art. 107 c.p.c. - Il giudice, quando ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo al quale la causa è comune, ne ordina l'intervento.
Giurisprudenza sull'art. 107 c.p.c.
Cassazione, massima sentenza n. 7083 del 22-06-1995
L'intervento in causa "iussu iudicis", ex art. 107 c.p.c., può essere disposto dal giudice in qualsiasi momento, ma solo nel giudizio di primo grado e non anche nel giudizio d'appello. Detto intervento - che va disposto quando il giudice ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo, al quale la causa è comune - si ricollega ad una facoltà del giudice (di primo grado), il cui esercizio (in senso positivo o in senso negativo) coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali, non sindacabili in sede di legittimità.
Cassazione, massima sentenza n. 12660 del 27.11.1992
Nel rito del lavoro - nel quale la chiamata in causa di un terzo ad istanza di parte non avviene mai per iniziativa diretta della parte medesima ex art. 106 e 269 c.p.c., ma deve essere autorizzata dal giudice ai sensi dell'art. 420, nono comma, c.p.c. - la chiamata in giudizio del condebitore solidale, domandata dal creditore e disposta senza alcun riferimento a ragioni di necessità od opportunità rilevate dal giudice stesso, dà luogo, indipendentemente dalla forma del relativo provvedimento, ad un intervento ad istanza di parte, anziché "iussu iudicis"; ne consegue che, ove la sentenza di condanna dei condebitori solidali sia stata appellata solo dal chiamato predetto, il giudice di appello non è tenuto ad ordinare l'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., nei confronti dell'altro condebitore, non versandosi in ipotesi di cause inscindibili.
Giurisprudenza sull'art. 107 c.p.c.
Cassazione, massima sentenza n. 7083 del 22-06-1995
L'intervento in causa "iussu iudicis", ex art. 107 c.p.c., può essere disposto dal giudice in qualsiasi momento, ma solo nel giudizio di primo grado e non anche nel giudizio d'appello. Detto intervento - che va disposto quando il giudice ritiene opportuno che il processo si svolga in confronto di un terzo, al quale la causa è comune - si ricollega ad una facoltà del giudice (di primo grado), il cui esercizio (in senso positivo o in senso negativo) coinvolge valutazioni assolutamente discrezionali, non sindacabili in sede di legittimità.
Cassazione, massima sentenza n. 12660 del 27.11.1992
Nel rito del lavoro - nel quale la chiamata in causa di un terzo ad istanza di parte non avviene mai per iniziativa diretta della parte medesima ex art. 106 e 269 c.p.c., ma deve essere autorizzata dal giudice ai sensi dell'art. 420, nono comma, c.p.c. - la chiamata in giudizio del condebitore solidale, domandata dal creditore e disposta senza alcun riferimento a ragioni di necessità od opportunità rilevate dal giudice stesso, dà luogo, indipendentemente dalla forma del relativo provvedimento, ad un intervento ad istanza di parte, anziché "iussu iudicis"; ne consegue che, ove la sentenza di condanna dei condebitori solidali sia stata appellata solo dal chiamato predetto, il giudice di appello non è tenuto ad ordinare l'integrazione del contraddittorio, ai sensi dell'art. 331 c.p.c., nei confronti dell'altro condebitore, non versandosi in ipotesi di cause inscindibili.
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