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Esercizio abusivo della professione - odontoiatra

Corte d'appello di Palermo, sentenza del 03.04.2013
OMISSIS
Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con sentenza in data 5 giugno 2012, il Tribunale di Palermo in composizione monocratica dichiarava L.B.G. responsabile del reato di cui agli artt. 81 cpv, 348 c.p. per avere, in esecuzione di un medesimo criminoso, esercitato, in assenza della speciale abilitazione, la professione di dottore odontoiatra e, per l'effetto, lo condannava alla pena di mesi quattro di reclusione, oltre al pagamento delle spese del procedimento.

Avverso detta pronuncia interponeva rituale appello il difensore dell'imputato il quale chiedeva, in principalità, che il L.B. fosse assolto dal reato ascrittogli, quantomeno ai sensi dell'art. 530, comma 2 c.p.p., ed, a tal fine, deduceva che:

- il Giudice di prime cure non avesse svolto uno scrutino delle prove assunte, all'uopo omettendo motivazione;

- il L.B. aveva conseguito in Romania "titolo professionale nell'area sanitaria" per il quale era stata inoltrata presso il Ministero della Salute domanda di riconoscimento ;

- il connotato dell'abitualità, proprio del delitto de quo, difettava nella fattispecie sottoposta alla cognizione dell'A.G;

- non si ravvisavano - secondo quanto indicato dalla Suprema Corte di Cassazione a sezione unite - nella condotta dell'imputato i tratti propri dell'esercizio della professione odontoiatrica, quali la continuità,l' abitualità, l'onerosità o, comunque, una specifica organizzazione.

L'appello risulta infondato.

Le risultanze istruttorie (compendiate nelle prove dichiarative assunte e nelle produzioni documentali acquisite ex art. 493, comma 3 c.p.p.) evidenziano la prova di responsabilità dell'imputato.

In primo luogo, risulta provato che egli, nell'ambito dello studio corrente in Palermo, in via Filippo Parlatore n. 2, dotato di poltrona - riunito e di arredi idonei allo svolgimento dell'attività odontoiatrica, realizzò atti propri della professione di odontoiatra.

Dalla disamina del verbale di controllo e sequestro stilato dai militari del NAS ed acquisito sul consenso delle parti, risulta che, all'atto dell'attività ispettiva eseguita il 28 aprile 2008, presso lo studio erano presente tre signore, due delle quali stazionavano nella sala d'attesa mentre la terza si trovava seduta nella poltrona -riunito, in attesa dell'imputato che era impegnato al telefono.

Le tre donne (compiutamente identificate in C.C., C.A. e C.M.) venivano assunte a sit e riferivano, concordemente, di ivi trovarsi per ricevere le cure dell'imputato, a cui avevano peraltro già fatto ricorso in passato (cfr. verbale di controllo dei NAS in atti).

Non è dato conoscere la natura delle prestazioni odontoiatriche di "cura" poste in essere dal L.B.; ciò non di meno, deve osservarsi che ogni attività di cura, anche all'apparenza la più elementare, rientra nel novero delle competenze proprie del medico - odontoiatra .

Così, a titolo esemplificativo, la sola ispezione del cavo orale con lo scopo di diagnostica di infezione in atto (cfr. Cass. 23 gennaio 10997, Vindigni, Cass. Pen. 1998, 1355) ovvero l'iniezione di anestetici prodromica ad un intervento strictu sensu odontoiatrico può essere svolta solo dal soggetto abilitato.

Parimenti, la rilevazione delle impronte dentarie del paziente richiede che l'agente sia dotato della qualità di odontoiatra (v., ex plurimis, con varie applicazioni del principio, Cass., Sez. 4^, 8 maggio 2007, Pelliccione; Sez. 6^, 10 giugno 2004, Massella, Id., 23 gennaio 1997, Vindigni; Sez. 1^, 11 febbraio 1997, De Luca; Sez. 6^, 9 novembre 1992, Cagalli; Id., 1 giugno 1989, Monticelli). È solo il caso di aggiungere, per completezza, che anche l'attività di ablazione del tartaro e lucidatura delle arcate dentarie, rientra senza dubbio nella competenza dell'odontoiatra, oltre che dell'igienista dentale, il quale tuttavia, al pari del primo, deve essere abilitato a tale delicata professione (comportante tra l'altro, su indicazione dell'odontoiatra, manovre strumentali sui denti del paziente) a seguito del conseguimento di un diploma di laurea triennale in Igiene dentale, con esame finale avente valore di abilitazione all'esercizio della professione (v. D.M. 15 marzo 1999, n. 137, art. 2).

Inoltre, dall'esame del teste C.G., rinvenuto presso lo studio dell'imputato, in occasione del secondo accesso, si evinceva che il L.B. avesse proseguito, nonostante l'avvenuto sequestro della poltrona (...), nell'esercizio dell'attività professionale ed, infatti, quegli aveva praticato al paziente l'estrazione di denti e l'applicazione di una protesi, attività che, all'evidenza, risultano riconducibili alla professione odontoiatrica (cfr. deposizione teste C., in atti).

Il teste C. vantava, inoltre, una consolidata conoscenza del L.B., in quanto originario di Ustica, a lui noto come esercente la professione di "dentista".

Non hanno pregio le deduzioni svolte dalla difesa dell'imputato.

Merita, a tal riguardo, evidenziare che, nel nostro ordinamento positivo, l'art. 348 c.p. è diretto a tutelare l'interesse della collettività al regolare svolgimento delle professioni sottoposte ad abilitazione, quale la professione odontoiatrica, ritenute particolarmente delicate ed importanti.

Avuto riguardo alla natura delle condotte penalmente rilevanti, la giurisprudenza della Suprema Corte ha avuto modo di chiarire che integra il reato de quo non solo la carenza ab origine del titolo abilitativo, ma, altresì, l'esercizio in assenza delle formalità richieste, quali risultano il conseguimento dell'abilitazione e l'iscrizione all'albo.

Inoltre, il reato - lungi dall'essere abituale - si consuma anche con l'esercizio di un solo atto professionale tipico.

In tal senso, non rileva il carattere gratuito o oneroso della prestazione né il consenso del destinatario della prestazione, in quanto ciò che si vuole realizzare è una tutela rafforzata verso il compimento di atti propri della professione soggetta ad abilitazione.

Ciò osservato, non può assumere alcun valore scriminante l'assunto conseguimento, in Romania, del titolo di "dottore in medicina"-"specializzazione in stomatologia" avuto riguardo all'esercizio della professione odontoiatrica: anche ad ammettere l'esistenza del titolo di studio, solo dedotta, risulta, infatti, comprovato, per ammissione dello stesso imputato (trasfusa nell'atto di gravame) che - al momento dell'ispezione da parte dei NAS - il L.B. non disponeva del riconoscimento del titolo in Italia, essendo, infatti, era ancora in corso la procedura relativa.

Il diritto comunitario consente, in ragione della libertà di circolazione intracomunitaria, l'esercizio della professione in altro paese membro; ciò non di meno, detto diritto è subordinato al perfezionarsi dell'iter di riconoscimento del titolo da parte del Ministero; prima di allora, chi esercita la professione, incorre nel reato.

In materia, merita osservare, infatti, che "l'art. 7 della L. 24 luglio 1985, n. 409, istitutiva della professione sanitaria di odontoiatria, prevede, in attuazione del diritto di stabilimento di cui all'art. 52 del Trattato C.E.E., e in conformità alla direttiva del Consiglio C.E.E. 25 luglio 1978, n. 686, che ai cittadini degli stati membri delle comunità europee che esercitano una attività professionale nel campo della odontoiatria e che sono in possesso dei prescritti diplomi, è riconosciuto il titolo di odontoiatra, o di odontoiatra specialista, ed è consentito l'esercizio della relativa attività. Tuttavia, per potere esercitare legalmente le predetta professione, è necessario, in base all'art. 8 della predetta legge, che l'interessato presenti domanda corredata al Ministero della Sanità, che deve accertare la regolarità della domanda e della documentazione e provvedere alla trasmissione della stessa all'ordine professionale competente per la iscrizione. In mancanza di detto formale riconoscimento, l'attività professionale deve ritenersi essere esercitata abusivamente"(Sez. 6, Sentenza n. 5672 del 22/04/1997).

Non può, invocarsi, d'altro canto, da parte dell'esercente la professione, l'errore sulle leggi regolanti la materia, atteso che, secondo la giurisprudenza consolidata, cui si ritiene di aderire, trattasi di errore su leggi integrative di legge penale in bianco che , senza escludere il dolo, si risolve in un inammissibile errore o ignoranza inescusabile della legge penale (cfr, sul punto, Cass. 16 novembre 1977, Grauberger, la cui fattispecie riguardava un cittadino tedesco che, in virtù del diritto comunitario, riteneva non fosse necessaria la preventiva iscrizione nell'albo).

Ad ogni buon conto, nel caso sottoposto alla cognizione dell'Autorità giudiziaria, l'imputato italiano non ha dedotto tanto ed, avendo mostrato di conoscere la normativa nazionale, all'uopo depositando istanza presso il Ministero, non può senz'altro addurre di non conoscere gli effetti dell'iter procedurale dallo stesso avviato.

Non merita neppure accoglimento la ricostruzione operata dal difensore, in ragione della quale il delitto de quo avrebbe natura abituale e richiederebbe, per la sua consumazione taluni requisiti, quali la continuità, l' abitualità, l'onerosità e, comunque, una specifica organizzazione, all'uopo menzionando una pronuncia della Suprema Corte a Sezione Unite.

Orbene, premesso che la sentenza richiamata dalla difesa del L.B. deve individuarsi in quella recante n. 11545 del 15/12/2011 Ud. (dep. 23/03/2012), si deve osservare che essa riguardava una professione diversa (quale era la professione di commercialista) e, soprattutto, si occupava d(...)ipotesi, differente da quella che ci impegna, della configurabilità del reato di cui all'art. 348 c.p., con riguardo all'esercizio di atti non riservati, in via esclusiva, a soggetti muniti di speciale abilitazione (nella specie, le condotte di tenuta della contabilità aziendale, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazione dei relativi pagamenti).

In virtù del principio richiamato dalle SU, rientrava nell'alveo dell'art. 348 c.p. la punibilità per il compimento di atti non riservati alle professioni di dottore commercialista, di ragioniere o di perito commerciale - quali disciplinati, rispettivamente, dai D.P.R. n. 1067 e D.P.R. n. 1068 del 1953 - da parte di chi, pur non essendo iscritto ai relativi albi professionali, dette attività svolgeva in modo continuativo, organizzato e retribuito, tale da creare, in assenza di indicazioni diverse, le apparenze di una tale iscrizione.

E' dunque chiaro che il caso esaminato e risolto dalla Cassazione a Sezioni Unite non si attaglia alla fattispecie che ne occupa, in cui, invece, sono state svolte attività tipiche della professione odontoiatrica, rispetto alle quali, in applicazione dei principi consolidati della Suprema Corte, è sufficiente, per la consumazione del reato, il compimento di un solo atto di esercizio abusivo.

Non potendo trovare accoglimento nessuno dei motivi di gravame, si conferma nell'integralità la sentenza del Giudice di prime cure.

Dal rigetto integrale dell'appello, segue la condanna dell'imputato alle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte, visti gli artt. 592 e 605 c.p.p., conferma la sentenza resa il 5 giugno 2012 dal Tribunale di Palermo in composizione monocratica, appellata dall'imputato OMISSIS che condanna al pagamento delle spese del presente grado di giudizio.

Indica in giorni trenta il termine per il deposito della motivazione.

Così deciso in Palermo, il 28 marzo 2013.

Depositata in Cancelleria il 3 aprile 2013.

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