CORTE DI APPELLO DI …
- Ricorso ex l.n. 89/2001 -
Per: il Sig. … (C.F.: …) rappresentato e difeso dall’avv. … (C.F. …) ed elettivamente domiciliato presso lo studio legale …, in …, via ..., n. …, 137, giusta procura speciale a margine del presente atto con richiesta di effettuarsi le comunicazioni di cancelleria a mezzo fax all’utenza n. … ovvero a mezzo email all’indirizzo pec …
Ricorrente
Contro: Ministero della Giustizia, in persona del suo Ministro pro tempore, con sede in Roma, via Arenula, 70
Resistente
Oggetto: Equo indennizzo proc. Tribunale di …, r.g.n.: … e Corte di Appello di …, r.g.n.: …
PREMESSO
1) che il ricorrente - con ricorso depositato presso il Tribunale di … in data …(doc. 1) agiva in giudizio contro la società ...., al fine di sentire:
“…”, il tutto come meglio indicato nel ricorso introduttivo notificato che si produce;
2) che il ricorso era depositato presso la Cancelleria del Tribunale di … in data … e gli veniva assegnato il R.G. n. ... La prima udienza di discussione veniva fissata dal Giudice del Lavoro designato al … (doc. 1);
3) che il ricorso era ritualmente notificato a …;
4) che con memoria ex art. 416 c.p.c., ritualmente depositata in data … si costituiva … (doc. 2), richiedendo la dichiarazione di inammissibilità del ricorso o la sua infondatezza, il tutto come meglio indicato nell’allegata memoria;
5) che, alla prima udienza del … (doc. 3, verbali d’udienza), il procuratore di parte ricorrente richiedeva decidersi la causa, mentre parte resistente richiedeva rinviarsi la stessa, concedendo un termine per note, il Giudice rinviava al …;
6) che all’udienza del …, entrambe le parti richiedevano decidersi la causa, il Giudice rinviava all’udienza del … per acquisizione di una copia maggiormente leggibile del contratto;
7) che, all’udienza del …, parte resistente depositava il summenzionato contratto ed entrambe le parti chiedevano decidersi la causa, il giudice adito disponeva il rinvio all’udienza del … per la comparizione delle parti e per discussione;
8) che, all’udienza del … parte ricorrente richiedeva rinvio per la comparizione del …, il Giudice rinviava per l’incombente al …;
9) che all’udienza del …, i procuratori delle parti si astenevano, il giudice rinviava al …;
10) che all’udienza del … entrambe le parti chiedevano che la causa fosse decisa, il giudice “stante l’ora tarda rinvia per la decisione e la lettura del dispositivo all’udienza del …”;
11) all’udienza del … parte ricorrente richiedeva breve rinvio per discussione, il giudice rinviava all’udienza del …;
12) all’udienza del … entrambe le parti richiedevano decidersi la causa, la quale era decisa dal Giudice, come da dispositivo letto in aula (doc. 4), con il quale il ricorso era rigettato;
13) che la sentenza n. … era depositata in Cancelleria in data … (doc. 5);
14) che, con atto depositato in data …, il Sig. … proponeva appello avverso la sentenza n. … del Tribunale di …, appello iscritto al R.G. n. … della Corte di Appello di … (doc. 6);
che il Presidente della Corte di appello di …, con provvedimento del …, depositato in Cancelleria il …, fissava la prima udienza al …;
15) che all’udienza del … la causa veniva decisa, come da dispositivo letto in pari udienza, con il quale veniva accolto l’appello;
16) che, dunque, il procedimento di specie è durato … anni (dal … al …);
17) che il ricorrente ha subito gravi danni patrimoniali e non patrimoniali a causa del ritardo della giustizia;
18) che, invero, il ricorrente è rimasto per ben sette anni senza alcun contratto di lavoro, pur avendone diritto, come indicato dalla Corte di Appello di …;
19) che dal punto di vista patrimoniale, il ricorrente vanta un credito nei confronti del proprio datore di lavoro di circa Euro …, alla luce della sentenza della Corte di Appello di …;
20) che ad oggi, il procedimento di quantificazione delle somme dovute al ricorrente non è ancora concluso;
21) che dal punto di vista del danno non patrimoniale subito esso è costituito dalle sofferenze e patemi d’animo subiti dal ricorrente a causa del mancato riconoscimento dei propri diritti e/o del riconoscimento a seguito di un processo che è stato di durata non ragionevole. Invero il ricorrente, a causa del mancato riconoscimento del proprio diritto ha subito un gravissimo stress anche emotivo e familiare che si è oggettivizzato nella propria vita quotidiana e che ha comportato stress quotidiano ed un grave peggioramento nella vita di relazione sia familiare che sociale.
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Tanto premesso in fatto, l’istante ritiene di aver subito un irrimediabile danno patrimoniale e/o non patrimoniale per effetto della violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, e di avere quindi diritto ad un equa riparazione ai sensi dell’art. 2 e ss. l. n. 89/2001, per i seguenti motivi di
Diritto
Il paragrafo 1 dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (di seguito: Convenzione europea), ha affermato il diritto di ciascuno a che “la sua causa sia trattata equamente, pubblicamente ed in un termine ragionevole, da un tribunale indipendente e imparziale”.
Il nostro ordinamento ha, quindi, dapprima recepito nella stessa Carta Costituzionale, nel quadro della revisione ispirata al cosiddetto giusto processo, l’esigenza che “la legge” assicuri “la ragionevole durata” di “ogni processo” (art. 111, comma 2, Cost. aggiunto dall'art. 1 della L.Cost. 23 novembre 1999, n. 2.).
È stato, poi, introdotto uno specifico rimedio interno a fronte della violazione del termine ragionevole di cui all’art. 6 della Convenzione europea, attraverso la legge 24 marzo 2001, n. 89 (cosiddetta legge Pinto) che ha previsto il diritto del danneggiato ad una equa riparazione a carico dello Stato.
La nuova disciplina è complessivamente entrata in vigore il 18 aprile 2001, dopo l'ordinaria vacatio legis, anche se “l’erogazione degli indennizzi” è stata differita a partire dal 1° gennaio 2002 (art. 3, comma 7).
Il diritto all’equa riparazione è riconosciuto a “chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto del mancato rispetto del termine ragionevole...” (art. 2, comma 1).
Il criterio di individuazione del soggetto attivo è infatti imperniato sulla sola verificazione di un danno nella rispettiva sfera giuridica, eziologicamente connesso alla violazione del termine ragionevole, a prescindere dal ruolo svolto nel processo.
L’equa riparazione è posta a carico dello Stato, rappresentato dal Ministro della giustizia, della difesa o delle finanze - a seconda che il processo riguardi, rispettivamente, il giudice ordinario, il giudice militare o il giudice tributario - oppure dal Presidente del Consiglio dei Ministri relativamente ai processi concernenti altri plessi giurisdizionali, come quello amministrativo (art. 3, comma 3).
Lo Stato viene, quindi, in considerazione quale organizzazione autoritaria centralizzata ovvero come Stato-persona o Stato-governo.
Nel contempo va tenuto presente che l’art. 111, comma 2, Cost. rimette espressamente alla “legge” ordinaria la predisposizione di una disciplina idonea ad assicurare la ragionevole durata del processo.
La violazione che connota l’illecito consiste nel mancato rispetto del termine ragionevole di cui all’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea (art. 2, comma 1).
Il parametro è, quindi, espressamente mutuato dalla fonte di derivazione internazionale, ditalché è invalsa nella nostra giurisprudenza la tendenza a richiamare anche la giurisprudenza della Cedu al fine di specificare il contenuto della durata ragionevole.
Con il comma 2 dell’art. 2, comunque, vengono mutuati proprio dalla giurisprudenza della Cedu i criteri da osservare per accertare la ricorrenza della violazione in questione, vale a dire “la complessità del caso e, in relazione alla stessa, il comportamento delle parti e del giudice del procedimento, nonché quello di ogni altra autorità chiamata a concorrervi o comunque a contribuire alla sua definizione”.
La durata ragionevole deve, quindi, essere determinata caso per caso, commisurandola innanzitutto alla “complessità” della vicenda processuale, avuto riguardo, ad esempio, al numero delle parti, alle difficoltà obiettive nell’instaurazione del contraddittorio e nell’acquisizione del materiale probatorio, allo spessore delle questioni tecnico-giuridiche da affrontare.
Altra variabile, oltre al comportamento delle parti, è costituita dalla condotta del giudice, in quanto le eventuali negligenze imputabili all’autorità giudiziaria non possono ovviamente costituire ragione di esimente per lo Stato ma possono, all’opposto, costituire la causa concorrente od esclusiva del superamento del termine ragionevole di durata del processo, così agevolando la dimostrazione degli elementi costitutivi dell’illecito, si pensi ad esempio al ritardo nel deposito di una decisione, alla fissazione di udienze in tempi troppo lunghi, ecc...
La misura della riparazione è determinata dal giudice secondo i parametri offerti dall’art. 2056 c.c., con riguardo al danno, patrimoniale e non, riferibile al periodo eccedente la durata ragionevole del processo (art. 2, comma 3).
Si deve, quindi, prendere innanzitutto in considerazione il danno-conseguenza, causalmente riconducibile all’eccessiva durata della controversia, comprensivo della perdita subita e del lucro cessante (art. 1223 c.c.), con le limitazioni imposte dall’eventuale concorso di colpa del danneggiato in ordine sia alla dilatazione eccessiva del processo (art. 1227, comma 1, c.c.) sia ai pregiudizi che ne sono derivati ( art. 1227, comma 2, c.c.). È ammessa la liquidazione equitativa per fronteggiare obiettive difficoltà nell’assolvimento dell’onere della prova (art. 1226 c.c.).
Il danno non patrimoniale è suscettibile di essere risarcito, oltre che per equivalente, anche attraverso una peculiare forma specifica, costituita da "adeguate forme di pubblicità della dichiarazione dell'avvenuta violazione" (art. 2, comma 3, lett. b): si tratta di una ipotesi speciale rispetto al regime generale sulla pubblicità della decisione di cui all'art. 120 c.p.c., la quale può trovare, comunque, applicazione per integrare eventuali lacune nella disciplina.
Nella fattispecie della legge n. 89 del 2001, invece, si delinea un danno ingiusto (o danno-evento), costituito dalla violazione del termine tollerabile di durata del processo, cui si collegano causalmente i danni-conseguenza, patrimoniali e non, da risarcire, secondo la struttura propria dell’illecito aquiliano.
Tale ricostruzione non comporta, tuttavia, che debba essere accertata la specifica condotta di un ben determinato organo statuale responsabile della dilatazione eccessiva del processo, in quanto è sufficiente che la violazione sia comunque ascrivibile all'apparato dello Stato, essendo poi rimessa in altre sedi la verifica della condotta delle persone fisiche investite di funzioni che hanno concorso all'esercizio della giurisdizione.
L’argomento, poi, che il legislatore adotta i termini "riparazione" e "indennizzo" piuttosto che "risarcimento" è neutralizzato dall'univoco espresso richiamo ai criteri di liquidazione propri del risarcimento del danno di cui all'art. 2056 c.c.: si deve, invero, assegnare prevalente rilievo all'effettiva articolazione della disciplina positiva piuttosto che alla mera terminologia usata.
Neppure decisivo è, altresì, il riferimento alla erogazione della riparazione "nei limiti delle risorse disponibili".
Si tratta, innanzitutto, di una previsione contenuta in una norma di diritto transitorio, quale appunto il comma 7 dell'art. 3, volto a differire "in parte qua" l'operatività dell'istituto: non sembra, quindi, congruo dal punto di vista sistematico assegnare a tale riferimento un ruolo significativo nella ricostruzione della ratio della disciplina.
In ogni caso, poi, il legislatore più recente ha offerto più di un esempio di fatto senz'altro illecito cui tuttavia consegue, in un ambito temporalmente circoscritto, una sanzione solo parzialmente reintegrativa del patrimonio offeso: si pensi alla vicenda dell’occupazione appropriativa delle aree edificabili da parte della Pubblica Amministrazione o del danno da ritardato rilascio degli immobili urbani già concessi in locazione ad uso abitativo.
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Nel caso di specie, il procedimento deve ritenersi di scarsa complessità ed il processo sarebbe dovuto essere particolarmente celere in quanto:
- la materia era quelle di conversione del rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato;
- la procedura applicata era quella, normalmente più celere, descritta dagli art. 414 s.s. c.p.c.;
- le parti erano solo due;
- non sono sorte questioni attinenti alla giurisdizione e/o alla competenza;
- la domanda era di sola condanna generica e non di quantificazione;
- la fase istruttoria e le richieste istruttorie delle parti erano minime, né vi è stata alcuna assunzione di prova che ha necessitato di udienze specifiche;
- non vi era necessità di accertamenti tecnici;
- non vi è stata necessità di chiamata in causa;
- vi è stata una completa collaborazione e correttezza delle parti processuali nel corso del processo;
- il processo è stato interessato da un'unica astensione e da alcuna rinuncia al mandato;
- le pretese del ricorrente erano ben fondate, ed invero sono state accolte dalla Corte d’Appello.
Benvero, come sopra indicato, in ordine al primo grado del processo, bisogna evidenziare le seguenti anomalie:
1) In spregio al termine di 60 giorni, seppur ordinatorio, previsto dall’art. 415, comma 3, c.p.c., la prima udienza è stata fissata dal Giudice adito a … giorni dal deposito del ricorso;
2) In spregio all’art. 81 disp. att. c.p.c. tra le udienze del primo grado sono incorsi i seguenti termini, senza alcuna menzione a speciali circostanze:
- tra I e II udienza: … giorni;
- tra II e III udienza: …giorni
- tra III e VI udienza: …giorni
- tra IV e V udienza: … giorni;
- tra V e VI udienza: … giorni;
- tra VI e VII udienza: … giorni;
- tra VII e VIII udienza: … giorni;
- tra VIII e IX udienza: … giorni;
In merito alle udienze di specie, si tenga conto che, l’art. 420 c.p.c. (il quale disciplinava il processo di specie) prevede che alla prima udienza: “…nella stessa udienza ammette i mezzi di prova già proposti dalle parti… disponendo, con ordinanza resa nell’udienza, per la loro immediata assunzione. Qualora ciò non sia possibile, fissa altra udienza non oltre dieci giorni dalla prima, concedendo alle parti, ove ricorrono giusti motivi, un termine perentorio non superiore a cinque giorni prima dell’udienza di rinvio per il deposito in cancelleria di note difensive…. L’assunzione delle prove deve essere esaurita nella stessa udienza o, in caso di necessità, in udienza da tenersi nei giorni feriali immediatamente successivi… le udienze di mero rinvio sono vietate”.
In ordine al secondo grado di giudizio, invece, senza alcun motivo che non sia imputabile allo Stato Italiano ed al Ministero di Grazia e Giustizia: la prima udienza di discussione è stata fissata a ben … giorni dal deposito del ricorso in appello;
In merito si noti che l’art. 435 c.p.c. stabilisce: “Il presidente della corte d’appello entro cinque giorni dalla data di deposito del ricorso nomina il giudice relatore e fissa, non oltre sessanta giorni dalla data medesima, l’udienza di discussione innanzi al collegio”.
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In ordine al danno non patrimoniale subito dal ricorrente, giova evidenziare, come peraltro ritenuto dalla prevalente giurisprudenza (tra le tante, Cass., S.U., 26.1.2004, n. 1338; Cass., S.U., 26.1.2004, n. 1341; Cass., 11.5.2004, n. 8896; Cass., 30.3.2005, n. 6714; Cass., 6.9.2007, n. 18719), il danno non patrimoniale sussiste ogni volta in cui, accertata la durata irragionevole del procedimento, non ricorrano nel caso concreto circostanze particolari che facciano escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente.
Conseguentemente, il danno in questione non dovrebbe formare specifico oggetto di prova, ma deve intendersi che basti dimostrare l’irragionevole durata del processo per ottenerne il risarcimento, salvo che non sia accertato il conseguimento di un vantaggio per effetto del prolungamento della controversia.
Ulteriore profilo da considerare ai fini del risarcimento del danno non patrimoniale è quello attinente al periodo da prendere in considerazione.
Grosse perplessità solleva, infatti, la limitazione del risarcimento al periodo eccedente la ragionevole durata disposta dall'art. 2, ult. co., l. 24.3.2001, n. 89. La previsione rappresenta la conferma più significativa della natura essenzialmente risarcitoria del rimedio, volto a garantire una reintegrazione del pregiudizio connesso all'allungamento irragionevole dei tempi processuali e, proprio per questo, causalmente riconducibile alla sola parte del processo protrattasi oltre la sua durata fisiologica.
Si tratta di una limitazione che sembra tuttavia destinata ad un futuro superamento, in considerazione del fatto che la Cassazione risulta sempre più spesso chiamata a pronunciarsi sull'ammissibilità di un risarcimento quantificato sulla base dell'intera durata del processo, e non solo della parte di esso che il giudice ritenga sia stata irragionevolmente eccessiva.
In questo senso, depone proprio la giurisprudenza della Corte di Strasburgo, la quale ha preso posizione sul tema in sette sentenze, tutte emanate in data 10.11.2004, proprio con riferimento a ricorsi presentati da cittadini italiani già parzialmente risarciti ex lege Pinto, sottolineando che il rimedio risarcitorio italiano, se non vuole cadere nella censura europea, deve garantire un effettivo ristoro al cittadino danneggiato considerando l'intero modo con cui il servizio giustizia è stato assicurato, cioè modulando il quantum risarcibile avendo riguardo all'intera durata della controversia, senza differenziare nettamente la parte del processo ancora rientrante nella durata “ragionevole” dalla parte che, essendosi protratta eccessivamente, produce, per ciò solo, un danno risarcibile.
Muovendo da questi rilievi, sono state presentate alla Cassazione questioni di legittimità costituzionale dell'art. 2, ult. co., l. 24.3.2001, n. 89, nella parte in cui limita espressamente il danno a quello eccedente la durata irragionevole.
In particolare, si è sostenuto che tale disposizione contrasterebbe sia con l'art. 111 Cost., che, come modificato dalla l. Cost. 23.11.1999, n. 2, afferma il diritto ad un giusto processo avente tempi ragionevoli, sia con la stessa Convenzione CEDU, la quale si porrebbe ad un livello sovraordinato rispetto alla legge ordinaria, e dunque consentirebbe di sancirne l'illegittimità ai sensi del nuovo art. 117, 1° co., Cost., nel testo modificato dalla l. Cost. 18.10.2001, n. 3, che impone allo Stato e alle Regioni di esercitare la potestà legislativa «nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali».
L'interprete chiamato ad operare con la l. 24.3.2001, n. 89, in altri termini, non dovrà – secondo la scrivente difesa – più limitarsi a profilare l'applicazione della normativa interna come desumibile dalle sue precise indicazioni letterali, ma dovrà cercare una soluzione uniforme alle risultanze della giurisprudenza della Corte europea. Il Giudice di legittimità ha precisato peraltro che ciò non comporta necessariamente l'obbligo del giudice italiano di uniformarsi in toto alle statuizioni provenienti da Strasburgo: l'uniformità idonea a sventare il pericolo di nuove condanne per l'Italia dovrà riguardare soltanto gli esiti applicativi del rimedio.
Per allinearsi alle indicazioni della Cassazione, dunque, sarebbe necessario aumentare considerevolmente il risarcimento per anno, affinché, anche moltiplicando quest'ultimo per i soli anni eccedenti la durata irragionevole, sia possibile pervenire ad una somma quantitativamente comparabile a quella “europea” (pari ad un minimo di 1.000,00-1.500,00 Euro per ogni anno del processo, considerando l’intero processo e non solo il periodo temporale eccedente il termine di ragionevole durata).
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Tanto premesso, l’istante, come sopra rappresentato, difeso e domiciliato
Ricorre
Alla S.V. Ill.ma affinché voglia, reiectis contrariis, così provvedere:
A) accertare e dichiarare che all’istante spetta il risarcimento, ad opera del Ministero della Giustizia, in persona del suo Ministro pro tempore, con sede in Roma, via Arenula, 70, per i danni patrimoniale e/o non patrimoniale subiti a seguito dei fatti sopra indicati, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione al saldo; e per l’effetto
B) Condannare il Ministero della Giustizia, in persona del suo Ministro pro tempore, con sede in Roma, via Arenula, 70, al pagamento, in favore dell’istante di una somma non inferiore ad Euro … (i.e.: … anni * Euro 1.500,00) e/o nella maggiore o minore somma risultante di Giustizia, oltre interessi e rivalutazione monetaria dalla data del dovuto al saldo;
C) Con vittoria di spese, diritti ed onorari, con attribuzione al sottoscritto procuratore per fattane anticipazione.
IN VIA ISTRUTTORIA, senza con ciò invertire l’onere della prova, chiede ammettersi interrogatorio formale del legale Ministro pro tempore e prova testimoniale su tutte circostanze di fatto di cui al ricorso che si abbiano qui per integralmente ripetute e trascritte con l’anticipo della locuzione “è vero che”.
Indica a testimoni i Sig.:
…
Produce, mediante deposito in Cancelleria, i seguenti atti e documenti:
…
Chiede disporsi l’acquisizione degli atti e dei documenti tutti relativi ai procedimenti r.g.n.: … del Tribunale di …, sez. lavoro, e r.g.n.: … della Corte di Appello di …, sez. lavoro.
Con riserva di aggiungere o variare nei limiti di legge.
S.J.
Luogo, data e firma procuratore