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E' inapplicabile all’azienda il condono Iva se l’amministratore ha patteggiato per il reato di evasione fiscale - Cass. sent. n. 8324 del 25.05.2012

Svolgimento del processo

1. La S. s.r.l. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sardegna indicata in epigrafe, con la quale, in accoglimento dell'appello dell'Ufficio, è stata affermata la legittimità dell'avviso di accertamento notificato alla contribuente nel dicembre 2003 per IVA, IRPEG ed IRAP relative all'anno 1999, pur avendo la società presentato nel maggio 2003 domanda di definizione automatica per gli anni pregressi ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 9.

In particolare, per quanto qui ancora rileva, il giudice di merito ha ritenuto che nella fattispecie opera la causa ostativa all'applicabilità del condono prevista dal citato art. 9, comma 14, lett. b), poichè alla suddetta data di presentazione della domanda si era già concluso, con patteggiamento, il procedimento penale instaurato a carico dell'amministratore della società per reati elencati al precedente comma 10, lett. c), e che tale causa ostativa è applicabile, anche al fine di evitare una incostituzionale disparità di trattamento, non solo alle persone fisiche ma anche alle società di capitali. Ha, infine, ritenuto assorbite le censure di merito riproposte dalla contribuente nell'atto di controdeduzioni all'appello.

2. L'Amministrazione delle finanze e l'Agenzia delle entrate non si sono costituite.

Motivi della decisione

1.1. Con i primi tre motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per stretta connessione, la società contribuente denuncia "violazione e/o falsa applicazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 14, lett. b)", censurando la sentenza impugnata per avere il giudice a quo ritenuto operante, nella fattispecie, la causa ostativa all'applicabilità del condono prevista nella norma citata, la quale dispone, per quanto qui interessa, che la definizione automatica disciplinata dal detto art. 9 non si applica qualora "è stata esercitata l'azione penale per gli illeciti di cui alla comma 10, lett. c), della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione per la definizione automatica".

Osserva al riguardo, in sintesi, che: a) l'esercizio dell'azione penale per gli illeciti elencati nell'art. 9, comma 10, lett. c), non può riguardare la società, nè la previsione che, nell'ipotesi di fatti commessi da chi agisce in qualità di amministratore o rappresentante di società, il fine di evadere le imposte o di sottrarsi al pagamento delle stesse si intende riferito - ai sensi del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 1, comma 1, lett. c), - alla società può implicare che l'illecito sia riconducibile a quest'ultima anzichè all'autore effettivo; b) il requisito della "formale conoscenza" dell'esercizio dell'azione penale induce a ritenere che tale notizia debba essere indirizzata alla società, secondo le procedure di notificazione previste per le persone giuridiche, anzichè al suo legale rappresentante, e ad una società di capitali non possono essere notificati (quanto meno in veste di imputato) gli atti tipici con i quali viene promossa l'azione penale nei confronti del proprio amministratore.

1.2. I motivi sono infondati.

In primo luogo, va ricordato - com'è noto - che, con la sentenza della Corte di giustizia 17 luglio 2008, causa C-132/06, è stata dichiarata l'incompatibilità con il diritto comunitario, fra l'altro, proprio della L. n. 289 del 2002, art. 9, nella parte in cui prevede la condonabilità dell'IVA alle condizioni ivi indicate: ne consegue l'obbligo del giudice nazionale di disapplicare tale norma, limitatamente all'IVA (cfr. Cass., Sez. un., n. 3674 del 2010, nonchè Cass. n. 22250 del 2011).

Ciò premesso, la disciplina rilevante ai fini della decisione è costituita dalle seguenti norme, nel testo vigente all'epoca dei fatti (a seguito delle modifiche apportate dal D.L. n. 282 del 2002, art. 5 bis, convertito nella L. n. 27 del 2003): la L. n. 289 del 2002, art. 9, comma 14, prevede, alla lett. b), che le disposizioni del medesimo articolo non si applicano qualora "è stata esercitata l'azione penale per gli illeciti di cui al comma 10, lett. c), della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione per la definizione automatica"; il precedente art. 9, comma 10 stabilisce a sua volta che il perfezionamento della procedura di definizione comporta l'esclusione della punibilità per vari reati, ma che tale esclusione "non si applica in caso di esercizio dell'azione penale della quale il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di presentazione della dichiarazione per la definizione automatica" (lett. c, ultimo periodo); infine, il D.L. n. 143 del 2003, convertito nella L. n. 212 del 2003, chiarisce, all'art. 1, comma 2 septies, che le disposizioni di cui al citato comma 10, lett. c), "si intendono nel senso che la esclusione della punibilità opera nei confronti di tutti coloro che hanno commesso o concorso a commettere i reati ivi indicati anche quando le procedure di sanatoria, alle quali è riferibile l'effetto di esclusione della punibilità, riguardano contribuenti diversi dalle persone fisiche e da questi sono perfezionate".

Dall'esame di tale quadro normativo e dalla complessiva ratio della disciplina di condono discende che la tesi della ricorrente, essenzialmente basata sulla soggettività autonoma della società rispetto alla persona fisica del suo rappresentante, non può essere condivisa.

L'assunto della necessità di una "doppia conoscenza formale" dell'esercizio dell'azione penale è già stato, infatti, ritenuto infondato da questa Corte, sul rilievo della coincidenza e sostanziale inscindibilità nella stessa persona delle due figure di contribuente ed imputato, in ipotesi di incriminazione di legali rappresentanti di società in relazione a fatti di evasione di imposte dovute dalle società medesime (Cass. pen., 7 febbraio 2006, n. 4830; in senso conforme, Cass. pen., 26 gennaio 2007, n. 2896).

Va aggiunto che l'interpretazione sostenuta dalla ricorrente da adito, come giustamente rilevato anche dal giudice a quo, a seri dubbi di legittimità costituzionale per la ingiustificata posizione di privilegio di cui godrebbero, ai fini dell'accesso al condono, le persone giuridiche (che sarebbero sempre ammesse al beneficio) rispetto alle persone fisiche (soltanto per le quali opererebbero le cause ostative in esame), a fronte di una disciplina legislativa uniforme per le une e le altre (in tal senso anche Cass. pen., n. 4830 del 2006, cit.).

2. Deve essere, invece, accolto il quarto motivo, con il quale la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia sulle censure attinenti al merito della pretesa tributaria.

Risulta infatti dalla sentenza impugnata che queste ultime, proposte nel ricorso introduttivo e rimaste assorbite in primo grado a seguito dell'accoglimento della preliminare questione dell'ammissibilità del condono, furono ritualmente riproposte dalla contribuente nell'atto di controdeduzioni all'appello e, quindi, dovevano essere esaminate dal giudice del gravame, anzichè essere dichiarate assorbite.

3. In conclusione, va accolto il quarto motivo di ricorso e rigettati gli altri, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa rinviata, per l'esame delle questioni concernenti il merito della pretesa impositiva, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sardegna, la quale provvederà in ordine alle spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sardegna.