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Giudicato esterno - rilevabile d'ufficio

Secondo la sentenza in commento, nel giudizio di cassazione, l'esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio anche quando il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, e, nel caso in cui consegua ad una sentenza della Corte di cassazione, la cognizione di quest'ultima può avvenire pure mediante le doverose attività di istituto volte a prevenire il contrasto tra giudicati, in coerenza con il divieto del "ne bis in idem", ed a conoscere i propri precedenti, nell'adempimento del dovere istituzionale derivante dall'esercizio della funzione nomofilattica di cui all'art. 65 dell'ordinamento giudiziario.

Segue testo sentenza n. 9149/2014 della Corte di Cassazione

OMISSIS
Svolgimento del processo

Con sentenza n. 83/04/07, depositata il 26.11.2007, la CTR dell'Umbria, in riforma della decisione della CTP di Perugia, ha rigettato il ricorso col quale la S.r.l. Centrale del Latte C. aveva impugnato l'avviso di liquidazione dell'imposta di registro emesso sul presupposto che le operazioni intervenute nell'anno 2000, con la S.r.l. Centrale del Latte C. G. P., poi dichiarata fallita, costituivano cessione di azienda, esclusa dal campo dell'IVA. I giudici d'appello hanno ritenuto che:

a) le singole operazioni di trasferimento intervenute inter partes comprendeva un insieme di beni strumentali, idonei ad integrare la cessione d'azienda, tenuto conto, pure, che nella nuova società lavoravano i vecchi dipendenti e che era presente il vecchio amministratore unico della cedente; b) il valore tassabile era stato calcolato in riferimento ai redditi imponibili ed al volume d'affari relativi al triennio precedente 1998-2000 dichiarati dalla stessa cedente.

La contribuente ricorre per la cassazione della sentenza, con cinque motivi. L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo, con cui la ricorrente censura la ratio decidendi sub a) deducendo, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che i giudici avevano considerato circostanze irrilevanti, ne avevano travisato altre, e non avevano valutato la cessione a terzi di attrezzature aziendali, che deponeva per l'intento della cedente di smembrare l'azienda in vista della cessazione dell'attività, va rigettato. 2.

Va, infatti, rilevato che, con sentenza di questa Corte n. 25635 del 2009, emessa inter partes nel procedimento RG n. 19860 del 2008, è rimasto definitivamente accertato che l'Iva sulle singole operazioni di cessione era stata indebitamente detratta, dalla contribuente, dato che tramite le stesse era stata realizzata, appunto, una cessione d'azienda. 3. Tale accertamento, divenuto irrevocabile in ordine alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause (controversa sussistenza della cessione d'azienda tramite cessioni frazionate, e conseguente assoggettabilità, in via alternativa, a registro o ad Iva) formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, ne preclude il riesame tra le stesse parti. 4. Va, solo, aggiunto, che, nel giudizio di cassazione, l'esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile di ufficio (la controricorrente si è limitata a dedurre la pendenza presso questa Corte del ricorso in tema d'Iva) anche quando il giudicato si sia formato successivamente alla pronuncia della sentenza impugnata, e, nel caso in cui consegua ad una sentenza della Corte di cassazione, la cognizione di quest'ultima può avvenire pure mediante le doverose attività di istituto volte a prevenire il contrasto tra giudicati, in coerenza con il divieto del "ne bis in idem", ed a conoscere i propri precedenti, nell'adempimento del dovere istituzionale derivante dall'esercizio della funzione nomofilattica di cui all'art. 65 dell'ordinamento giudiziario.

5. Col secondo mezzo, si deduce vizio di motivazione, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sul fatto controverso così precisato: "se l'avviso di liquidazione D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, ex art. 54, comma 5, impugnato in primo grado possa considerarsi sufficientemente e correttamente motivato ai sensi del D.P.R. n. 131 del 1986, artt. 52 e 2 bis". 6. Il motivo è inammissibile. A parte, infatti, che il motivo confonde il difetto di motivazione dell'atto impositivo, che costituisce un vizio di legittimità dell'atto (da dedurre in relazione al parametro di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) con il difetto di motivazione della sentenza (questo, si, da censurare in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, omette di trascrivere il contenuto dell'atto impositivo, vizio che appare esiziale, tenuto conto che la CTR lo ha ritenuto legittimo "ancorchè non ampiamente motivato, atteso che lo stesso fa riferimento, ai fini della valutazione dell'avviamento ai redditi imponibili ed ai volumi d'affari del triennio precedente 1998/2000".

7. Il quesito, direttamente riferito all'atto impositivo invece che alla decisione impugnata e formulato come un mero interpello, non rispecchia i parametri di cui all'art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, in quanto non espone il fatto controverso, con ulteriore ragione d'inammissibilità.

8. Col terzo motivo, si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4, per essere l'avviamento stato computato sulla base del triennio 1998-2000, piuttosto che a quello 1997-1999, tenuto conto che la presunta cessione sarebbe avvenuta nell'anno 2000.

9. Col quarto motivo, la ricorrente deduce il vizio di motivazione, per non avere la CTR valutato i criteri di valutazione da lei proposti, riferiti ad una contrazione del fatturato della cedente ed al fatto che gli utili netti "non mostrano risultati particolarmente brillanti", elementi dai quali si poteva ricavare un valore di molto inferiore.

10. Col quinto mezzo, si denuncia, nuovamente, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 460 del 1996, art. 2, comma 4, perchè applicato in ipotesi diversa rispetto all'accertamento con adesione, in riferimento al quale la disciplina era stata emanata.

11. I motivi, che, per comodità espositiva, vanno congiuntamente esaminati, sono inammissibili, in quanto difettano di autosufficienza in riferimento agli elementi considerati dall'Ufficio con l'atto impositivo, che, come si è detto al punto 6. non è stato trascritto, sicchè non è neppure noto se l'avviso si sia, o meno, fondato sul D.P.R. n. 460 del 1996. 12. I motivi, ad ogni modo, sono anche infondati, dovendo rilevarsi che la determinazione dell'entità dell'avviamento:

a) è desumibile, anche, mediante l'adozione dei criteri di cui al D.P.R. n. 460 del 1996, ancorchè tali criteri siano relativi ad una disposizione regolamentare che non è direttamente applicabile, perchè enucleata nell'ambito della disciplina dell'accertamento con adesione (Cass. n. 613 del 2006) e che è stata adottata in base ad una norma di legge abrogata (Cass. n. 9115 del 2012);

b) costituisce l'oggetto di un giudizio di fatto rimesso al prudente apprezzamento del giudice di merito ed immune da sindacato di legittimità se adeguatamente motivato (cfr. Cass. n. 2702 del 2002; n. 2204 del 2006; n. 21314 del 2008; n. 2747 del 2012), con la precisazione che la congruità della motivazione della sentenza non può restare nè confermata nè esclusa per il solo fatto che il metodo di calcolo prescelto coincida con quello indicato dal D.P.R. n. 460 del 1996, che, come tutti i metodi pratici di calcolo, lascia sussistere un certo margine di approssimazione, verificabile, come ogni altro modello valutativo (cfr. Cass. n. 613 del 2006 e n. 9115 del 2012, cit.). 13. La deduzione secondo cui l'applicazione del criterio di calcolo dell'avviamento sarebbe avvenuta in modo illegittimo in riferimento al triennio considerato è priva di autosufficienza in quanto non riferisce quando gli effetti della cessione dell'azienda si sarebbero verificati, precisazione che sarebbe stata tanto più necessaria in quanto le cessioni dei beni che la hanno determinata sono intervenute, come si legge nell'impugnata sentenza, il 31.12.2000. 14. La CTR ha ritenuto corretto il valore dell'avviamento determinato dall'Ufficio in riferimento a dati (reddito imponibile e volume d'affari) ritenuti attendibili, perchè mutuati da quelli dichiarati dalla stessa cedente, e tale motivazione, del tutto congrua, è immune alle critiche che le vengono rivolte sotto il profilo motivazionale, con le quali, prospettandosi la bontà dell'utilizzo di altri elementi valutativi, si tende ad un nuovo esame di merito, inammissibile in questa sede di legittimità.

15. Il ricorso va, in conclusione, rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese liquidate in Euro 2.000,00, oltre a spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2014.

Depositato in Cancelleria il 23 aprile 2014

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