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Rifugiato politico - domanda asilo - riconoscimento status

Cass. sentenza n. 8423 del 04/05/2004

OMISSIS

Svolgimento del processo

Con provvedimento in data 26 febbraio 2002, il Tribunale di Catania, in composizione monocratica, rigettava il ricorso proposto da T. G. avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti dal Prefetto di C.in data 17 gennaio 2002, ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 296, comma 2, lett. a), per essere egli entrato nel territorio dello Stato italiano sbarcando clandestinamente lungo le coste etnee.

Il ricorrente, premettendo di esser fuggito dal suo paese per motivi politici e religiosi e di aver saputo con ritardo della possibilita' di chiedere asilo politico, aveva lamentato l'illegittimita' del provvedimento impugnato sotto diversi profili ed in particolare per la violazione dell'art. 19 del D.Lgs. n. 286 del 1998, per la violazione dell'art. 10 della Cost., per la violazione delle Convenzioni di Ginevra e di Dublino ed infine per la violazione dell'art. 13 della L. n. 39 del 1990, essendo egli "in attesa di motivare la propria domanda innanzi alla Questura di Catania".

Il Tribunale rilevava che la Prefettura opposta, costituitasi in giudizio, aveva eccepito l'infondatezza del ricorso, sottolineando come il ricorrente (sbarcato in Italia il 4 gennaio 2002 e alla data dell'emissione del decreto ancora presente nel territorio italiano solo perche', per impedimento del vettore aereo, non era stato possibile dare esecuzione al decreto di respingimento nei suoi confronti gia' adottato) solo dopo la notifica del ricorso aveva presentato richiesta di asilo politico, peraltro, del tutto irrituale nelle forme (la stessa era stata avanzata via fax da avvocato che assumeva essere procuratore del ricorrente e che analoga istanza presentava per altri 46 connazionali) e assolutamente immotivata nel contenuto.

Cio' premesso, il Tribunale riteneva, in primo luogo, che non dovesse essere approfondito il motivo di ricorso avente ad oggetto la dedotta violazione della disciplina relativa ai rifugiati politici (Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con L. 24 luglio 1954, n. 722, D.Lgs. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito con modificazioni, nella L. 28 febbraio 1990, n. 30), posto che la condizione del ricorrente, per come risultante dagli atti, non era quella del rifugiato politico, cosi' come unanimemente intesa in giurisprudenza.

Il Giudice del merito riteneva altresi' infondate le censure avanzate dal ricorrente al provvedimento impugnato per violazione del "diritto di asilo", in dispregio dell'art. 10 della Cost., in quanto, posto che il ricorrente stesso aveva presentato istanza di asilo (nelle forme esattamente indicate dalla Prefettura) successivamente alla notifica del decreto di espulsione, non poteva esservi dubbio alcuno sulla legittimita' del provvedimento alla data della sua emanazione.

Ne', ad avviso del Tribunale, la illegittimita' del provvedimento poteva derivare dalla richiesta successivamente in tal senso avanzata dall'attuale ricorrente, non contenendo la stessa (anche cosi' come successivamente proposta dal richiedente personalmente in data 20 gennaio 2002) alcun elemento dal quale desumere l'esistenza in capo al ricorrente stesso del diritto d'asilo previsto dalla Costituzione a favore dello straniero "al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana" (art. 10, comma 3, della Cost.), diritto al quale va riconosciuta la dignita' di diritto soggettivo sempre che il soggetto che lo invochi dimostri (o almeno specificatamente deduca) di trovarsi nelle condizione previste dal su richiamato art. 10 della Cost., cosa che doveva escludersi in considerazione dell'assoluta mancanza di motivazione della richiesta, essendosi, nel caso di specie, il ricorrente limitato ad affermare di essere militante del partito di opposizione chiamato "J.V.P. National Party"; il che non consentiva neanche di ritenere operante il divieto di espulsione, previsto dall'art. 19 del D.Lgs. n. 286 del 1998, a favore dello straniero che, nel suo stato d'origine, "possa esser oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali", anche in considerazione del fatto che, nelle prime dichiarazioni rese subito dopo lo sbarco, il ricorrente aveva affermato di essere venuto in Italia per trovare lavoro, al pari della sorella gia' entrata in questo Paese.

Avverso tale provvedimento Thalahitiya Gamaralalage Lahal Ranjan Everesta propone ricorso per cassazione, notificato alla Prefettura di Catania e al Ministero dell'Interno, sulla base di tre motivi; resiste con controricorso la Prefettura di Catania, mentre il Ministero dell'Interno non ha svolto attivita' difensiva.

Motivi della decisione

Deve preliminarmente essere dichiarata la inammissibilita' del ricorso notificato al Ministeri dell'Interno, giacche', come questa Corte ha ripetutamente affermato, "nei giudizi promossi con ricorso contro il decreto di espulsione la legittimazione passiva appartiene in via esclusiva, personale e permanente all'autorita' che ha emesso il provvedimento, e cioe' al prefetto" (Cass., 5 aprile 2002, n. 4847; Cass., 6 febbraio 2003, n. 1748).

Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'art. 13, comma 9, del D.Lgs. n. 286 del 1998, e dell'art. 24 della Cost., in riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 3, n. 4 e n. 5. Benche', in sede di ricorso contro il decreto prefettizio di espulsione, il ricorrente avesse chiesto espressamente al giudice di essere sentito con l'assistenza di un interprete, come risulta sia dal ricorso che dai verbali di causa, il giudice ha ritenuto di poter decidere sulla base della documentazione in atti e delle dichiarazioni rese dal ricorrente stesso all'autorita' amministrativa.

Il motivo e' infondato.

Premesso che e' indubitabile che, ai sensi dell'art. 13, comma 9, del D.Lgs. n. 286 del 1998 (abrogato dall'art. 12 della L. 30 luglio 2002, n. 189, ma applicabile rottone temporis al caso di specie), nel procedimento introdotto con il ricorso avverso il decreto di espulsione il giudice deve procedere all'audizione dell'interessato, e' altrettanto indubbio che l'onere posto a carico dell'organo giudicante in tanto puo' ritenersi violato, in quanto della fissazione della udienza di trattazione del ricorso non venga dato avviso allo straniero e al difensore da questi nominato (Cass. 4 marzo 2003 n. 3154; Cass. 26 novembre 2003 n. 18031). La mancata audizione dell'interessato, del resto, non e' causa di nullita' del provvedimento poiche' il giudice e' tenuto a decidere in ogni caso entro dieci giorni dalla data del deposito del ricorso, sicche' la decisione puo' essere validamente presa anche in assenza del ricorrente (v. Cass. 11 gennaio 2002 n. 298).

Nella specie, dallo stesso ricorso si evince che il procuratore dello straniero ha partecipato al procedimento, svolgendo istanze e contestando le difese dell'amministrazione convenuta, il che consente di ritener che la comunicazione dell'avviso di fissazione dell'udienza in Camera di consiglio sia stato tempestivamente effettuata. Nel ricorso, inoltre, non viene dedotto che l'avviso di

fissazione della udienza allo straniero interessato non sia stato notificato e neanche che lo straniero sia stato impedito dal partecipare alla udienza in camera di consiglio.

Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 19 del D.Lgs. n. 286 del 1998, e dell'art. 10 della Cost..

La Prefettura e la Questura di Catania con i provvedimenti amministrativi, posti in essere avrebbero violato le norme che prevedono il principio del "non respingimento" e del divieto di espulsione previsto dall'art. 19 del D.Lgs. n. 286 del 1998. L'art. 10, n. 4, del D.Lgs. n. 286 del 1998, infatti, vieta il respingimento dei richiedenti asilo, dei rifugiati e di coloro che devono essere protetti per motivi umanitari. L'art. 19 del D.Lgs. n. 286 del 1998, a sua volta, prevede il divieto di espulsione e di respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali. La Prefettura di Catania ha considerato irrituale la domanda formulata dallo straniero, esprimendo con cio' un giudizio di merito sulle circostanze di tempo di luogo e sulla fondatezza della stessa in diritto e non avrebbe quindi concesso ai richiedenti alcuna possibilita' di motivare e documentare le loro volonta'. Sebbene nel nostro ordinamento giuridico ancora non esista una normativa sull'asilo politico e sullo status di rifugiato, cio' nondimeno la dichiarazione della manifesta infondatezza delle richieste di status di rifugiato non puo' essere fatta ne' dalle Questure ne' dalle Prefetture, perche' non e' prevista dalla Risoluzione del Consiglio d'Europa 1995, ne' dalla legge ordinaria italiana. La mancata attuazione dell'art. 10, comma 3, della Cost. non potrebbe poi in alcun modo essere d'ostacolo alla sua forza cogente.

Con il terzo motivo, il ricorrente deduce violazione della L. 28 febbraio 1990, n. 39 - eccesso di potere per difetto di motivazione, per carenza di istruttoria, travisamento dei fatti, difetto di presupposti, errore di motivazione, illogicita' manifesta, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5. Il giudice del merito avrebbe dovuto annullare il provvedimento impugnato, in quanto la richiesta di asilo era gia' stata formulata per ben 11 cingalesi con telegramma dal loro procuratore. La domanda di asilo, in quanto diritto non strettamente personale, non esclude infatti la rappresentanza: si tratta di un diritto personale relativo, che puo' essere esercitato dal procuratore in nome e per conto. L'autorita' di polizia non ha permesso al procuratore e allo straniero di spiegare e provare attraverso documentazione, ne' durante le operazioni di rimpatrio ne' successivamente quanto da essi avanzato; ha soltanto valutato negativamente, nonostante la propria incompetenza, ogni e qualsiasi richiesta formulata dai predetti soggetti. Al contrario, le motivazioni della domanda non devono essere formulate in via immediata, ben potendo essere esternate nel momento in cui viene compilato il modello c/3. Non vi sono termini che precludano la generica previsione "istanza motivata" prevista dalla normativa.

Il secondo e il terzo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, stante la evidente connessione, sono infondati, avendo il Tribunale di Catania correttamente respinto l'impugnazione se pur dispiegando motivazione che deve, come appresso, essere integrata.

Ai fini della decisione della presente controversia, occorre premettere che l'art. 10, comma 3, della Cost., prevede che "Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l'effettivo esercizio delle liberta' democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d'asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge".

Nella vigenza dell'art. 5 del D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, nella L. 28 febbraio 1990, n. 39, il quale, al comma 2, stabiliva che contro i provvedimenti di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato e' ammesso ricorso al tribunale amministrativo regionale del luogo del domicilio eletto dall'interessato e in mancanza di una normativa di attuazione del precetto costituzionale, le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto che non possano trovare applicazione al richiedente asilo le disposizioni che disciplinano il riconoscimento dello status di rifugiato politico. Cio' sulla base di talune concorrenti argomentazioni: il precetto costituzionale e la normativa sui rifugiati politici non coincidono dal punto di vista soggettivo; la categoria dei rifugiati politici e' meno ampia di quella degli aventi diritto all'asilo, in quanto la convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, ratificata con L. 24 luglio 1954, n. 722, prevede quale fattore determinante per la individuazione del rifugiato, se non la persecuzione in concreto, un fondato timore di essere perseguitato, cioe' un requisito che non e' considerato necessario dall'art. 10, comma 3, della Cost.; tale convenzione non prevede un vero e proprio diritto di asilo in favore dei rifugiati politici (Cass., SS.UU., 26 maggio 1997, n. 4674).

Nella medesima pronuncia si e' altresi' rilevato che alla diversita' di requisiti ai quali sono subordinate le due situazioni soggettive corrisponde anche una diversita' di trattamento, nel senso che allo straniero il quale chiede il diritto di asilo null'altro viene garantito se non l'ingresso nello Stato, mentre il rifugiato politico, ove riconosciuto tale, viene a godere, in base alla Convenzione di Ginevra, di uno status di particolare favore. Alla luce di tale considerazione si e' quindi affermato che le controversie che riguardano il diritto di asilo, di cui all'art. 10, comma 3, della Cost., rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di un diritto soggettivo al quale non e' applicabile la disciplina sullo status di rifugiato, la quale invece espressamente prevede la giurisdizione del giudice amministrativo.

Una successiva pronuncia (Cass., SS.UU., 17 dicembre 1999, n. 907), intervenuta dopo che l'art. 47 del D.Lgs. n. 286 del 1998, aveva abrogato L'art. 2 del D.L. n. 416 del 1989, e seguenti, ha poi affermato che la qualifica di rifugiato politico, secondo le previsioni della Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, che garantisce ad ogni rifugiato il libero e facile accesso ai tribunali nel territorio degli stati contraenti, con conseguente sostanziale parificazione del rifugiato al cittadino ai fini della delibazione relativa alla sussistenza della giurisdizione, costituisce come quella di avente diritto all'asilo - dalla quale si distingue, perche' richiede, quale fattore determinante, un fondato timore di essere perseguitato, cioe' un requisito che non e' considerato necessario dall'art. 10, comma 3, della Cost. - uno status, un diritto soggettivo, con la conseguenza che tutti i provvedimenti, assunti dagli organi competenti in materia, hanno natura meramente dichiarativa e non costitutiva, per cui le controversie riguardanti il riconoscimento del diritto di asilo o la posizione di rifugiato rientrano nella giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria. In tale occasione si e' quindi affermata la sussistenza della giurisdizione del giudice ordinario in relazione alla domanda proposta avverso il diniego dello status di rifugiato politico da parte della apposita Commissione costituita presso il Ministero dell'interno.

Chiarito, dunque, che la posizione del richiedente asilo e' una posizione di diritto soggettivo, occorre ora chiedersi se, a parte il caso in cui l'interessato proponga una specifica domanda di accertamento dinnanzi al giudice ordinario, allorquando la domanda sia rivolta all'autorita' amministrativa al momento dell'ingresso nel territorio dello Stato ovvero successivamente, e in particolare dopo l'adozione nei confronti dello straniero di un provvedimento di espulsione, la domanda stessa debba o meno presentare determinati requisiti e segnatamente, se l'istanza, come disposto dall'art. 1, comma 5, del D.L. n. 416 del 1989, per la richiesta dello status di rifugiato, debba essere motivata e accompagnata dalla richiesta di un permesso di soggiorno temporaneo.

In proposito, si deve rilevare che, pur non avendo trovato attuazione l'art. 10, comma 3, della Cost., nella legislazione nazionale non mancano formulazioni normative tali da indurre a ritenere che la domanda di asilo debba essere assistita dalle medesime formalita' previste per la richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato. In particolare, la L. 23 dicembre 1992, n. 523, recante Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla determinazione dello Stato competente per l'esame di una domanda di asilo presentata in uno degli Stati membri delle Comunita' europee, con processo verbale, fatta a Dublino il 15 giugno 1990, all'art. 1 reca le seguenti disposizioni: "Ai fini della presente convenzione si intende per: a) straniero chi non e' cittadino di uno Stato membro; b) domanda di asilo: domanda con cui uno straniero chiede ad uno Stato membro la protezione della convenzione di Ginevra invocando la qualita' di rifugiato ai sensi dell'art. 1 della summenzionata convenzione, modificata dal protocollo di New York; c) richiedente l'asilo: straniero che ha presentato una domanda di asilo in merito alla quale non e' ancora stata presa una decisione definitiva; d) esame di una domanda di asilo: l'insieme dei provvedimenti relativi all'esame di una domanda di asilo, delle decisioni o delle sentenze ad essa afferenti, adottati dalle autorita' competenti, ad eccezione delle procedure di determinazione dello Stato competente per l'esame della domanda di asilo in virtu' delle disposizioni della presente convenzione". Gia' alla luce di tali norme, non pare dubitabile che il legislatore nazionale, nel recepire la suindicata Convenzione, abbia considerato la domanda di asilo come finalizzata al riconoscimento dello status di rifugiato.

Che il legislatore nazionale consideri la domanda di asilo in modo indistinto rispetto al riconoscimento dello status di rifugiato emerge poi chiaramente dalla successiva evoluzione legislativa. Il testo unico approvato con D.Lgs. n. 286 del 1998, infatti, nel disciplinare l'istituto del respingimento, all'art. 10, comma 4, del D.Lgs. n. 286 del 1998, dispone che "le disposizioni dei commi 1, 2 e 3 e quelle dell'art. 4, comma 3 e comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, non si applicano nei casi previsti dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari". A sua volta, l'art. 19, comma 1, D.Lgs. n. 286 del 1998, medesimo, stabilisce che "In nessun caso puo' disporsi l'espulsione o il respingimento verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzioni per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione". Nel dare attuazione a tali disposizioni, poi, l'art. 11, del D.P.R. 31 agosto 1999, n. 384, comma 1, lett. a), dispone che "il permesso di soggiorno e' rilasciato, quando ne ricorrano i presupposti, per i motivi e la durata indicati nel visto d'ingresso o dal testo unico, ovvero per uno dei seguenti motivi: a) per richiesta di asilo, per la durata delle procedure occorrenti".

Ancor piu' esplicitamente, la L. 30 luglio 2002, n. 189, al capo secondo, sotto la rubrica "Disposizioni in materia di asilo", con gli artt. 32 e 33 della L. 30 luglio 2002, n. 189, ha introdotto modificazioni e nuove disposizioni nel corpo del D.L. n. 416 del 1989. In particolare, e' stato introdotto l'art. 1 bis del D.L. n. 416 del 1989, il quale, nel disciplinare i casi di trattenimento, dispone, al primo comma, che il richiedente asilo non puo' essere trattenuto al solo fine di esaminare la domanda di asilo presentata. Esso puo', tuttavia, essere trattenuto per il tempo strettamente necessario alla definizione delle autorizzazioni alla permanenza nel territorio dello Stato in base alle disposizioni del testo unico di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, tra l'altro, per verificare gli elementi su quali si basa la domanda di asilo, qualora tali elementi non siano immediatamente disponibili. Ai sensi del comma 2, il trattenimento deve essere sempre disposto: a) a seguito della presentazione di una domanda di asilo presentata dallo straniero fermato per avere eluso o tentato di eludere il controllo di frontiera o subito dopo, o, comunque, in condizioni di soggiorno irregolare; b) a seguito della presentazione della domanda di asilo da parte di uno straniero gia' destinatario di un provvedimento di espulsione o respingimento. Il comma 5 del medesimo art. stabilisce poi che allo scadere del periodo previsto per la procedura semplificata di cui all'art. 1 ter del D.L. n. 416 del 1989 e qualora la stessa non si sia ancora conclusa, allo straniero e' concesso un permesso di soggiorno temporaneo fino al termine della procedura stessa.

L'art. 1 ter del D.L. n. 416 del 1989, a sua volta, sotto la rubrica "procedura semplificata", dispone, al comma 1, che nei casi di cui alla lett. a) e lett. b) del comma 2 dell'art. 1 bis del D.L. n. 416 del 1989 e' istituita la procedura semplificata per la definizione della istanza di riconoscimento dello status di rifugiato secondo le modalita' di cui ai commi da 2 a 6, disciplinando, poi, ai commi 2 e 3 gli adempimenti ai quali deve provvedere il questore non appena ricevuta la richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, presentata, rispettivamente, ai sensi dell'art. 1 bis del D.L. n. 416 del 1989, comma 2, lett. a), e dell'art. 1 bis del D.L. n. 416 del 1989, comma 2, lett. b). Al comma 5, inoltre, l'art. 1 ter del D.L. n. 416 del 1989 stabilisce che lo Stato italiano e' competente all'esame delle domande di riconoscimento dello status di rifugiato di cui al presente articolo, ove i tempi non lo consentano, ai sensi della Convenzione di Dublino ratificata ai sensi della L. 23 dicembre 1992, n. 523. Per lo svolgimento della procedura semplificata e' altresi' prevista la costituzione di commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato (art. 1 quater del D.L. n. 416 del 1989), che, per l'esame delle domande di asilo presentate ai sensi dell'art. 1 bis del D.L. n. 416 del 1989, comma 2, lett. a) e lett. b), e' integrata da un componente della Commissione nazionale per il diritto di asilo, cosi venendo denominata la Commissione nazionale per il riconoscimento dello status di rifugiato gia' prevista dall'art. 2 del regolamento di cui al D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136.

Da ultimo, il D.Lgs. 7 aprile 2003, n. 85, di attuazione della direttiva 2001/55/CE relativa alla concessione della protezione temporanea in caso di afflusso massiccio di sfollati e alla cooperazione in ambito comunitario, all'art. 7 del D.Lgs. 7 aprile 2003, n. 85, sotto la rubrica "istanze di asilo", dispone che "l'ammissione alle misura di protezione temporanea non preclude la presentazione dell'istanza per il riconoscimento dello status di rifugiato ai sensi della Convenzione di Ginevra.

Le disposizioni alle quali si e fatto cenno assumono un rilevante significato al fine di stabilire se, anche in riferimento alla domanda di asilo, debbano o meno trovare applicazione l'art. 1, comma 5, del D.L. n. 416 del 1989 (disposizione, questa, non abrogata dall'art. 47 del D.Lgs. n. 286 del 1998, che alla lettera e ha invece abrogato l'art. 2 del D.Lgs. n. 286 del 1998, e ss.), nonche' l'art. 1, comma 2, del D.P.R. 15 maggio 1990, n. 136.11 primo prescrive che "lo straniero che intende entrare nel territorio dello Stato per essere riconosciuto rifugiato deve rivolgere istanza motivata e, in quanto possibile, documentata all'ufficio di polizia di frontiera" e stabilisce che "il Questore (...) rilascia, su richiesta, un permesso di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione della procedura di riconoscimento". Il secondo prevede che "la Questura raccoglie i dati sulla identita' del richiedente la qualifica di rifugiato e i documenti prodotti o comunque acquisiti anche d'ufficio, redige un verbale delle dichiarazioni dell'interessato e, sempre che non risultino i motivi ostativi di cui all'art. 1, comma 4, del D.L. n. 416 del 1989 sopra richiamato (D.L. n. 416 del 1989), invia entro sette giorni tutta la documentazione istruttoria alla commissione di cui all'art. 2, rilasciando al richiedente un permesso di soggiorno temporaneo valido sino alla definizione della procedura".

Il Collegio ritiene che al quesito ora posto debba essere data risposta affermativa, giacche' le indicazioni che emergono dal diritto positivo, innanzi richiamato, convergono nel senso di accomunare i due istituti sotto il profilo procedimentale, pur lasciando inalterati i connotati sostanziali che li differenziano. Del resto, conferma in tal senso si trae dalla sentenza di questa Corte 8 aprile 2002, n. 5055 che, pronunciandosi sul ricorso proposto da uno straniero avverso il decreto di espulsione emesso nei suoi confronti pur se aveva presentato domanda di asilo, lo ha rigettato argomentando proprio sulla riconducibilita' della domanda di asilo proposta alla disciplina posta dall'art. 1, comma 5, del D.L. n. 416 del 1989.

Nella citata pronuncia (ma per analoghe affermazioni v. anche Cass., 4 giugno 2002, n. 8067), la Corte ha rilevato che, in coerenza con il dettato dell'art. 10 comma 3, della Cost., il testo unico sulla disciplina dell'immigrazione e sulla condizione giuridica dello straniero, approvato con D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, interamente recependo le previsioni della L. 6 marzo 1998, n. 40, ha inteso escludere l'esercizio dei poteri di respingimento ed espulsione degli stranieri che versino nelle condizioni "previste dalle disposizioni vigenti che disciplinano l'asilo politico, il riconoscimento dello status di rifugiato, ovvero l'adozione di misure di protezione temporanea per motivi umanitari" (art. 10, comma 4, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U.)), in nessun caso essendo consentita una misura che importi il rinvio del respinto o dell'espulso verso uno Stato che lo esponga a persecuzione in ragione delle sue condizioni personali e delle sue idee (art. 19, comma 1, del D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (T.U.)).

In riferimento alla condizione ostativa alla espulsione, costituita dallo status di rifugiato, la Corte, dopo aver ricordato che essa differisce da quella dell'avente diritto all'asilo ex art. 10, comma 3, della Cost., in ragione della esigenza di accertare l'ulteriore requisito del pericolo di persecuzione (Cass., SS.UU., 17 dicembre 1999, n. 907), ha rilevato che il riconoscimento dello status in discorso tuttora si consegue attraverso la procedura di cui all'art. 1, comma 5, del D.L. 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla L. 28 febbraio 1990, n. 39 (norma non abrogata dall'art. 47 del D.Lgs. n. 286 del 1998, che, alla lettera e ha invece abrogato l'art. 2 del D.Lgs. n. 286 del 1998 e seg.). In base alla conservata disposizione, dunque, lo straniero deve presentare all'Ufficio di Polizia istanza motivata e sulla sua base "Il Questore (....) rilascia, dietro richiesta, un permesso di soggiorno temporaneo valido fino alla definizione della procedura di riconoscimento".

Tutti i provvedimenti assunti al proposito, e con particolare riguardo a quelli occorsi nell'ambito della procedura afferente l'invocato status di rifugiato, ha osservato la Corte, non possono che avere natura dichiarativa-accertativa avendo essi ad oggetto il riconoscimento di un diritto soggettivo, con la conseguenza che le controversie relative al diniego di tale riconoscimento ed al permesso di soggiorno ad esso strumentale rientrano nella giurisdizione dell'autorita' giudiziaria ordinaria.

In tal quadro e' chiaro che il divieto di espulsione, e l'illegittimita' del decreto del Prefetto che abbia ad essa provveduto, sono conseguenza, nel caso dello straniero che deduca le condizioni per poter beneficiare dello status di rifugiato, della presentazione della motivata istanza all'Ufficio di Polizia e della correlata richiesta di fruire di permesso di soggiorno temporaneo in pendenza della relativa procedura di riconoscimento, da un canto restando escluso il rilievo delle mere affermazioni dell'interessato di trovarsi nelle condizioni per un esito favorevole della procedura e, dall'altro, ben potendo il Giudice ordinario, adito in opposizione al decreto di espulsione, annullarlo in ragione della documentata pendenza della procedura e dell'ingiustificato diniego del (o ritardo nella concessione del) permesso temporaneo da parte del Questore.

Altro e', di contro, l'istituto del divieto di respingimento od espulsione (art. 19 del D.Lgs. n. 286 del 1998), in base al quale in nessun caso l'espulso puo' essere inviato in uno Stato nel quale egli puo' patire persecuzioni: si tratta di una misura di protezione umanitaria ed a carattere negativo che non conferisce, di per se', al beneficiario alcun titolo di soggiorno in Italia ma solo il diritto a non vedersi reimmesso in un contesto di elevato rischio personale. E sara' il Giudice a valutare in concreto la sussistenza delle allegate condizioni ostative alla espulsione od al respingimento.

Applicando quindi al caso di specie i principi suindicati, che il Collegio condivide, deve rilevarsi che, essendo mancata e tuttora mancando da parte del ricorrente la prova (o anche la semplice allegazione) dell'avvenuta presentazione di una istanza di concessione del permesso di soggiorno in pendenza della domanda di asilo, nessun ostacolo alla espulsione poteva essere costituito dalla sola proposizione della domanda stessa. E di converso, e' altrettanto evidente che, a contestare le valutazioni in fatto operate dal Giudice di merito sulla insussistenza delle condizioni di persecuzione ostative al respingimento ex art. 19 del D.Lgs. n. 286 del 1998, non vale in alcun modo addurre il menzionato "fatto" della proposizione della domanda di asilo, dovendo soltanto essere censurata per vizi argomentativi la valutazione in proposito espressa dal primo Giudice. E il ricorso non contiene alcuna censura idonea ad evidenziare la sussistenza di un vizio di motivazione nell'iter argomentativo seguito nel provvedimento impugnato per escludere la sussistenza del pericolo di persecuzioni.

In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Sussistono, tuttavia, in considerazione della natura della presente controversia, giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimita'.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; compensa le spese.

Cosi' deciso in Roma, il 6 novembre 2003.

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