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Art. 189 c.p.c. - Rimessione al collegio


Art. 189 c.p.c. Il giudice istruttore, quando rimette la causa al collegio, a norma dei primi tre commi dell'art. 187 o dell'art. 188, invita le parti a precisare davanti a lui le conclusioni che intendono sottoporre al collegio stesso, nei limiti di quelle formulate negli atti introduttivi o a norma dell'art. 183. Le conclusioni di merito debbono essere interamente formulate anche nei casi previsti dell'art. 187, secondo e terzo comma.

La rimessione investe il collegio di tutta la causa, anche quando avviene a norma dell'articolo 187, secondo e terzo comma.

Giurisprudenza sull'art. 189 c.p.c.
Cass., massima sentenza n. 10004 del 24.06.2003
Se la parte precisa le conclusioni in ordine ad una delle cause riunite, omettendo di precisarle relativamente alle altre, non si può presumere che abbia abbandonato la pretesa fatta valere in queste ultime cause. Diversamente si deve ritenere che la parte abbia scelto di non precisare le conclusioni in esse con la conseguenza di farle decidere sulla base delle conclusioni formulate in precedenza.

Cass., massima sent. n. 12012 del 06.11.1992
Nel caso in cui la controversia sia stata rimessa dall'istruttore al collegio, ai fini della sola decisione in ordine alla questione incidentale relativa all'istanza di verificazione di scrittura privata disconosciuta (art. 220 c.p.c.), la sentenza che abbia deciso la causa anche nel merito è nulla, per violazione del principio del contraddittorio, nonostante la parte non avesse formulato le proprie conclusioni definitive e non avesse svolto le sue difese nel merito, atteso che il principio dettato dall'art. 189 c.p.c., secondo cui "la rimessione investe il collegio di tutta la causa", riguarda le diverse ipotesi in cui la causa sia stata rimessa al collegio a norma dell'art. 187, secondo comma, c.p.c., per la decisione superata di una questione preliminare di merito o pregiudiziale di rito.

Cass., massima sent. n. 3834 del 25.06.1985
Nel caso in cui l'attore, dopo aver domandato (con l'atto introduttivo), la declaratoria di autenticità della sottoscrizione del venditore in calce alla scrittura privata di compravendita di un immobile, formuli, nelle conclusioni definitive di primo grado, domanda di accertamento del suo diritto di proprietà sullo stesso bene, è configurabile non una "mutatio" ma una mera "emendatio libelli", non potendo la prima domanda essere interpretata che come strumentalmente diretta all'accertamento del diritto di proprietà sul bene, all'ulteriore fine della trascrizione del relativo atto di acquisto, e non risultando quindi mutati, nel confronto con la seconda domanda, né il "petitum" (inteso, in senso mediato, come il conseguimento di un determinato bene giuridico) né la "causa petendi", costituita, in entrambe le domande, dalla stipulazione, mediante scrittura privata, di un contratto definitivo di compravendita immobiliare.

Cass., massima sent. n. 28681 del 23.12.2011
Nel procedimento davanti al giudice di pace (G.d.P.), la decisione della causa  la quale non sia stata preceduta dalla precisazione delle conclusioni definitive, istruttorie e di merito, né dal semplice invito a provvedervi rivolto dal giudice alle parti, comporta la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa; tale nullità, peraltro, non rientrando tra quelle tassativamente previste dall'art. 354 c.p.c. che impongono la rimessione della causa al giudice di primo grado, comporta che il giudice d'appello, ove la questione risulti ritualmente sollevata con l'atto d'impugnazione, debba decidere nel merito previa rinnovazione degli atti nulli, cioè ammettendo le parti a svolgere tutte quelle attività che, in conseguenza della nullità, sono state loro precluse. 

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