrà corrispondere. Non a caso il parametro del rendimento rappresenta l'elemento di più immediata percezione del grado di rischio di un titolo obbligazionario.

Il tasso cedolare applicato ai titoli in questione era di gran lunga più elevato dei Buoni Poliennali del Tesoro Italiano emessi nello stesso periodo, a fronte di una indubbia maggiore solvibilità dello Stato italiano.

Va disatteso il richiamo fatto dalla banca in comparsa conclusionale alla sent. Cass. del 9.1.2013 n. 330, che ha confermato una decisione di rigetto di una domanda di risarcimento riferita ad acquisti di bond argentini avvenuti nel maggio e giugno 1999, in quanto il Supremo Collegio non era chiamato a esprimere un giudizio di merito sul fatto se i suddetti titoli fossero o meno a rischio (né in verità poteva esserlo), ma ha solo espresso un giudizio di adeguatezza e logicità della motivazione della pronuncia di merito impugnata.

Per la natura di titoli speculativi ha concluso anche il CTU.

Trattasi, pertanto, di titoli a rìschio molto elevato, totalmente inadeguati al profilo di rischio proprio delle attrici, essendo del tutto improponibile proporre a dei piccoli investitori come le sig.re C.N. e C.G. un investimento a rischio perdita del capitale (in tal senso v. ancora rel. CTU). Queste ultime, infatti, non risulta avessero esperienza di investimento in titoli obbligazionari esteri ed in valuta estera né in altri titoli speculativi e, soprattutto, non disponevano nelle necessarie conoscenze per valutare la rischiosità dell'investimento, essendo l'una (N.) impiegata presso la Camera di Commercio di Bari e l'altra (G.) dipendente del Comune di Modugno, dati, questi, non contestati e che la Banca avrebbe dovuto conoscere e valutare ed anzi ha volutamente omesso di verificare, ricevendosi in bianco le relative schede informative.

Si è trattato, pertanto, di un investimento assolutamente inconsapevole, in cui sono ravvisabili gravissimi inadempimenti della Banca, con riferimento agli obblighi informativi ed agli obblighi di valutazione dell'adeguatezza dell'operazione e di astensione dal compimento di operazioni inadeguate impostigli dal contratto-quadro, come integrato dalla normativa di settore (T.U.F. e deliberazione Consob n. 11522/1998), non avendo la Banca informato adeguatamente gli investitori sulla natura dei titoli acquistati, sulla loro natura speculativa e rischiosa anche per il capitale.

A tal proposito, non appare sufficiente, ad avviso del Collegio, la mera consegna del documento sui rischi generali degli investimenti (di cui si dà atto nel contratto quadro sottoscritto dalle attrici), stante la genericità delle informazioni in esso contenute, dovendo invece l'intermediario fornire una informazione specifica e completa sulla natura dei prodotti finanziari per le quali si è svolta l'intermediazione, sulla loro rischiosità e sulla loro adeguatezza rispetto al profilo degli investitori: condotte, queste, che nella specie sono state completamente omesse.

Dalla violazione dei doveri di comportamento che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi d'investimento finanziario discende, come detto innanzi, non già la nullità del contratto concluso in violazione di tali regole, in difetto di previsione normativa in tal senso (Cass., sez. un., 19 dicembre 2007, n. 26724), bensì la responsabilità contrattuale, con relativo obbligo risarcitorio ed eventuale risoluzione del predetto contratto, per le violazioni riguardanti le operazioni d'investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del contratto d'intermediazione finanziaria in questione.

Deve, quindi, parlarsi di inadempimento colposo della Banca agli obblighi informativi e valutativi derivanti dal contratto quadro, come integrato dalla normativa in precedenza richiamata, in quanto la banca non aveva assolto al proprio obbligo di informazione dei clienti sulle caratteristiche e sulla rischiosità dell'investimento in bond argentini e sulla non corrispondenza dell'investimento al profilo di investitori presentato dai clienti medesimi e questo comporta la condanna della Banca convenuta al risarcimento dei danni, secondo quanto previsto, peraltro, dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass., sez. un., 26724/2007 più volte richiamata in precedenza).

La questione, posta per la prima volta nella comparsa conclusionale, dello svolgimento della operazione in situazione di conflitto di interesse (art. 21 lett. e TUF 27 reg. Consob) per avere la banca venduto titoli di sua proprietà, così come emerso in sede di CTU, non può essere esaminata perché introdotta tardivamente.

Risolto il contratto quadro (essendo gli ordini di acquisto dei meri atti esecutivi di questo), la banca deve essere condannata al pagamento in favore delle attrici, a titolo di risarcimento del danno patrimoniale diretto da loro subito, delle somme utilizzate per l'acquisto dei titoli con l'accorgimento che dalla somma investita di Euro 21.824,43 vanno detratte le cedole incassate per totali Euro 5.576,33 (v. CTU p. 13-14): quindi la condanna alla restituzione ammonta alla cifra differenziale di Euro 16.248,10.

La BR - oggi U. - pertanto deve essere condannata al pagamento, in favore di C.N. e C.G., della somma suindicata, a titolo di risarcimento del danno, oltre rivalutazione dalla data dell'investimento alla presente decisione e successivamente gli interessi legali sulla somma rivalutata.

Gli ulteriori danni lamentati, patrimoniali e non patrimoniali, non vengono esaminati siccome richiesti con riferimento alle ulteriori domande, proposte però in via subordinata. La condanna in questione non può, invece, estendersi al convenuto M.M., indicato essere il funzionario che aveva intrattenuto per conto della banca i rapporti con le due clienti odierne attrici, sia perché non è stata data la prova, a seguito della contestazione del convenuto, che costui rivestisse la qualità indicata sia perché, versandosi in ipotesi di responsabilità per inadempimento contrattuale ed essendo parte di detto contratto solo la banca e non già il M., questi al più avrebbe agito come ausiliario, del cui operato risponde l'istituto di credilo in proprio, in mancanza di diversa pattuizione, ai sensi dell' art. 1228 c.c.

Va, infine, accolta la domanda della banca di condanna delle attrici alla restituzione dei titoli oggetto di causa che, a seguito degli ordini di acquisto resi in esecuzione del contratto qui risolto, sono stati immessi nel dossier titoli delle ordinanti.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza della banca e vengono liquidate come in dispositivo in applicazione dei criteri stabiliti dal D.M. 20 luglio 2012 n. 140 (v. Cass. SSUU del 12.10.2012 n. 17406). Le spese della espletata C.T.U., già liquidate in corso di causa, vanno poste definitivamente a carico della banca convenuta.

Quanto a M.M., le spese di lite possono essere opportunamente compensate atteso il riconoscimento da lui fatto di aver comunque dato consigli alle attrici, sue compagne di corso universitario, sugli investimenti in tal modo ingenerando l'equivoco da cui è nata la sua evocazione in giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale, in composizione collegiale, definitivamente pronunciando nella causa civile n. 5944/20087 R.G. sulla domanda proposta da C.N.+1 nei confronti della U. s.p.a. ed altri, così provvede:

1) dichiara risolto, per inadempimento della banca convenuta, il contratto quadro di intermediazione finanziaria intervenuto tra C.N. e C.G. con la BR s.p.a. (ora U. spa) in virtù del quale furono eseguiti due ordini di acquisto di obbligazioni argentine dalle prime sottoscritti il 24.2.99 e condanna la U. spa, in persona del lrpt, al pagamento a titolo di risarcimento del danno patrimoniale, in favore delle due C., della somma di Euro 16.248,10, oltre rivalutazione dalla data dell'investimento alla presente decisione e successivamente gli interessi legali sulla somma rivalutata fino al soddisfo;

2) rigetta la domanda di declaratoria di nullità del contratto quadro di intermediazione finanziaria o di suo annullamento;

3) condanna, altresì, le attrici a restituire alla banca i titoli oggetto dei contratti;

4) condanna, infine, la U. s.p.a., in persona del lrpt, alla rifusione in favore delle attrici delle spese del presente giudizio, che si liquidano in Euro 400,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compenso di avvocato, oltre C.A.P. ed I.V.A.;

5) pone definitivamente a carico della banca convenuta le spese della espletata C.T.U.;

6) rigetta la domanda proposta contro il convenuto M.M. e compensa le relative spese.

Così deciso in Bari, il 17 giugno 2013.

Depositata in Cancelleria il 10 luglio 2013.

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