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Radici di alberi per strada e marciapiedi e risarcimento

Sentenza del Tribunale di Roma, sentenza del 26.11.2012

OMISSIS

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Visto l'art. 132 c.p.c. (così come modificato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69) e tenuto conto di quanto disposto dall'art.58 della predetta legge che regola la fase transitoria tra abrogazione e modifica delle vecchie norme ed entrata in vigore delle nuove, si ritiene di non dover redigere lo svolgimento del processo.

L'istruttoria espletata e la documentazione prodotta consentono di ritenere adeguatamente provato che il giorno 2.12.2005 alle ore 17.30 circa in Roma, via (...) all'altezza dei civici n.116/118 (...) inciampava a causa della presenza di una radice d'albero che fuoriusciva dal marciapiede dalla stessa percorso e si procurava lesioni personali.

Il teste (...) ha riferito che aveva visto sua suocera inciampare sul marciapiede e cadere a terra e che, avvicinatosi per soccorrerla, aveva notato la presenza di una radice di un albero, posto sul marciapiede, del diametro di dieci-dodici centimetri che attraversava l'intero marciapiede sino al muro di cinta ed era coperta da fogliame. Precisa che il marciapiede non era ben illuminato perché le chiome degli alberi coprivano, in gran parte, l'illuminazione pubblica ivi presente.

Dal verbale dei Vigili Urbani prodotto in atti risulta, inoltre, che, a seguito di denuncia della (...) i Vigili Urbani avevano accertato la presenza in via Poerio n.116/118 di un albero le cui radici uscivano dall'asfalto del marciapiede ed attraversavano lo stesso trasversalmente fino al muro delimitante il cortile di uno stabile ed avevano richiesto l'intervento della ditta di manutenzione delle strade (v. doc. n.8).

Può, quindi, ritenersi adeguatamente provato che la sia caduta a causa della presenza di una radice di un albero che fuoriusciva dal marciapiede di via (...)

Orbene, la giurisprudenza di legittimità riconosce ormai pacificamente l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. agli enti pubblici per i danni subiti dagli utenti di beni demaniali. Tale disposizione prevede, in particolare, quale elemento costitutivo, il requisito della custodia sulla cosa da cui è derivato il danno.

Secondo la giurisprudenza prevalente "la custodia si identifica in una potestà di fatto, che descrive un'attività esercitabile da un soggetto sulla cosa in virtù della detenzione qualificata (...)" (così Cass., sez. III, n. 9546 del 2010).

Con particolare riguardo al demanio stradale, l'attuale e condivisibile indirizzo giurisprudenziale prevalente, ritiene che la relazione di custodia debba essere oggetto di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto.

Conseguentemente, l'estensione del bene demaniale e l'utilizzazione generale e diretta dello stesso da parte dei terzi, non possono determinare, come affermato dalla giurisprudenza più risalente (Cass., 04.12.1998, n. 12314; Cass., 07.10.1998, n. 9915; Cass., 25.6.1997, n. 5670), l'automatica esclusione del rapporto di custodia e della responsabilità della P.A. per i danni cagionati dalla cosa, costituendo, al contrario, meri indici dell'impossibilità di un concreto esercizio dei poteri di relativo controllo e di vigilanza, la cui ricorrenza va, però, verificata caso per caso dal giudice di merito.

Pertanto, con riferimento al demanio stradale, "la ricorrenza della custodia deve essere esaminata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti" (Cass. 22.04.2010, n. 9546; Cass. 23.01.2009, n.1691; Cass., 06.06.2008, n. 15042; Cass. 06.07.2006, n. 15383).

Inoltre, secondo la giurisprudenza e la dottrina prevalenti perché sia applicabile la presunzione di cui all'art. 2051 c.c. occorrono tre presupposti: a) che la domanda di risarcimento sia rivolta contro il "custode" della cosa; b) che il danno non sia stato cagionato dal fatto del terzo o del danneggiato; c) che il danno lamentato sia stato cagionato "dalla cosa".

Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità e di merito, per l'applicazione dell'art. 2051 c.c. non si richiede necessariamente che la cosa sia suscettibile di produrre danni per sua natura e cioè per suo intrinseco potere, in quanto anche in relazione alle cose prive di dinamismo proprio -e cioè quando il danno sia stato causato dalla cosa in concorso con altri fattori esterni alla cosa- sussiste il dovere di custodia e di controllo del custode ( v. Cass. civ. sez.III n.16373 del 20.06.2005; id. Cass. sez.III n.20317 del 20.10.2005).

Sotto il profilo dell'onere della prova, dunque, la presunzione di colpa stabilita dall'art. 2051 c.c. comporta che la parte attrice deve provare l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa (presenza di una buca) e l'evento lesivo (sinistro) ed il convenuto, per liberarsi, è tenuto a provare l'esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo ad interrompere il nesso di causalità ( v. Cass. civ. sez. III n.16373 del 20.06.2005; id. Cass. sez.III n.20317 dei 20.10.2005;. Cass. civ. sez.III n.376 del 11.01.2005).

Anche la più recente giurisprudenza ha ribadito che l'art.2051 c.c. pone a carico del danneggiato l'onere di provare il nesso causale tra cosa in custodia e danno, ossia di dimostrare che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa, mentre resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione "iuris tantum" della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità (cfr. Cass.858/2008).

Una recente pronuncia della Suprema Corte di Cassazione ha enunciato che, secondo la linea interpretativa evolutiva da ultimo espressa da questa Corte con la sentenza 22 aprile 2010 n. 9456, "la presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia, prevista dall'art. 2051 c.c. si applica per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, tra i quali le strade, tutte le volte in cui sia possibile, da parte dell'ente proprietario o che abbia la disponibilità e il godimento della res, la custodia intesa come potere di fatto o signoria sul bene medesimo. La nozione della custodia rappresenta dunque un elemento strutturale dell'illecito, che qualifica il potere dell'ente sul bene che esso amministra nell'interesse pubblico. I criteri di valutazione della cd. esigibilità della custodia, ineriscono alla natura ed alle caratteristiche del bene da custodire, e dunque, nel caso di specie, riguardano la estensione della strada, la dimensione, le dotazioni ed i sistemi di assistenza, di sicurezza, di segnalazioni di pericolo, generico e specifico, che sono funzionali alla sicurezza della circolazione ed in particolare dell'utente, persona fisica, che quotidianamente percorre quel tratto statale.... La responsabilità resta esclusa in presenza di caso fortuito, la cui prova grava sull'ente, per effetto della presunzione iuris tantum, ovvero se l'utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, potendosi eventualmente ritenere, ai sensi dell'art. 1227 c.c., comma 1 un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione della incidenza causale, la responsabilità della pubblica amministrazione, sempre che tale concorso sia stato dedotto e provato. (v. Cass. Civ. 15.10.2010 n.21328; id. Cass. Civ. 22 aprile 2010 n. 9456).

Orbene, nel caso in esame è emerso che l'attrice percorreva abitualmente quel tratto di strada e che la radice che fuoriusciva dal marciapiede era piuttosto grande in quanto descritta dal testimone come "del diametro di dieci-dodici centimetri che attraversava l'intero marciapiede sino al muro di cinta".

Si ritiene, pertanto, che, unitamente alla responsabilità del Comune di Roma per l'omessa manutenzione del marciapiede, sia sussistente una concorrente responsabilità dell'attrice nella causazione dell'evento lesivo, quantificata nella misura del 50% in quanto la stessa, tenuto conto delle dimensioni della radice e della sua estensione sul marciapiede, avrebbe potuto evitare tale evento, prestando maggiore attenzione allo stato dell'asfalto del marciapiede.

Quindi, tenuto conto del concorso di colpa dell'attrice nella misura del 50%, si condannare il Comune di Roma al risarcimento del 50% dei danni subiti dalla parte attrice ex art.2051 c.c. Si procede, quindi, alla quantificazione dei danni subiti dalla parte attrice in aderenza a quanto recentemente statuito dalla Suprema Corte a Sezioni Unite (sentenza 11 novembre 2008, n. 26972), la quale ha ribadito la bipolarità, nel sistema della responsabilità aquiliana previsto dal vigente codice civile, tra danno patrimoniale (art. 2043 c.c.) e danno non patrimoniale (art. 2059 c.c., nella sua lettura costituzionalmente orientata).

Con riferimento, al danno non patrimoniale, la Corte di Cassazione nella sentenza sopra riportata ha precisato che lo stesso, "identificandosi con il danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona non connotati da rilevanza economica, costituisce categoria unitaria non suscettiva di divisione in sottocategorie" e che solo a fini descrittivi, nel caso di lesione del diritto inviolabile alla salute (art. 32 Cost.) determinata da fatto illecito, si parla di danno biologico, figura che ha peraltro ricevuto un espresso riconoscimento normativo negli artt. 138 e 139 del D.Lgs. n. 209 del 2005, recante il Codice delle assicurazioni private, che ne hanno dato una definizione suscettiva di generale applicazione.

Dall'espletata consulenza medico-legale è risultato quanto segue: a) l'incapacità temporanea assoluta è stata di giorni 30, di 15 quella relativa al 50%; b) residuano postumi permanenti specificamente indicati nella C.T.U. valutabili nella misura - del 4%; c) non risultano spese mediche documentate e non sono prevedibili spese future.

Le conclusioni del medico legale sono condivise dal Giudicante, in quanto basate su un completo esame anamnestico e su un obiettivo, approfondito e coerente studio della documentazione medica prodotta, valutata con criteri medico-legali immuni da errori e da vizi.

Il c.d. danno biologico subito da parte attrice (risarcibile indipendentemente da un pregiudizio della capacità di lavoro e di guadagno del danneggiato in quanto incidente sull'integrita psico-fisica della persona e collegato alla somma delle funzioni naturali aventi rilevanza biologica, sociale, culturale ed estetica), in base ai criteri fissati dalle tabelle in uso presso il Tribunale di Roma (anno 2012) che, ad avviso del giudicante, risultano garantire un equo risarcimento anche a seguito della recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 12408/2011-, viene, quindi, liquidato in Euro 3.873,75 per l'inabilità temporanea, sia assoluta che relativa, ed in Euro 4.256,00 per l'invalidità permanente al 4% in un soggetto leso di anni 66 alla data del sinistro.

Inoltre, attraverso una lettura costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., e sulla base delle allegazioni, delle prove acquisite e delle risultanze della C.T.U., si ritiene presuntivamente che, nel caso di specie, la voce del danno non patrimoniale intesa come sofferenza soggettiva in sé considerata non sia adeguatamente risarcita con la sola applicazione dei predetti valori monetari. Pertanto, si reputa opportuno procedere ad una adeguata personalizzazione del danno non patrimoniale, liquidando un ulteriore somma di Euro 1.000,00 al fine di garantire così l'integrale ristoro del danno non patrimoniale patito dalla parte attrice.

In totale risultano dovuti dal Comune di Roma a favore della parte attrice Euro 9.129,75 che ridotti nella misura del 50% in ragione dell'accertato concorso di colpa vengono riconosciuti nella misura di attuali Euro4.564,87.

Oltre alla rivalutazione del credito, già riconosciuta mediante l'applicazione di tabelle attualizzate, è stato chiesto da parte istante anche il riconoscimento degli interessi legali sui rispettivi crediti con decorrenza dalla data del fatto.

Infatti, su tutte le somme liquidate a titolo di risarcimento del danno deve essere riconosciuto alla parte attrice - che ne ha fatta specifica domanda - anche il cd. lucro cessante e cioè il risarcimento del danno derivante dalla mancata tempestiva disponibilità della somma che, ove tempestivamente posseduta, avrebbe determinato un lucro finanziario.

In conformità al combinato disposto degli artt. 2056, 1223, 1226 e 1227 c.c., il danno da ritardo in materia di responsabilità da fatto illecito non è presunto ex lege (non essendo applicabile l'art. 1224, I comma, c.c.), ma deve essere allegato e provato facendo ricorso anche e soltanto a presunzioni semplici ed al criterio equitativo di cui all'art. 2056 II comma c.c.

Quindi, non avendo fornito la parte ricorrente alcun elemento di prova in ordine ai possibili impieghi delle somme dovute ed avendo richiesto l'applicazione di interessi legali, il cd. lucro cessante dovrà pertanto essere equitativamente calcolato ex art. 2056 c.c., secondo l'orientamento della Suprema Corte (Cass. Sez. Un. 17.2.1995 n.1712 sul calcolo di interessi per debiti di valore), applicando, ad una base di calcolo costituita dall'attuale credito come sopra determinato, devalutato all'epoca del sinistro, e rivalutato anno per anno secondo gli indici Istat, un saggio equivalente agli interessi legali dalla data del sinistro al saldo.

Il Comune di Roma, costituendosi in giudizio, ha chiesto di essere autorizzato a chiamare in causa la , (...) s.r.l., impresa cui aveva affidato la manutenzione ordinaria e la sorveglianza del tratto di strada oggetto di causa, per essere garantito e manlevato in caso di sua eventuale condanna al risarcimento dei danni subiti dalla parte attrice.

La (...) s.r.l., tuttavia, costituendosi in giudizio, ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, assumendo che il contratto d'appalto sottoscritto con il Comune di Roma aveva ad oggetto esclusivamente le opere di ordinaria manutenzione e di sorveglianza del tratto di strada in questione e non anche gli interventi di manutenzione sugli alberi ivi presenti.

Dalle dichiarazione del testimone escusso è, infatti, emerso che l'asfalto posto sul marciapiede presentava dei dissesti causati anche dalle radici degli alberi ivi presenti. Tuttavia, poiché la (...) s.r.l. era tenuta alla sorveglianza del tratto stradale in questione e delle sue pertinenze, si ritiene che sulla stessa gravasse l'obbligo di verificare la presenza di irregolarità o cedimenti nell'asfalto, di transennare l'area anche se non poteva provvedere direttamente all'eliminazione della situazione di pericolo senza aver prima interpellato l'amministrazione competente.

Ne consegue che, in virtù dell'obbligo di sorveglianza contrattualmente assunto con il Comune di Roma, la (...) s.r.l. deve ritenersi contrattualmente tenuta a manlevare e garantire il Comune di Roma da tutti gli importi dovuti alla parte attrice in esecuzione della presente sentenza.

Peraltro deve evidenziarsi che nell'art.26 del Capitolato Speciale d'Appalto le parti hanno convenuto l'obbligo dell'appaltatore di garantire e manlevare il Comune di Roma da ogni pretesa o domanda di terzi in relazione alle strutture di cui ha la manutenzione e si obbliga ad intervenire come garante nei giudizi instaurati da terzi verso il Comune di Roma nonché ad accettare - come senz'altro valide nei suoi confronti- le sentenze rese in giudizio ed a rifondere all'amministrazione comunale tutte le spese a quest'ultima addebitate ed a rimborsare tutte le somme corrisposte a terzi.

Le spese di C.T.U. e di giudizio di parte attrice, così come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza del Comune di Roma.

In considerazione della soccombenza del Comune di Roma ex art. 2051 c.c. e del contenuto dell'art.26 del Capitolato Speciale d'Appalto in merito all'opponibilità della sentenza emessa nei confronti del Comune di Roma nei confronti della predetta impresa, si ritiene che sussistano giusti motivi per compensarsi integralmente le spese del giudizio tra il Comune di Roma e (...) s.r.l.

Nelle more è intervenuta l'abrogazione delle tariffe forensi e l'approvazione dei nuovi parametri di cui al D.M. 20 luglio 2012, n.140 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.195 del 22.08.2012) e, pertanto, si pone al Giudice il problema di valutare se nella liquidazione delle spese giudiziali si deve fare riferimento alle norme vigenti alla data in cui l'attività difensiva è terminata, facendo applicazione del criterio adottato dalla giurisprudenza di legittimità in caso di sopravvenienza di nuove tariffe nel corso dello svolgimento della prestazione di assistenza giudiziale o se si deve applicare la nuova normativa vigente al deposito della sentenza. Ritiene questo giudicante che, qualora l'attività giudiziale dell'avvocato della parte vittoriosa sia terminata prima del 23 luglio 2012 e della caducazione definitiva delle tariffe forensi, per la liquidazione giudiziale delle spese si dovrà fare riferimento alle tariffe forensi. Qualora, invece, la conclusione dell'attività difensiva, con il compimento dell'opera professionale, abbia luogo dopo l'intervenuta abrogazione di dette tariffe, l'entrata in vigore dei nuovi parametri ministeriali farà sì che la liquidazione giudiziale delle spese di soccombenza avvenga in base a questi e non più in base alle previgenti tariffe, ancorché alcune attività siano state svolte nel vigore di queste (id. Tribunale di Monza del 6.08.2012).

La recentissima sentenza della Corte di Cassazione (sez. II, sentenza 28.09.2012 n. 16581) ha, infatti, precisato che l'incarico conferito al professionista ha natura unitaria e non può essere considerato frazionato in ordine alle diverse prestazioni eseguite. Pertanto, in caso di successione di tariffe professionali, per stabilire in base a quale di essa debba essere liquidato il compenso, occorre tenere conto della natura dell'attività professionale e, se per la complessa portata dell'opera il compenso deve essere liquidato con criterio unitario, la tariffa applicabile è quella che vige alla data della liquidazione anche se l'esplicazione dell'attività ha avuto inizio quando era vigente altra tariffa

La recentissima sentenza della Corte di Cassazione (sez. II, sentenza 28.09.2012 n. 16581) ha, infatti, precisato che l'incarico conferito al professionista ha natura unitaria e non può essere considerato frazionato in ordine alle diverse prestazioni eseguite. Pertanto, in caso di successione di tariffe professionali, per stabilire in base a quale di essa debba essere liquidato il compenso, occorre tenere conto della natura dell'attività professionale e, se per la complessa portata dell'opera il compenso deve essere liquidato con criterio unitario, la tariffa applicabile è quella che vige alla data della liquidazione anche se l'esplicazione dell'attività ha avuto inizio quando era vigente altra tariffa.

Tale principio di diritto è stato, inoltre, confermato anche dalla sentenza della Cassazione n.17406 del 12.10.2012.

Orbene poichè nel caso in esame l'attività difensiva si è conclusa in data di pochi giorni successiva all'entrata in vigore delle nuove norme, si procede alla liquidazione delle spese del giudizio determinando il valore della causa sulla base della somma attribuita a titolo di risarcimento danni (v. art.5) nonché liquidando per ogni singola fase del giudizio i parametri medi indicati nella tabella A allegata al predetto decreto (v. Tabella A D.M. n.140 del 20.07.2012).

Si dà atto che, ai soli fini fiscali, il fatto costituisce ipotesi di reato.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza, eccezione, deduzione disattesa, così provvede:

1) accertato il concorso di colpa della danneggiata ex 1227 c.c. , condanna ex art. 2051 c.c. il Comune di Roma, in persona del Sindaco p.t., al pagamento in favore della parte attrice di attuali Euro 4.564,87, oltre interessi come in motivazione, a titolo di risarcimento di tutti i danni subiti nonché alla rifusione delle spese del presente giudizio che, in applicazione dei parametri previsti dal D.M. 20 luglio 2012, n.140, liquida in Euro2.300,00 , di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese di C.T.U., LV.A. e C A. come per legge;

2) ex art. 26 del Capitolato Speciale d'Appalto dichiara la (...) s.r.l. contrattualmente tenuta a garantire e manlevare il Comune di Roma da tutti gli importi dovuti alla parte attrice;

3) compensa integralmente le spese del giudizio tra il Comune di Roma e (...) s.r.l., chiamata in causa.

Così deciso in Roma, il 15 novembre 2012.

Depositata in Cancelleria il 26 novembre 2012.

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