OMISSIS
Svolgimento del processo
Il 30 settembre 1994 il Pretore di Livorno, accogliendo un ricorso dell’Ente Poste Italiane (cui in seguito è subentrata la Poste Italiane s.p.a.) ingiunse con decreto ai sigg. A.G. ed E. S. di restituire al ricorrente la somma di £. 3.905.650 (oltre agli accessori) da essi percepita a titolo di interessi maturati su buoni postali fruttiferi, facenti parte di una serie speciale contrassegnata con la sigla AA, sottoscritti per l’importo capitale di lire. 7.000.000 nel giugno 1986 e posti anticipatamente in riscossione otto anni dopo.
Quei buoni, stando alla dicitura figurante sui titoli, assicuravano ai sottoscrittori interessi tali da comportare la triplicazione del capitale dopo otto anni, ed in base a tale calcolo i sigg. G. e S. avevano riscosso la somma
di £. 21.000.000. Ma un decreto ministeriale emanato sin dal 16 giugno 1984 aveva, invece, previsto che fosse possibile conseguire quel medesimo risultato finanziario solo dopo il decorso di nove anni: donde la pretesa restitutoria azionata dall’Ente Poste, sul presupposto del carattere indebito dei maggiori
interessi lucrati dai sottoscrittori per effetto dell’anticipata riscossione.
Gli ingiunti proposero opposizione, che fu accolta dal pretore con decisione poi conformata, in grado d’appello, dal Tribunale di Livorno.
Il tribunale, con sentenza resa pubblica il 19 giugno 2002, ritenne infatti che non potesse trovare applicazione nella specie il disposto dell’art. 173 dell’allora vigente codice postale (d.p.r. n. 156 del 1973, e successive
modificazioni), a tenore del quale anche per serie di buoni postali già emessi èconsentito alla pubblica amministrazione di variare il tasso d’interesse con provvedimento da pubblicare nella Gazzetta ufficiale, giacché i buoni postali dei quali si discute erano stati emessi ben dopo la pubblicazione del decreto
ministeriale che aveva portato da otto a nove anni la scadenza del possibile rimborso anticipato, e detto decreto aveva previsto che in caso di utiliizzazione di moduli già stampati per le emissioni precedenti, recanti la sigla “AA”, si dovesse procedere ad apporre sui buoni medesimi una stampigliatura con l’indicazione di una sigla diversa (”AB AA”) e con l’espressa menzione del diverso termine di scadenza. Ciò che però, nel presente caso, non era avvenuto, onde legittimamente i sottoscrittori avevano confidato di aver diritto a riscuotere i buoni nel più breve termine indicato sugli stessi titoli ed era perciò priva di fondamento la actio indebiti esperita dall’ente postale.
Avverso tale sentenza Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, al quale gli intimati hanno resistito con controricorso, poi illustrato con memoria.
Con ordinanza n. 9218 del 20 aprile 2006 la prima sezione di questa corte, cui il ricorso era stato inizialmente assegnato, dopo aver dato atto dell’esistenza di un precedente della medesima sezione secondo cui compete al l’amministrazione postale il diritto di ripetere gli interessi riscossi dai sottoscrittori in conformità al tenore letterale dei buoni postali, ove questo non corrisponda alle indicazioni dettate al riguardo da apposito decreto ministeriale, essendo detti buoni titoli di legittimazione e non titoli di credito (Cass. n. 27809 del 2005) -, ha prospettato al Primo Presidente l’opportunità di rimettere la decisione alle sezioni unite, trattandosi di questione suscettibile di ripresentarsi in frequenti casi ed in ordine alle quale è auspicabile si prevenga il formarsi di una molteplicità indirizzi giurisprudenziali contrastanti.
Il ricorso è stato perciò discusso dinanzi alle sezioni unite.
Motivi della decisione
l. Il primo motivo di ricorso è volto a denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 171 e 173, comma 2, del d.p.r. 29 marzo 1973, n. 156, come modificato dalla legge 25 novembre 1974, n. 588, e del decreto ministeriale 16 giugno 1984, nonché vizi di motivazione del provvedimento impugnato. Sostiene la ricorrente che, essendo i buoni postali titoli di risparmio nominativi, privi dei caratteri dell’astrattezza e della letteralità propri dei titoli di credito, il saggio di interesse da applicare è quello previsto per essi dalle legge, a
prescindere dalle indicazioni figuranti sui titoli, con la conseguenza che i buoni in questione erano nella specie soggetti alla previsione del citato decreto ministeriale del giugno 1984, essendo stati emessi dopo la data di
entrata in vigore di detto decreto, sicché non avrebbero potuto esser rimborsati prima del decorso dei nove anni previsti dalla suindicata normativa. Ove di ciò il tribunale avesse tenuto conto, non avrebbe potuto negare il diritto dell’ amministrazione postale al rimborso dei maggiori interessi percepiti dai sottoscrittori per effetto del rimborso indebitamente ottenuto dopo soli otto anni.
Col secondo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2002 e 2034 c.c., oltre a vizi di motivazione, la ricorrente ribadisce che il buono postale fruttifero è da considerare un titolo di credito improprio, destinato ad una funzione meramente probatoria, con riferimento al quale non ha quindi incidenza la letteralità del documento; e ne deduce l’irrilevanza della buona fede dell’accipens a fronte della pretesa restitutoria di chi ha pagato per errore.
2. I due riferiti motivi di doglianza, che possono senz’altro essere esaminati congiuntamente, pongono all’attenzione delle sezioni unite una questione che - come sopra ricordato è stata già una volta affrontata dalla prima sezione della corte, la quale, con la sentenza n. 27809 del 2005, la ha risolta nel medesimo
senso oggi propugnato dalla ricorrente.
In quella sentenza è stato infatti affermato che i buoni postali fruttiferi disciplinati dal d.p.r. 29 marzo 1973, n. 156, non sono titoli di credito, ma meri titoli di legittimazione, come dimostrato dalla prevalenza, sul loro tenore letterale, delle successive determinazioni ministeriali in tema di interessi, ai sensi dell’art. 173 t.u. cit., come modificato dall’art. 1 del d.l. 30 settembre 1974, n. 460 (convertito nella l. 25 novembre 1974 n. 588). Se ne è fatta discendere la conseguenza che tanto l’errore commesso dall’amministrazione postale nell’indicare sui titoli la sigla d’identificazione dei buoni ed il corrispondente regime degli interessi quanto il conseguente errore in cui la medesima amministrazione sia incorsa nel rimborsare detti buoni applicando tassi
d’interesse diversi da quelli previsti dalla normativa in vigore, pur se coerenti con l’indicazione figurante sui titoli, potrebbero semmai legittimare i sottoscrittori di buona fede ad agire per il risarcimento dei danni nei
confronti dei responsabili di siffatti errori, ma in nessun caso valgono ad impedire l’esercizio vittorioso dell’azione di ripetizione dell’indebito da parte dell’amministrazione postale che abbia pagato interessi superiori al dovuto.
3. La questione esige però un maggiore approfondimento.
3.1. È appena il caso di avvertire, anzitutto, che nel prosieguo del discorso si continuerà a fare riferimento alle disposizioni dettate dal citato d.p.r. n. 156 del 1973, e successive modificazioni (che verrà indicato come codice postale), e dal d.p.r. n. 256 del 1989 (regolamento di esecuzione del libro terzo di detto codice postale), quantunque tali norme risultino oggi abrogate dall’art. 7, comma 3, del d. lgs. 30 luglio 1999, n. 284. A termini di quest’ultima disposizione, infatti, solo i rapporti già in essere ma ancora in corso possono
risentire delle nuove disposizioni, mentre ai rapporti già del tutto esauriti (quali quelli dei quali si tratta nella presente causa) restano applicabili le disposizioni precedenti (vedi anche, in tal senso, Corte cost. n. 333 del 2003).
3.2. Come s’è detto, il ragionamento prospettato da parte ricorrente (che corrisponde a quanto affermato da Cass. n. 27809/2005, cit.) s’impernia essenzialmente sulla natura dei buoni postali fruttiferi e sul rilievo che essi debbono esser considerati titoli di legittimazione, riconducibili alla previsione dell’art. 2002 c.c., e non quindi veri e propri titoli di credito: il che giustificherebbe la svalutazione del loro tenore letterale, ove difforme da quanto prescritto dal decreto ministeriale in base al quale detti buoni sono stati emessi, e renderebbe indebita la percezione, da parte dei sottoscrittori, di somme corrispondenti alle indicazioni figuranti sui titoli ma non al contenuto del decreto.
Senonché il rilievo concernente la natura giuridica del buono postale, pur se in tesi condivisibile, non appare decisivo ai fini della risoluzione del problema in esame.
Una volta affermato che a quei buoni non si applicano i principi dell’autonomia causale, dell’incorporazione e della letteralità, da cui normalmente sono contraddistinti i titoli di credito, resta ancora da stabilire su quali basi si sia instaurato, in casi come questo, il rapporto giuridico intercorrente tra l’amministrazione postale ed il sottoscrittore dei buoni fruttiferi, nonché quale sia, e da dove si desuma, il contenuto effettivo di tale rapporto.
3.3. Una premessa però s’impone.
Occorre ricordare che, anche quando servizi postali come quello in esame erano
offerti da un’azienda dello Stato (la quale, con la legge n. 71 del 1994, fu poi
trasformata nell’Ente Poste, avente natura di ente pubblico economico, e quindi
in società per azioni), essi si caratterizzavano per l’essere organizzati e
gestiti in forma d’impresa : donde già allora - conseguiva “la conformazione dei
rapporti con gli utenti come rapporti contrattuali, fondamentalmente soggetti al
regime del diritto privato” (così Corte cost. n. 303 del 1988). E, se è pur vero
che tali rapporti erano nondimeno destinati a subire anche gli effetti di una
normativa speciale, che ancora risentiva della natura soggettiva pubblica
dell’amministrazione postale, è altrettanto vero che la loro attrazione nella
sfera del diritto comune era (ed è oggi a maggior ragione) tanto più accentuata
proprio per i servizi di bancoposta, comprendenti l’emissione dei buoni postali
fruttiferi, che sono sempre stati del tutto privi di lineamenti autoritativi ed
ai quali oggettivamente ineriscono connotazioni contrattuali, giacché, per
struttura e funzione, essi sostanzialmente non si discostano dagli analoghi
servizi resi sul mercato dalle imprese bancarie (cfr. in tal senso,
esplicitamente, Corte cost. n. 463 del 1997).
3.4. È alla luce di questa premessa che dev’esser letta anche la normativa
applicabile nel caso in esame.
Rileva anzitutto l’art. 173 dell’allora vigente codice postale (come sostituito
dal d.l. n. 460 del 1974), il quale prevedeva che le variazioni del tasso
d’interesse di buoni postali fruttiferi, disposte con decreto del Ministro del
Tesoro di concerto con quello delle Poste e Telecomunicazioni, da pubblicarsi
nella Gazzetta ufficiale, non solo avessero effetto per i buoni di nuova
emissione, ma potessero essere estese anche ai buoni in precedenza già emessi
(primo comma); e questi buoni si consideravano rimborsati e convertiti in titoli
della nuova serie (secondo comma). Il terzo comma del medesimo articolo
precisava, poi, che gli interessi sarebbero stati corrisposti sulla base della
tabella riportata a tergo dei buoni, la quale, però, per i titoli i cui tassi
fossero stati modificati dopo l’emissione, era da intendersi integrata da altra
tabella (destinata evidentemente a riportare le accennate modifiche) messa a
disposizione presso gli uffici postali.
Val poi la pena di sottolineare che, a norma dell’art. 207 del regolamento di
esecuzione, l’emissione dei buoni comportava che essi fossero compilati, firmati
e bollati dall’ufficio richiesto, prima di essere consegnati al richiedente,
previo incasso del relativo importo, con successivo obbligo per lo stesso
ufficio di darne comunicazione all’amministrazione centrale e di curare le
corrispondenti scritturazioni interne; e che il successivo art. 208, primo
comma, contemplava il rimborso a vista dei buoni (alle previste scadenze) presso
l’ufficio da cui erano stati emessi, previo confronto del titolo con le
corrispondenti registrazioni operate all’atto dell’emissione.
Alla stregua di questo quadro normativo, deve certo convenirsi circa la
possibilità che il contenuto dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni
postali subisse, medio tempore, variazioni per effetto di eventuali sopravvenuti
decreti ministeriali volti a modificare il tasso degli interessi originariamente
previsto; e deve pure convenirsi, di conseguenza, sulla necessità in casi
siffatti di un’integrazione extratestuale del rapporto.
Ciò, tuttavia, non autorizza a svalutare totalmente la rilevanza delle diciture
riportate sui buoni stessi anche quando - come accaduto nella fattispecie in
esame in corso di rapporto non è intervenuto alcun nuovo decreto ministeriale
concernente il tasso degli interessi e nessuna modificazione si è quindi
prodotta rispetto alla situazione esistente al momento della sottoscrizione dei
titoli.
Al contrario, il fatto che la legge imponesse espressamente di procedere al
rimborso degli interessi sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni
sottoscritti dal risparmiatore, mentre solo in caso di sopravvenuta modifica per
decreto di quei tassi si sarebbe dovuto tener conto anche dell’ulteriore tabella
da mettere a disposizione presso gli uffici postali; le già descritte modalità
di emissione e di successivo rimborso dei titoli, specularmente concepite in
modo da garantire la corrispondenza dell’operazione ai dati scritturali
risultanti anche dai titoli medesimi; la circostanza che lo stesso decreto
ministeriale del 16 giugno 1984, con il quale era stata disposta l’ultima
variazione dei tassi d’interesse precedente all’emissione di cui è causa, si
fosse fatto carico di imporre agli uffici emittenti l’obbligo di contrassegnare
i buoni di nuova emissione con una sigla diversa dai precedenti, pur quando
fossero stati utilizzati moduli preesistenti, espressamente indicando sul
documento il differente regime cui essi erano soggetti: sono tutti elementi che
persuadono di come il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei
titoli fosse destinato a formarsi proprio sulla base dei dati risultanti dal
testo dei buoni di volta in volta sottoscritti.
Al richiedente il buono postale è stata prospettata un’operazione finanziaria
connotata nei termini specificamente indicati nei buoni, compilati, firmati e
bollati ed a lui consegnati dall’ufficio emittente, a fronte dei quali egli ha
versato a quell’ufficio la somma corrispondente. Il sottoscrittore era edotto
della possibile successiva variabilità del tasso d’interesse, per effetto di
un’eventuale posteriore determinazione in tal senso dell’amministrazione
pubblica, o doveva comunque presumersi che di ciò fosse edotto, trattandosi di
un elemento normativo caratterizzante ormai quel genere di titoli. Ma non può in
alcun modo ritenersi che dovesse essere edotto anche del fatto che già in quel
momento le condizioni dell’emissione erano diverse da quelle che gli venivano
prospettate mediante la consegna di titoli così formulati.
La discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e quanto indicato sui buoni
offerti in sottoscrizione dall’ufficio ai richiedenti può allora rilevare per
eventuali profili di responsabilità interna all’amministrazione, ma non può far
ritenere che l’accordo negoziale, in cui pur sempre l’operazione di
sottoscrizione si sostanzia, abbia avuto ad oggetto un contenuto divergente da
quello enunciato dai medesimi buoni. E lo conferma il fatto che la stessa
amministrazione postale ha proceduto al rimborso nei termini previsti dal testo
dei buoni (salvo poi successivamente pretendere la restituzione dei maggiori
interessi).
3.5. Giova ancora aggiungere che la funzione stessa dei buoni postali, destinati
ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato
di risparmiatori, non tollererebbe un’interpretazione diversa: la quale, ponendo
a carico dei sottoscrittori le conseguenze di un errore imputabile
all’amministrazione e facendo sì che debba esser poi il medesimo sottoscrittore
ad assumere l’onere di agire per l’eventuale risarcimento, per ciò stesso
finirebbe per compromettere (o almeno per indebolire grandemente) le esigenze di
tutela del risparmio diffuso cui si ispirano le norme sopra richiamate. Norme
che come si è visto espressamente impongono di riportare sui titoli i dati
reputati essenziali all’informazione del sottoscrittore, affinché egli possa
compiutamente valutare i profili di convenienza e di rischio connessi al suo
investimento, ma che verrebbero paradossalmente a porre le premesse di
un’informazione fuorviante, ove si ammettesse che le condizioni alle quali
l’amministrazione postale si obbliga possano essere invece, sin da principio,
diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto stesso della
sottoscrizione del buono.
4. Siffatte considerazioni, assorbenti rispetto ad ogni altro profilo della
controversia, conducono al rigetto del proposto ricorso.
5. Tenuto anche conto delle pregresse divergenti indicazioni giurisprudenziali,
la compensazione delle spese processuali appare equa.
PQM
La Corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso e compensa tra le
parti le spese del giudizio di legittimità.
Svolgimento del processo
Il 30 settembre 1994 il Pretore di Livorno, accogliendo un ricorso dell’Ente Poste Italiane (cui in seguito è subentrata la Poste Italiane s.p.a.) ingiunse con decreto ai sigg. A.G. ed E. S. di restituire al ricorrente la somma di £. 3.905.650 (oltre agli accessori) da essi percepita a titolo di interessi maturati su buoni postali fruttiferi, facenti parte di una serie speciale contrassegnata con la sigla AA, sottoscritti per l’importo capitale di lire. 7.000.000 nel giugno 1986 e posti anticipatamente in riscossione otto anni dopo.
Quei buoni, stando alla dicitura figurante sui titoli, assicuravano ai sottoscrittori interessi tali da comportare la triplicazione del capitale dopo otto anni, ed in base a tale calcolo i sigg. G. e S. avevano riscosso la somma
di £. 21.000.000. Ma un decreto ministeriale emanato sin dal 16 giugno 1984 aveva, invece, previsto che fosse possibile conseguire quel medesimo risultato finanziario solo dopo il decorso di nove anni: donde la pretesa restitutoria azionata dall’Ente Poste, sul presupposto del carattere indebito dei maggiori
interessi lucrati dai sottoscrittori per effetto dell’anticipata riscossione.
Gli ingiunti proposero opposizione, che fu accolta dal pretore con decisione poi conformata, in grado d’appello, dal Tribunale di Livorno.
Il tribunale, con sentenza resa pubblica il 19 giugno 2002, ritenne infatti che non potesse trovare applicazione nella specie il disposto dell’art. 173 dell’allora vigente codice postale (d.p.r. n. 156 del 1973, e successive
modificazioni), a tenore del quale anche per serie di buoni postali già emessi èconsentito alla pubblica amministrazione di variare il tasso d’interesse con provvedimento da pubblicare nella Gazzetta ufficiale, giacché i buoni postali dei quali si discute erano stati emessi ben dopo la pubblicazione del decreto
ministeriale che aveva portato da otto a nove anni la scadenza del possibile rimborso anticipato, e detto decreto aveva previsto che in caso di utiliizzazione di moduli già stampati per le emissioni precedenti, recanti la sigla “AA”, si dovesse procedere ad apporre sui buoni medesimi una stampigliatura con l’indicazione di una sigla diversa (”AB AA”) e con l’espressa menzione del diverso termine di scadenza. Ciò che però, nel presente caso, non era avvenuto, onde legittimamente i sottoscrittori avevano confidato di aver diritto a riscuotere i buoni nel più breve termine indicato sugli stessi titoli ed era perciò priva di fondamento la actio indebiti esperita dall’ente postale.
Avverso tale sentenza Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione, articolato in due motivi, al quale gli intimati hanno resistito con controricorso, poi illustrato con memoria.
Con ordinanza n. 9218 del 20 aprile 2006 la prima sezione di questa corte, cui il ricorso era stato inizialmente assegnato, dopo aver dato atto dell’esistenza di un precedente della medesima sezione secondo cui compete al l’amministrazione postale il diritto di ripetere gli interessi riscossi dai sottoscrittori in conformità al tenore letterale dei buoni postali, ove questo non corrisponda alle indicazioni dettate al riguardo da apposito decreto ministeriale, essendo detti buoni titoli di legittimazione e non titoli di credito (Cass. n. 27809 del 2005) -, ha prospettato al Primo Presidente l’opportunità di rimettere la decisione alle sezioni unite, trattandosi di questione suscettibile di ripresentarsi in frequenti casi ed in ordine alle quale è auspicabile si prevenga il formarsi di una molteplicità indirizzi giurisprudenziali contrastanti.
Il ricorso è stato perciò discusso dinanzi alle sezioni unite.
Motivi della decisione
l. Il primo motivo di ricorso è volto a denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 171 e 173, comma 2, del d.p.r. 29 marzo 1973, n. 156, come modificato dalla legge 25 novembre 1974, n. 588, e del decreto ministeriale 16 giugno 1984, nonché vizi di motivazione del provvedimento impugnato. Sostiene la ricorrente che, essendo i buoni postali titoli di risparmio nominativi, privi dei caratteri dell’astrattezza e della letteralità propri dei titoli di credito, il saggio di interesse da applicare è quello previsto per essi dalle legge, a
prescindere dalle indicazioni figuranti sui titoli, con la conseguenza che i buoni in questione erano nella specie soggetti alla previsione del citato decreto ministeriale del giugno 1984, essendo stati emessi dopo la data di
entrata in vigore di detto decreto, sicché non avrebbero potuto esser rimborsati prima del decorso dei nove anni previsti dalla suindicata normativa. Ove di ciò il tribunale avesse tenuto conto, non avrebbe potuto negare il diritto dell’ amministrazione postale al rimborso dei maggiori interessi percepiti dai sottoscrittori per effetto del rimborso indebitamente ottenuto dopo soli otto anni.
Col secondo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2002 e 2034 c.c., oltre a vizi di motivazione, la ricorrente ribadisce che il buono postale fruttifero è da considerare un titolo di credito improprio, destinato ad una funzione meramente probatoria, con riferimento al quale non ha quindi incidenza la letteralità del documento; e ne deduce l’irrilevanza della buona fede dell’accipens a fronte della pretesa restitutoria di chi ha pagato per errore.
2. I due riferiti motivi di doglianza, che possono senz’altro essere esaminati congiuntamente, pongono all’attenzione delle sezioni unite una questione che - come sopra ricordato è stata già una volta affrontata dalla prima sezione della corte, la quale, con la sentenza n. 27809 del 2005, la ha risolta nel medesimo
senso oggi propugnato dalla ricorrente.
In quella sentenza è stato infatti affermato che i buoni postali fruttiferi disciplinati dal d.p.r. 29 marzo 1973, n. 156, non sono titoli di credito, ma meri titoli di legittimazione, come dimostrato dalla prevalenza, sul loro tenore letterale, delle successive determinazioni ministeriali in tema di interessi, ai sensi dell’art. 173 t.u. cit., come modificato dall’art. 1 del d.l. 30 settembre 1974, n. 460 (convertito nella l. 25 novembre 1974 n. 588). Se ne è fatta discendere la conseguenza che tanto l’errore commesso dall’amministrazione postale nell’indicare sui titoli la sigla d’identificazione dei buoni ed il corrispondente regime degli interessi quanto il conseguente errore in cui la medesima amministrazione sia incorsa nel rimborsare detti buoni applicando tassi
d’interesse diversi da quelli previsti dalla normativa in vigore, pur se coerenti con l’indicazione figurante sui titoli, potrebbero semmai legittimare i sottoscrittori di buona fede ad agire per il risarcimento dei danni nei
confronti dei responsabili di siffatti errori, ma in nessun caso valgono ad impedire l’esercizio vittorioso dell’azione di ripetizione dell’indebito da parte dell’amministrazione postale che abbia pagato interessi superiori al dovuto.
3. La questione esige però un maggiore approfondimento.
3.1. È appena il caso di avvertire, anzitutto, che nel prosieguo del discorso si continuerà a fare riferimento alle disposizioni dettate dal citato d.p.r. n. 156 del 1973, e successive modificazioni (che verrà indicato come codice postale), e dal d.p.r. n. 256 del 1989 (regolamento di esecuzione del libro terzo di detto codice postale), quantunque tali norme risultino oggi abrogate dall’art. 7, comma 3, del d. lgs. 30 luglio 1999, n. 284. A termini di quest’ultima disposizione, infatti, solo i rapporti già in essere ma ancora in corso possono
risentire delle nuove disposizioni, mentre ai rapporti già del tutto esauriti (quali quelli dei quali si tratta nella presente causa) restano applicabili le disposizioni precedenti (vedi anche, in tal senso, Corte cost. n. 333 del 2003).
3.2. Come s’è detto, il ragionamento prospettato da parte ricorrente (che corrisponde a quanto affermato da Cass. n. 27809/2005, cit.) s’impernia essenzialmente sulla natura dei buoni postali fruttiferi e sul rilievo che essi debbono esser considerati titoli di legittimazione, riconducibili alla previsione dell’art. 2002 c.c., e non quindi veri e propri titoli di credito: il che giustificherebbe la svalutazione del loro tenore letterale, ove difforme da quanto prescritto dal decreto ministeriale in base al quale detti buoni sono stati emessi, e renderebbe indebita la percezione, da parte dei sottoscrittori, di somme corrispondenti alle indicazioni figuranti sui titoli ma non al contenuto del decreto.
Senonché il rilievo concernente la natura giuridica del buono postale, pur se in tesi condivisibile, non appare decisivo ai fini della risoluzione del problema in esame.
Una volta affermato che a quei buoni non si applicano i principi dell’autonomia causale, dell’incorporazione e della letteralità, da cui normalmente sono contraddistinti i titoli di credito, resta ancora da stabilire su quali basi si sia instaurato, in casi come questo, il rapporto giuridico intercorrente tra l’amministrazione postale ed il sottoscrittore dei buoni fruttiferi, nonché quale sia, e da dove si desuma, il contenuto effettivo di tale rapporto.
3.3. Una premessa però s’impone.
Occorre ricordare che, anche quando servizi postali come quello in esame erano
offerti da un’azienda dello Stato (la quale, con la legge n. 71 del 1994, fu poi
trasformata nell’Ente Poste, avente natura di ente pubblico economico, e quindi
in società per azioni), essi si caratterizzavano per l’essere organizzati e
gestiti in forma d’impresa : donde già allora - conseguiva “la conformazione dei
rapporti con gli utenti come rapporti contrattuali, fondamentalmente soggetti al
regime del diritto privato” (così Corte cost. n. 303 del 1988). E, se è pur vero
che tali rapporti erano nondimeno destinati a subire anche gli effetti di una
normativa speciale, che ancora risentiva della natura soggettiva pubblica
dell’amministrazione postale, è altrettanto vero che la loro attrazione nella
sfera del diritto comune era (ed è oggi a maggior ragione) tanto più accentuata
proprio per i servizi di bancoposta, comprendenti l’emissione dei buoni postali
fruttiferi, che sono sempre stati del tutto privi di lineamenti autoritativi ed
ai quali oggettivamente ineriscono connotazioni contrattuali, giacché, per
struttura e funzione, essi sostanzialmente non si discostano dagli analoghi
servizi resi sul mercato dalle imprese bancarie (cfr. in tal senso,
esplicitamente, Corte cost. n. 463 del 1997).
3.4. È alla luce di questa premessa che dev’esser letta anche la normativa
applicabile nel caso in esame.
Rileva anzitutto l’art. 173 dell’allora vigente codice postale (come sostituito
dal d.l. n. 460 del 1974), il quale prevedeva che le variazioni del tasso
d’interesse di buoni postali fruttiferi, disposte con decreto del Ministro del
Tesoro di concerto con quello delle Poste e Telecomunicazioni, da pubblicarsi
nella Gazzetta ufficiale, non solo avessero effetto per i buoni di nuova
emissione, ma potessero essere estese anche ai buoni in precedenza già emessi
(primo comma); e questi buoni si consideravano rimborsati e convertiti in titoli
della nuova serie (secondo comma). Il terzo comma del medesimo articolo
precisava, poi, che gli interessi sarebbero stati corrisposti sulla base della
tabella riportata a tergo dei buoni, la quale, però, per i titoli i cui tassi
fossero stati modificati dopo l’emissione, era da intendersi integrata da altra
tabella (destinata evidentemente a riportare le accennate modifiche) messa a
disposizione presso gli uffici postali.
Val poi la pena di sottolineare che, a norma dell’art. 207 del regolamento di
esecuzione, l’emissione dei buoni comportava che essi fossero compilati, firmati
e bollati dall’ufficio richiesto, prima di essere consegnati al richiedente,
previo incasso del relativo importo, con successivo obbligo per lo stesso
ufficio di darne comunicazione all’amministrazione centrale e di curare le
corrispondenti scritturazioni interne; e che il successivo art. 208, primo
comma, contemplava il rimborso a vista dei buoni (alle previste scadenze) presso
l’ufficio da cui erano stati emessi, previo confronto del titolo con le
corrispondenti registrazioni operate all’atto dell’emissione.
Alla stregua di questo quadro normativo, deve certo convenirsi circa la
possibilità che il contenuto dei diritti spettanti ai sottoscrittori dei buoni
postali subisse, medio tempore, variazioni per effetto di eventuali sopravvenuti
decreti ministeriali volti a modificare il tasso degli interessi originariamente
previsto; e deve pure convenirsi, di conseguenza, sulla necessità in casi
siffatti di un’integrazione extratestuale del rapporto.
Ciò, tuttavia, non autorizza a svalutare totalmente la rilevanza delle diciture
riportate sui buoni stessi anche quando - come accaduto nella fattispecie in
esame in corso di rapporto non è intervenuto alcun nuovo decreto ministeriale
concernente il tasso degli interessi e nessuna modificazione si è quindi
prodotta rispetto alla situazione esistente al momento della sottoscrizione dei
titoli.
Al contrario, il fatto che la legge imponesse espressamente di procedere al
rimborso degli interessi sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni
sottoscritti dal risparmiatore, mentre solo in caso di sopravvenuta modifica per
decreto di quei tassi si sarebbe dovuto tener conto anche dell’ulteriore tabella
da mettere a disposizione presso gli uffici postali; le già descritte modalità
di emissione e di successivo rimborso dei titoli, specularmente concepite in
modo da garantire la corrispondenza dell’operazione ai dati scritturali
risultanti anche dai titoli medesimi; la circostanza che lo stesso decreto
ministeriale del 16 giugno 1984, con il quale era stata disposta l’ultima
variazione dei tassi d’interesse precedente all’emissione di cui è causa, si
fosse fatto carico di imporre agli uffici emittenti l’obbligo di contrassegnare
i buoni di nuova emissione con una sigla diversa dai precedenti, pur quando
fossero stati utilizzati moduli preesistenti, espressamente indicando sul
documento il differente regime cui essi erano soggetti: sono tutti elementi che
persuadono di come il vincolo contrattuale tra emittente e sottoscrittore dei
titoli fosse destinato a formarsi proprio sulla base dei dati risultanti dal
testo dei buoni di volta in volta sottoscritti.
Al richiedente il buono postale è stata prospettata un’operazione finanziaria
connotata nei termini specificamente indicati nei buoni, compilati, firmati e
bollati ed a lui consegnati dall’ufficio emittente, a fronte dei quali egli ha
versato a quell’ufficio la somma corrispondente. Il sottoscrittore era edotto
della possibile successiva variabilità del tasso d’interesse, per effetto di
un’eventuale posteriore determinazione in tal senso dell’amministrazione
pubblica, o doveva comunque presumersi che di ciò fosse edotto, trattandosi di
un elemento normativo caratterizzante ormai quel genere di titoli. Ma non può in
alcun modo ritenersi che dovesse essere edotto anche del fatto che già in quel
momento le condizioni dell’emissione erano diverse da quelle che gli venivano
prospettate mediante la consegna di titoli così formulati.
La discrepanza tra le prescrizioni ministeriali e quanto indicato sui buoni
offerti in sottoscrizione dall’ufficio ai richiedenti può allora rilevare per
eventuali profili di responsabilità interna all’amministrazione, ma non può far
ritenere che l’accordo negoziale, in cui pur sempre l’operazione di
sottoscrizione si sostanzia, abbia avuto ad oggetto un contenuto divergente da
quello enunciato dai medesimi buoni. E lo conferma il fatto che la stessa
amministrazione postale ha proceduto al rimborso nei termini previsti dal testo
dei buoni (salvo poi successivamente pretendere la restituzione dei maggiori
interessi).
3.5. Giova ancora aggiungere che la funzione stessa dei buoni postali, destinati
ad essere emessi in serie, per rispondere a richieste di un numero indeterminato
di risparmiatori, non tollererebbe un’interpretazione diversa: la quale, ponendo
a carico dei sottoscrittori le conseguenze di un errore imputabile
all’amministrazione e facendo sì che debba esser poi il medesimo sottoscrittore
ad assumere l’onere di agire per l’eventuale risarcimento, per ciò stesso
finirebbe per compromettere (o almeno per indebolire grandemente) le esigenze di
tutela del risparmio diffuso cui si ispirano le norme sopra richiamate. Norme
che come si è visto espressamente impongono di riportare sui titoli i dati
reputati essenziali all’informazione del sottoscrittore, affinché egli possa
compiutamente valutare i profili di convenienza e di rischio connessi al suo
investimento, ma che verrebbero paradossalmente a porre le premesse di
un’informazione fuorviante, ove si ammettesse che le condizioni alle quali
l’amministrazione postale si obbliga possano essere invece, sin da principio,
diverse da quelle espressamente rese note al risparmiatore all’atto stesso della
sottoscrizione del buono.
4. Siffatte considerazioni, assorbenti rispetto ad ogni altro profilo della
controversia, conducono al rigetto del proposto ricorso.
5. Tenuto anche conto delle pregresse divergenti indicazioni giurisprudenziali,
la compensazione delle spese processuali appare equa.
PQM
La Corte, pronunciando a sezioni unite, rigetta il ricorso e compensa tra le
parti le spese del giudizio di legittimità.
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