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Danno rumori nel condominio - fastidio notturno

La sentenza in commento analizza la fattispecie dei rumori notturni nel condominio e del danno che ne deriva

Corte d'appello di Roma sentenza del 14.02.2007
OMISSIS
Svolgimento del processo

Con atto di citazione ritualmente notificato M.B. premesso di aver diffidato, in data 29.07.94, con lettera a firma del proprio coniuge S.P., A.A. residente nell'appartamento sovrastante a quello da lui abitato nello stabile sito in Roma di cessare la causazione di rumori molesti dalla stessa prodotti anche in orari notturni con zoccoli, accessori per le pulizie e spostamenti di mobili sovente accompagnati da musica tenuta ad alto volume; di aver, rimasta vana tale diffida, denunciato la A. per la contravvenzione di cui all'art. 659 cp; che l'A. era sta condannata con sentenza del Pretore di Roma del 25.11.98 per il reato di cui agli artt. 81 cpv, 659 cp e alla pena di Lire 600.000 di ammenda oltre spese processuali e al risarcimento dei danni a lui stesso, costituitosi parte civile, cagionati, da liquidarsi in sede civile; che a cagione della ripetuta condotta della A. era stato costretto ad effettuare rilievi fonometrici e lavori di insonorizzazione della propria abitazione per una spesa di Lire 21.360.000; che i rumori prodotti dalla A. avevano impedito il riposo notturno cagionando in lui un perenne stato di agitazione correlato alla mancanza di serenità domestica e alla frustrazione subita, conveniva la A. dinanzi al Tribunale di Roma per sentirla, attesa la di lei responsabilità penale come dichiarata nella predetta sentenza, condannare al risarcimento dei danni materiali e morali, diretti e indiretti da lui subiti nella misura di Lire 65.000.000 ovvero nella somma maggiore o minore accertando se del caso anche in via equitativa in ordine alla valutazione ex art. 2059 cc. Si costituiva la convenuta con comparsa del 17.12.99 contestando integralmente le deduzioni avanzate dall'attore e chiedendo il rigetto della domanda (come si apprende unicamente dalla sentenza impugnata in assenza del predetto atto). Il Tribunale, espletata CTU assunto l'interrogatorio formale della convenuta ed escussa a testimone S.P., moglie dell'attore, con la sentenza in epigrafe indicata, condannava la A. al risarcimento del danno liquidandolo in complessivi Euro 15.495,00 oltre interessi legali dalla domanda. Contro detta decisione proponeva appello la A. avanzando due motivi e chiedendo che in totale riforma di essa, previa sospensiva, venisse dichiarato che "nulla di quanto riconosciuto in sede di primo grado è dovuto dalla Sig.ra A.A. al Sig. B.M.". Quest'ultimo si costituiva contestando analiticamente i motivi avanzati dall'appellante e chiedendo il rigetto dell'appello. La Corte, assunte le conclusioni, riteneva la causa per la decisione all'udienza del 20.09.2006 concedendo i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle repliche.

Motivi della decisione

L'appello è infondato e va pertanto rigettato.

I. Con il primo motivo, l'appellante rileva che la sentenza impugnata appare carente di motivazione in ordine all'esposizione dei criteri adottati dal Tribunale al fine di determinare il quantum risarcitorio di Euro 15.495,00 comprensivo di danni materiali e morali e conseguentemente appare arbitraria la liquidazione in via equitativa di tal somma a fronte di una spesa di insonorizzazione determinata tramite CTU in Euro 11.031,00 (corrispondente a Lire 21.360.00). Va immediatamente osservato sul punto che il Tribunale, pur se ha parlato espressamente di valutazione equitativa ("appare conforme a giustizia pervenire ad una liquidazione equitativa, volta al ristoro del danno materiale e contestualmente al risarcimento di quelli non patrimoniali..., danni che, secondo un criterio unitario e globale, possono determinarsi alll'attualità, in Euro 15.495,00..."), che nel passo appena citato appare riferita sia ai danni materiali che a quelli morali, in realtà, in tutta evidenza, per quanto riguarda i primi, non ha affatto proceduto ad una valutazione equitativa, ma ha ritenuto che essi debbano identificarsi nella spesa sostenuta dall'appellato per le opere di insonorizzazione del proprio appartamento. Valutazione equitativa, invece, il Tribunale, e non poteva essere altrimenti, ha attuato in ordine al risarcimento per danno morale che quindi per sottrazione risulta essere stato quantificato in Euro 4.464,00. Ciò evidenziato, e ritenuto per certo quindi, che il Tribunale ha identificato nella predetta somma di Euro 11.031,00 il quantum risarcitolo per danni materiali ritenendo, evidentemente, sia la sussistenza dell'obbligo risarcitorio a carico dell'appellante in dipendenza della sua condotta ampiamente accertata come illecita dalla suddetta sentenza penale, accertamento ampiamente utilizzabile nel presente giudizio ancorché sia successivamente intervenuta sentenza dichiarativa di ndp per prescrizione e che l'appellante stesso non ha minimamente contestato, sia la congruità della spesa sostenuta dall'appellante per la realizzazione delle opere di insonorizzazione, l'unica reale contestazione avanzata dall'appellante risulta essere quella inerente al dedotto fatto che "se è vero che la controparte veniva disturbata nelle ore "di sonno" (ha l'abitudine di alzarsi alle 10 del mattino), allora sembra vero che ad abbisognare di insonorizzazione sarebbe dovuta essere la sola camera da letto e non anche la cucina, il bagno e il transetto di raccordo". Con ciò evidentemente l'appellante sulla scorta della relazione del proprio CT, contesta che le opere di insonorizzazione eseguite in tali tre ultimi locali non trovano causa nel fine di impedire la propagazione dei rumori che, essendo sempre stati cagionati dall'interno della cucina, possono raggiungere la sola camera da letto dell'appartamento dell'appellato. Tal conclusione risulta del tutto indebita. Ancorché invero i detti locali, anch'essi insonorizzati, siano posizionati al di sotto di un terrazzo anziché della cucina, pur prescindendo dalla considerazione che rumori molesti possono provenire anche dal terrazzo, ove effettivamente causati, anche mediante l'improprio uso di manufatti e strumenti esistenti sul terrazzo stesso, deve rilevarsi che i rumori in preponderanza provenienti dalla cucina, possano certamente raggiungere anche i detti ambienti, anche se con minore intensità, ma sufficiente, specie se ripetuti come appare nel caso in esame, dal tenore dell'imputazione penale, a disturbare il sonno e l'occupazione delle persone. Va considerato inoltre sul punto ai fini dell'affermazione della congruità della spesa che l'appellato non ha proceduto all'insonorizzazione del soggiorno posizionato interamente al di sotto dell'appartamento di proprietà dell'appellante e della seconda camera da letto posizionata parzialmente al di sotto dello stesso i quali, secondo quanto espressamente affermato dal CTU "restano invivibili". Tutte le altre deduzioni avanzate dall'appellante sono infondate. La pretesa di chiamare l'appellato alla contribuzione al 50% nelle spese riguardanti le opere di insonorizzazione non trova alcun fondamento in quanto l'unica responsabilità accertata rimane quella dell'appellante, del tutto incongruo rimanendo il riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia e al comune buonsenso che il Tribunale avrebbe omesso percorrendo la via equitativa. La non condivisibilità del concetto, secondo l'appellante, sotteso alla difesa dell'appellato "che un'intera famiglia debba evitare di muoversi liberamente all'interno del proprio appartamento, sol perché le mansioni connesse al movimento stesso (spostare una sedie, scaricare lo sciacquone dell'acqua, ascoltare un po' di musica), hanno la capacità di irritare la tranquillità psico fisica di un condomino", è invocata del tutto a sproposito in quanto risulta evidente che tali "mansioni" sono state poste in essere, per ricevere stigmatizzazione in senso penalmente rilevante, totalmente al di fuori della normale tollerabilità, il che di per sé costituisce l'illecito superamento del limite consentito ad attività che, se in esso contenute, sono lecite. Il fatto che il risarcimento accordato sia oneroso in relazione al reddito dell'appellante, non è in alcun modo significante e pur esso va ricondotto all'esclusiva responsabilità dell'appellante stessa che non ha desistito dal porre in essere la propria condotta per lungo tempo e anche successivamente alla diffida inoltratale, mentre è assolutamente certo, nel contempo, che l'essere "vivi e vitali" non può in alcun modo costituire la ragione della liceità di un comportamento che reca danni ad altri. Il fatto che i lavori di insonorizzazione siano stati eseguiti da persona che sembra, o risulta essere, il padre dell'appellato, e dal quale comunque l'appellante non fa scaturire alcuna conseguenza giuridica, limitandosi a definirlo "da non sottovalutare", non ha il minimo rilievo per la detta accertata congruità delle opere e del prezzo di esse. La circostanza che l'appellato avrebbe dovuto essere ben consapevole del fatto che la sua camera da letto si trovava in corrispondenza del vano cucina dell'appellante ad essa sovrastante, pur esso, non autorizza minimamente l'appellante stessa a superare i detti limiti. Il richiamo infine alla "buona creanza di avvertire la persona interessata circa l'intenzione di operare "lavori economicamente rilevanti che potrebbero riverberarsi anche sulla sua sfera patrimoniale", accortezza che l'appellato non avrebbe posto in essere, è del tutto indebito. Non ci si può esimere dall'osservare anche su tale punto che un'accortezza avrebbe dovuto esercitare non l'appellato, ma l'appellante nel rendersi conto, al tempo debito, com'era perfettamente nelle sue possibilità, che i rumori da essa causati erano effettivamente insopportabili.

2. Con il secondo motivo l'appellante censura la quantificazione del danno morale la cui misura non sarebbe stata neppure espressa dal Tribunale che non avrebbe tenuto conto delle effettive sofferenze patite dall'appellato, della gravità dell'illecito e degli elementi peculiari della fattispecie concreta, e cioè dei parametri che, come noto, secondo la S.C. sono da prendersi in considerazione ai fini della detta valutazione, non comprendendosi quindi, quale sia stato l'iter logico seguito dal Tribunale stesso per pervenire alla liquidazione dei detti danni. In ordine alla misura della quantificazione del danno in questione, valgono le considerazioni di cui sopra. Quanto ai residui rilievi, in ordine ai detti elementi, la somma di Euro 4.464,00, la sola, ripetesi, equitativamente determinata, risulta essere del tutto congrua. Deve all'uopo considerarsi che l'appellato ha subito per lungo tempo, che può stimarsi in tre o quattro anni almeno, tenuto conto che la condotta dell'appellante iniziò in epoca ben anteriore a quella della diffida, l'illecita invasione della propria sfera giuridica che ha certamente cagionato una pesante sofferenza essendo stati ritenuti i rumori causati dall'appellante, oggettivamente idonei ad arrecare disturbo alla quiete ed al riposo delle persone sia per la loro natura che per gli orari in cui sono stati prodotti. Tali patimenti non risultano pertanto essere dovuti ad una "spiccata insofferenza (propria dell'appellato)... sentimento peraltro alquanto comune nei rapporti tra condomini", ma trovano, ripetesi, la loro unica ed esclusiva ragione nella condotta dell'appellante che ha oggettivamente e ripetutamente superato sia qualitativamente che quantitativamente il detto limite. Quanto alla gravità dell'illecito, la stessa risulta evidente dall'essere stata irrogata la pena dell'ammenda nel massimo della previsione legale, tenuto conto che, nella specie, trattasi di rumorimolesti cagionati da privati in un condominio e non di rumori e fastidi di qualità molto più rilevante provenienti da opifici o da impianti industriali. Quanto agli elementi peculiari della fattispecie concreta, balza evidente che il preponderante di essi è l'assoluta noncuranza dell'appellante nel salvaguardare il diritto dell'appellato che è stato costretto prima alla diffida e poi alla denuncia penale, ottenendo l'affermazione delle sue giuste ragioni solo in seguito a ciò.

3. L'appellante soccombente nel grado va condannata al pagamento delle relative spese come in dispositivo liquidate. Le spese di consulenza tecnica, già liquidate in Lire 1.600.000 pari ad Euro 826,33, con decreto del 13.07.2001 e poste provvisoriamente a carico dell'appellato, graveranno definitivamente sull'appellante.

P.Q.M.

La Corte rigetta l'appello proposto da A.A. contro la sentenza del Tribunale di Roma n. 24376/02; condanna l'appellante al pagamento delle spese del grado che liquida in Euro 2.980,00 (Euro 30,00 per spese, Euro 850,00 per diritti ed Euro 2.100,00 per onorari) oltre accessori come per legge. Pone definitivamente carico dell'appellante le spese di CTU.

Così deciso in Roma il 14 dicembre 2006.

Depositata in Cancelleria il 14 febbraio 2007.

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