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NOTAIO E RESPONSABILITA' PROFESSIONALE - CASS. SENT. N. 4720 DEL 23.03.2012

Svolgimento del processo

Con provvedimento del 9.2.2009, la Commissione Amministrativa Regionale di Disciplina della regione Puglia dichiarava il notaio P.A. responsabile della violazione di cui alla L. 16 febbraio 1913, n. 89, art. 28, per avere richiesto l'iscrizione di un atto costitutivo di società a responsabilità limitata in assenza delle condizioni richieste dal D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 106 ("capo I/A)); della violazione della L. 3 febbraio 1989, n. 39, art. 5, comma 3, lett. b), per avere rogato il suddetto atto costitutivo di società, prevedendo quale oggetto sociale tanto l'esercizio di attività di mediazione che di attività imprenditoriale (capo 1/B)); della violazione del R.D. 10 settembre 1914, n. 1326, art. 54, per avere rogato un atto in cui chi compariva quale rappresentante esorbitava dai poteri conferiti dal rappresentato (capo 2).

La COREDI irrogava la sanzione pecuniaria di Euro 10.400,00, in relazione alla contestazione di cui al capo 1/A) e quella dell'avvertimento con riferimento alle contestazioni di cui ai capi 1/B) e 2).

La Corte di Appello di Bari, con sentenza depositata il 3.2.2010, in parziale accoglimento del reclamo del notaio L. 16 febbraio 1913, n. 89, ex art. 158, escludeva la rilevanza disciplinare del comportamento di cui al capo 1/B) e confermava nel resto il provvedimento della Commissione Amministrativa.

Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il notaio.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

1.1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in relazione alla L. n. 89 del 1913, art. 28, e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 106. 1.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, artt. 28 e 138 bis, e D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 106. Il ricorrente deduce che l'attività di assunzione di partecipazioni in altre società ed aziende per conto proprio e di terzi era prevista, nello statuto, solo quale strumentale al raggiungimento dello scopo sociale.

Secondo il ricorrente il legislatore avrebbe inteso vietare l'esercizio di attività finanziaria al pubblico al di fuori dei presupposti di cui al D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 106, o di quelli in deroga previsti dalle norme regolamentari, mentre non esiste una norma che preclude ad una compagine sociale di esercitare in futuro l'attività di cui all'art. 106 T.U.B., allorchè si sia in futuro in presenza dei requisiti di legge.

2.1. I due motivi sono infondati.

Va, anzitutto rilevato che L. n. 89 del 1913, art. 138 bis, aggiunto dalla L. 24 novembre 2000, n. 340, art. 32, e poi sostituito dal D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 23, statuisce che "1. Il notaio che chiede l'iscrizione nel registro delle imprese delle deliberazioni di società di capitali, dallo stesso notaio verbalizzate, quando risultano manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge, viola l'art. 28, comma 1, n. 1, ed è punito con la sospensione di cui all'art. 138, comma 2, e con la sanzione pecuniaria da 516 Euro a 15.493 Euro.

2. Con la stessa sanzione è punito il notaio che chiede l'iscrizione nel registro delle imprese di un atto costitutivo di società di capitali, da lui ricevuto, quando risultino manifestamente inesistenti le condizioni richieste dalla legge".

Il giudice di merito ha osservato che nella fattispecie nessuna limitazione v'è nella previsione di cui all'art. 3, lett. C), dello statuto che, nel campo finanziario indica, tra gli scopi della società, l'assunzione "di partecipazioni in altre società ed aziende per conto proprio e di terzi".

Nessun rilievo pratico, in uno statuto nel quale la società si prefigge compiti attinenti ad ogni campo dell'attività, ha la disposizione finale secondo la quale la società "potrà, infine, relativamente agli scopi prefissati, assumere partecipazioni in altre aziende o permetterle nella propria".

La parola "infine", fa comprendere che la dizione in questione non costituisce una precisazione, una limitazione di quanto previsto alla precedente lettera e), ma un ulteriore potere concesso alla società.

Quindi è come se, tra gli scopi richiamati da tale ultima disposizione vi sia anche quello di assumere partecipazioni in altre società ed aziende per conto proprio e di terzi, di cui alla precedente lettera c).

2.2. Come rileva correttamente la sentenza impugnata, proprio con riguardo alla prevista attività nel campo finanziario (lett. C, dello statuto) era contemplato che la società potesse assumere partecipazioni in altre società o aziende per conto proprio o di terzi in aperta violazione del disposto normativo che riserva tale attività a soggetti qualificati (art. 106 T.U. Bancario);

2.3. Neppure può ritenersi che nella specie non si abbia un atto espressamente proibito dalla legge (ai sensi dell'art. 28 L. N.), ma al più un atto invalido, poichè, a norma dell'art. 138 bis, la richiesta di iscrizione nel Registro delle Imprese di un atto costitutivo di società dallo stesso richiedente ricevuto, quando risultino manifestamente insussistenti le condizioni di legge, integra di per sè e per espressa previsione (ben giustificata dal venir meno del controllo del Tribunale in sede di omologazione) una violazione della L. n. 89 del 1913, art. 28. 3.1. Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 1913, art. 145 bis.

Lamenta il ricorrente che la sentenza impugnata erroneamente non ha ritenuto che nella fattispecie egli potesse definire con l'oblazione il procedimento disciplinare, vertendosi in ipotesi sanzionata solo con la pena pecuniaria.

4.1. Il motivo è infondato.

Correttamente il giudice del reclamo ha escluso la possibilità della oblazione, prevista dall'art. 145 bis L.N. per il caso di infrazione punibile con la sola pena pecuniaria, dovendosi avere riguardo alla sanzione astrattamente applicabile in base al disposto dell'art. 138 bis L. Not., e non a quella applicata in concreto per effetto del riconoscimento della sussistenza di ragioni di attenuazione della sanzione.

Invero, è del tutto evidente che il particolare beneficio della riduzione significativa della sanzione di necessità deve essere stato previsto dal legislatore in relazione alla particolare ed astratta tipologia della violazione, a prescindere dalla circostanza accidentale della eliminazione della sospensione per fattori contingenti, che attengono alla concreta rilevanza del fatto particolare;

5.2. Già sotto il vigore della precedente normativa questa Corte ha rilevato che la L. n. 89 del 1913, art. 151, comma 2, (c.d. legge notarile) prevede l'oblazione in caso di "contravvenzione punibile con la sola ammenda". Essa fa quindi riferimento alla punibilità in astratto, e non già alla pena inflitta in concreto. Ne consegue che l'oblazione non è consentita per le infrazioni punibili con la sospensione, anche se per esse sia stata irrogata la sanzione dell'ammenda a seguito della concessione delle circostanze attenuanti secondo la previsione del R.D.L. n. 1324 del 1923, art. 16. (Cass. 20/02/2006, n. 3660;).

5.3. La L. n. 89 del 1913, art. 145 bis, introdotto dal D.Lgs. n. 249 del 2006, art. 28, statuisce che "In caso di infrazione punibile con la sola sanzione pecuniaria, il notaio, che non sia recidivo nella stessa infrazione, può prevenire il procedimento o interromperne il corso prima della decisione definitiva, pagando una somma corrispondente ad un terzo del massimo previsto per la infrazione".

Consegue che l'oblazione non è consentita per le infrazioni che sono punibili con la, sospensione, come quella contestata nella fattispecie, anche se per esse sia stata irrogata la sanzione dell'ammenda a seguito della concessione delle circostanze attenuanti, secondo la previsione del R.D.L. 27 maggio 1923, n. 1324, art. 16 (Cass. n. 12835/1998).

6. Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente lamenta la nullità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in merito ad un fatto controverso e cioè all'interpretazione di una procura ed ai conseguenti poteri del procuratore.

7. Il motivo è inammissibile per mancato rispetto del principio di autosufficienza del ricorso (Cass. 23.3.2005, n. 6225; Cass. 23.1.2004, n. 1170), non essendo stata trascritta nel ricorso la predetta procura, ma essendosene riportati solo 2 stralci avulsi dal contesto generale, tanto più che la sentenza di merito da un giudizio complessivo della procura di non genericità ed assume che essa conteneva la descrizione del fondo con i confini, la estensione e i dati catastali, mentre il fondo venduto non solo ha una estensione più che doppia, ma comprende particelle non previste nella procura.

8. Con il quinto motivo di ricorso, il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 89 del 1913, art. 136, per aver ritenuto applicabile la sanzione dell'avvertimento di cui alla predetta norma a tutti i comportamenti non esplicitamente previsti, ma integrativi di semplici violazioni di doveri connessi all'esercizio corretto della professione di notaio. Secondo il ricorrente tale interpretazione lata finisce per essere in contrasto con la costituzione, in quanto considera illecito un comportamento non espressamente previsto dalla legge.

Assume il ricorrente che le infrazioni sanzionagli con l'avvertimento sono in effetti solo quelle tipizzate dall'art. 147 l. not..

Tali figure di illeciti, sanzionate abitualmente con la censura, nei casi meno gravi sarebbero censurate con l'avvertimento a norma dell'art. 136, l. not. e nei casi più gravi con la destituzione, a norma dello stesso art. 147, l. not..

9.1. Il motivo è infondato.

La L. n. 89 del 1913, art. 136, come sostituito dal D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249, art. 20, statuisce che: "1. L'avvertimento consiste in un rimprovero al notaio per l'infrazione commessa con esortazione a non reiterarla. L'avvertimento si infligge per le trasgressioni più lievi di quelle sanzionagli con la censura.

2. La censura è una dichiarazione formale di biasimo per l'infrazione commessa. Copia del relativo provvedimento è affissa per quindici giorni alla porta esterna della sala delle riunioni del consiglio notarile distrettuale del collegio al quale è iscritto il notaio".

La L. n. 89 del 1913, art. 147, statuisce che: "1. E' punito con la censura o con la sospensione fino ad un anno o, nei casi più gravi, con la destituzione, il notaio che pone in essere una delle seguenti condotte:

a) compromette, in qualunque modo, con la propria condotta, nella vita pubblica o privata, la sua dignità e reputazione o il decoro e prestigio della classe notarile;

b) viola in modo non occasionale le norme deontologiche elaborate dal Consiglio nazionale del notariato;

c) fa illecita concorrenza ad altro notaio, con riduzioni di onorari, diritti o compensi, ovvero servendosi dell'opera di procacciatori di clienti, di richiami o di pubblicità non consentiti dalle norme deontologiche, o di qualunque altro mezzo non confacente al decoro ed al prestigio della classe notarile.

2. La destituzione è sempre applicata se il notaio, dopo essere stato condannato per due volte alla sospensione per la violazione del presente articolo, vi contravviene nuovamente nei dieci anni successivi all'ultima violazione". 9.2.Anzitutto va escluso ogni dubbio di costituzionalità dell'art. 147 l. not.. Il disposto dell'art. 25 Cost., comma 2, interpretato nel necessario collegamento con il comma 1 dello stesso articolo, si riferisce, come anche ritenuto dalla Corte Costituzionale (Sent. n. 100 del 1981), solo alla materia penale e non è di conseguenza estensibile a situazioni, come gli illeciti disciplinari, estranei all'attività del giudice penale. Certamente ciò non esclude che anche gli illeciti disciplinari debbano essere concretamente individuabili attraverso una specificazione della condotta punibile, rispettosa dei principio di legalità, ma tale specificazione, come ritenuto sempre dalla Corte costituzionale (Sent. n. 191 del 1970), per di più con riferimento ad ipotesi di illecito costituente reato, "si attua non soltanto con la rigorosa e tassativa descrizione di una fattispecie ma, in alcune ipotesi, con l'uso di espressioni sufficienti per individuare con certezza il precetto e per giudicare se una determinata condotta l'abbia o meno violato"; sempre la Corte costituzionale, nella stessa materia, ha ancora ritenuto (Sent. n. 188 del 1975) che "le fattispecie criminose, cosiddette a forma libera, che richiamano, cioè con locuzioni generiche ma di ovvia comprensione concetti di comune esperienza o valori etico-sociali oggettivamente accertabili dall'interprete", sono pienamente compatibili con il principio di legalità. 9.3.In forza delle esposte considerazioni (che furono poi quelle che indussero la Corte costituzionale a rigettare la questione di legittimità costituzionale del R.D.L. 31 maggio 1946, n. 511, art. 18, nell'originaria formulazione) va ritenuto che l'art. 147 l. not. sia rispettoso del principio di legalità, nei termini sopra enunciati, per le ragioni che seguono.

10.1. L'esame del motivo di ricorso rende necessaria l'esposizione di alcuni principi regolatori della responsabilità disciplinare degli esercenti la professione notarile e del controllo della Corte di cassazione sulla motivazione delle decisioni rese dalla Corte di appello, quale giudice del reclamo avverso le decisioni della COREDI (L. n. 89 del 1913, artt. 158, 158 bis e 158 ter, come D.Lgs. 1 agosto 2006, n. 249).

Vi è da premettere che, come già affermato da questa Corte, l'art. 147 della legge notarile individua con chiarezza l'interesse che si ritiene meritevole di tutela (ossia, la salvaguardia della dignità e reputazione del notaio, nonchè il decoro ed il prestigio della classe notarile) e determina la condotta punibile in quella idonea a compromettere l'interesse tutelato; condotta il cui contenuto, non individuato nel suo specifico atteggiarsi, è integrato dalle norme di etica professionale e, quindi, dal complesso di quei principi di deontologia che sono oggettivamente enucleabili dal comune sentire di un dato momento storico, nonchè dai "Principi di deontologia professionale dei notai" emanati dal Consiglio Nazionale del notariato in data 24 febbraio 1994 (G.U. 16 luglio 1994, n. 165, suppl. ord.). Come tale la norma menzionata è del tutto rispettosa del principio di legalità (Cass. 24/07/1996, n. 6680).

10.2. La ragione della mancanza di una specifica tipizzazione di ipotesi d'illecito,anche in tema di disciplinare dei notai, al pari di quanto avviene per altre categorie, viene generalmente ravvisata nel fine di evitare che violazioni dei doveri anche gravi possano sfuggire alla sanzione disciplinare. Pertanto, per un'esatta ricostruzione del controllo di legittimità sull'interpretazione ed applicazione di tale norma, occorre prendere le mosse dalla premessa che la stessa descrive fattispecie d'illecito disciplinare, non mediante un catalogo di ipotesi tipiche, ma mediante clausole generali o concetti giuridici indeterminati. Ciò comporta anzitutto che tale norma non si presta ad una definitiva ed esaustiva individuazione di ipotesi tipiche sul piano astratto, sia pure da parte dell'organo deputato alla sussunzione del fatto nella norma generale. Il che, sotto il profilo attuativo, significa che il perimetro di tale norma generale, preposta alla tutela del decoro e della dignità professionale, non è esaurito dalle fattispecie tipiche lesive che possano rivenirsi nel codice deontologico professionale.

10.3. L'applicazione di norme di tale specie può dar luogo a valutazioni che - pur rimanendo distinte dal campo della discrezionalità, intesa come ponderazione comparativa d'interessi - finiscono con l'attribuire all'organo decidente un margine di apprezzamento non controllabile in cassazione.

Il sindacato del giudice di legittimità sull'applicazione di un concetto giuridico indeterminato deve essere, quindi, rispettoso dei limiti che il legislatore gli ha posto, utilizzando una simile tecnica di formulazione normativa, che attribuisce al giudice del merito uno spazio di libera valutazione ed apprezzamento.

Il controllo della Corte di Cassazione sulla corretta interpretazione ed applicazione del citato art. 147, non può prescindere dal fatto che detta norma contiene, per la definizione delle condotte sanzionatali, concetti giuridici indeterminati.

10.4. Non fornendo la norma, per sua intrinseca natura, elementi tassativi per la definizione delle condotte disciplinarmente illecite, il sindacato di legittimità deve tener conto del fatto che la categoria normativa impiegata finisce con l'attribuire agli organi disciplinari notarili un compito di individuazione delle condotte sanzionatali, nel quale non può ammettersi una sostituzione da parte dal giudice di legittimità, consistente nella riformulazione o ridefinizione di tali condotte.

Il dibattito sul controllo di legittimità dell'applicazione di concetti giuridici indeterminati effettuata dal giudice di merito non è certo recente, nè esclusivo della tradizione giuridica italiana, ma risale ad oltre un secolo e mezzo fa.

Limitando l'esame all'esperienza applicativa della Corte, è certo che, almeno nella sua teorica enunciazione, quando il giudice del merito è chiamato ad applicare concetti giuridici indeterminati, il compito del controllo di legittimità può essere soltanto quello di verificare la ragionevolezza della sussunzione del fatto.

La Corte non può, pertanto, sostituirsi al giudice di merito nell'attività di riempimento dei concetti indeterminati contenuti nel citato art. 147 l. not..

Pertanto, anche nell'individuazione di condotte costituenti illecito disciplinare degli esercenti la professione notarile, essendo le stesse definite dalla legge mediante una clausola generale, il controllo di legittimità sull'applicazione di tale norma non consente alla Corte di Cassazione di sostituirsi agli organi disciplinari nell'enunciazione di ipotesi d'illecito, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza.

10.5.Ciò che va posto in risalto è che in questa attività di individuazione dell'ipotesi concreta di illecito disciplinare, quale modo di porsi della norma generale per il caso concreto, l'organo professionale disciplinare (prima ancora di effettuare una valutazione dei fatti storici) concretizza la norma al caso specifico, individuando un precetto per esso.

Il precetto della norma generale di cui alla L. n. 89 del 1913, art. 147, è: "non commettere fatti non conformi al decoro ed alla dignità professionale".

Da tale precetto generale, la COREDI è giunta alla tipizzazione di un precetto per il caso specifico, sia pure - come ogni precetto - ancora in astratto: "non tenere un comportamento anomalo rispetto a quello che è legittimo e normale pretendere dal notaio e, quindi, effettua in esercizio oculato e tecnicamente corretto della professione".

Ne consegue che in questa fase la ragionevolezza cui deve attenersi l'organo professionale disciplinare non è quella relativa alla motivazione sulla ricostruzione dei fatti (che è un momento successivo ed attiene all'accertamento degli avvenimenti fattuali), ma quella relativa alla "concretizzazione" della norma generale nella fattispecie in esame, come ipotesi di illecito disciplinare ascritto all'incolpato.

10.6. Per l'effetto l'attività di sindacato della Corte di legittimità sulla ragionevolezza in questo tipo di attività dell'organo disciplinare, quale risulta dal provvedimento impugnato, non attiene ad un giudizio di congruità logica della motivazione adottata, a norma dell'art. 360 c.p.c., n. 5. Non si versa in ipotesi di dubbio sulla ragionevolezza della motivazione sulla ricostruzione fattuale.

Qui la ragionevolezza attiene all'individuazione del precetto formulato per l'ipotesi specifica considerata, come concretizzazione del più ampio precetto della norma generale (nella fattispecie l'art. 147, L. not.).

Il sindacato sulla ragionevolezza è quindi non relativo alla motivazione del fatto storico, ma alla sussunzione dell'ipotesi specifica (sia pure in questa fase ancora in astratto) nella norma generale, quale sua concretizzazione.

Il sindacato da parte della Corte di legittimità sulla ragionevolezza di tale concretizzazione della norma generale è quindi un sindacato su vizio di violazione di norma di diritto ex art. 360 c.p.c., n. 3, ben lontano da quello di cui all'art. 360 c.p.c., n. 5. 10.7. Ne consegue che non è incorsa in alcuna violazione degli artt. 136 e 147 l. not. La sentenza impugnata che ha applicato al notaio la sanzione dell'avvertimento per l'addebito di cui al capo 2) per aver rogato un atto in cui chi compariva quale rappresentante esorbitava dai poteri conferiti dal rappresentato, così effettuando un esercizio non oculato nè tecnicamente corretto della professione notarile.

11. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

Nulla per le spese del giudizio di cassazione, non avendo gli intimati svolto attività difensiva.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Nulla per le spese del giudizio di cassazione.

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