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CONTRORICORSO IN CORTE DI CASSAZIONE - SEZIONE LAVORO - LICENZIAMENTO LAVORATORE (FORMULA)

suprema corte di cassazione
sez. lavoro
- Controricorso -
Per: il Sig. …, C.F.: …, rappresentato e difeso dall’Avv. …, C.F.: …  (il quale dichiara di voler ricevere le comunicazioni di Cancelleria a mezzo fax all’utenza n. … ovvero a mezzo posta elettronica certificata all’indirizzo p.e.c. …), ed elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avv. …, in Roma, al Viale …, n. …, giusta procura speciale a margine del presente atto
Controricorrente

Contro: …, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, con l’Avv. …, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. …, in Roma, …, n. …

Ricorrente
Oggetto: Controricorso avverso ricorso della notificato il in riferimento alla sentenza n. della Corte di Appello di depositata il , non notificata
*.*.*.*
Fatto e svolgimento del processo
1)   con ricorso iscritto al R.G. n. … del Tribunale di …, notificato in data …, il Sig. … impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli dalla …,  premettendo in fatto:
- che con lettera datata …, la … contestava al ricorrente addebiti disciplinari testualmente come segue: “Ai sensi e per gli effetti dell’art. 7 della legge 300/70, Le contestiamo quanto segue: In data 9 c.m. la S.V. si è presentata in servizio con circa due ore di ritardo senza aver comunicato ai nostri preposti tale Sua assenza. Questa Sua inadempienza ci ha causato disagi tecnici-organizzativi, danni economici e di immagine, non avendo potuto provvedere alla sua necessaria e tempestiva sostituzione. Il Giorno seguente abbiamo appreso che Ella aveva telefonato al caposquadra il quale, come a Lei ben noto, non ha alcuna funzione di coordinamento e, pertanto, la Sua comunicazione è risultata vana.
In data 10 c.m. il responsabile di cantiere il responsabile di cantiere sig. , Le ha contestato verbalmente la mancanza di cui sopra al fine di metterLa al corrente dei disagi causati ed Ella ha risposto minacciando la nostra società affermando che avrebbe fatto in modo da “aumentare le cause conto la scrivente ”.
Subito dopo si è recata al posto di dove è stato visitato dal Dr. il quale ha rilasciato una attestazione da cui non risulta alcuna prognosi né motivazione di inabilità temporanea. Ciò malgrado, la S.V. ha abbandonato arbitrariamente il posto di lavoro arrecandoci nuovi disagi organizzativi e, quindi, ulteriori danni economici e di immagine.
Per tali ragioni, in via del tutto cautelare, la sospendiamo immediatamente dalle attività lavorative sino ad esaurimento della procedura disciplinare attivata.
Le assegniamo, pertanto, a fronte dei suddetti addebiti, il termine di 5 giorni a far data dal ricevimento della presente, entro cui potrà farci pervenire Sue eventuali giustificazioni.
Le comunichiamo, altresì che al fine del presente procedimento disciplinare intendiamo tenere conto delle seguenti procedure a suo carico:
- contestazione del seguita da provvedimento disciplinare di multa di 4 ore comminato con lettera del ;
- contestazione del seguita da provvedimento disciplinare di sospensione dal lavoro e della retribuzione pari a giorni 3 (tre) comminato con lettera del , provvedimento sospeso perché la S.V. ha promosso il Collegio di Conciliazione ed Arbitrato.”;
- che in data, … il sig. …, a mezzo delle O.S. …, chiedeva, ed otteneva in data …, incontro con l’azienda per rendere le proprie giustificazioni in relazione alla procedura disciplinare;
- che in detta sede il ricorrente rendeva le giustificazioni che venivano incardinate nel verbale di riunione, in atti, che di seguito si riporta testualmente: “…”;
- che nonostante le suesposte ragioni, la società resistente in data …, intimava il licenziamento con lettera del seguente tenore: “Facendo seguito alla nostra lettera di contestazione di addebiti disciplinari del nonché alle Sue dichiarazione rese all’incontro del tenutosi presso gli uffici della scrivente società, come da Sua richiesta scritta, alla presenza dei rappresentanti sindacali a cui ha conferito mandato, Le comunichiamo che le stesse non sono state accolte, poiché infondate e non veritiere. Siamo, pertanto, spiacenti di comunicarle che la scrivente ha deciso di intimare nei Suoi confronti il licenziamento per giusta causa con effetto immediato. Ne deriva che il rapporto di lavoro con la nostra società cesserà a decorrere dalla data in cui riceverà la presente comunicazione. Detto licenziamento, come disposto, ove occorrendo, si intenderà sorretto da giustificato motivo soggettivo ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604/66. La motivazione del licenziamento è quella di cui alla lettera di contestazione che qui di richiama integralmente. Le competenze da Lei maturate, congiuntamente ai documenti di lavoro in nostro possesso, sono a Sua disposizione e possono essere ritirate previo appuntamento telefonico presso la sede della società. La invitiamo a riconsegnarci, a stretto giro, il tesserino di accesso alle aree aeroportuali, ritenendoci fin d’ora sollevati da qualsiasi responsabilità derivante da Sue eventuali azioni e/o atti nell’ambito della società”;
- che il ricorrente con raccomandata del … impugnava il licenziamento per le seguenti ragioni: “...in quanto illegittimo e comunque non sorretto da giusta causa o giustificato motivo”;
- che contestualmente in data … esperiva tentativo obbligatorio di conciliazione presso la Direzione Provinciale del lavoro di … per l’impugnativa di licenziamento;
- che successivamente in data …, quindi successivamente al licenziamento, la società … dettava ai propri dipendenti le disposizioni cui attenersi in caso di ritardi, assenze o malattie;
- che in data …, innanzi la D.p.l. di …, il lavoratore rifiutava l’ipotesi conciliativa offerta dalla datrice di lavoro che prevedeva la riassunzione al 9° livello retributivo part-time (mentre il ricorrente era inquadrato al 7° livello);
- in diritto il ricorrente deduceva la sproporzione della sanzione del licenziamento, anche in considerazione del dettato di cui all’art. … dell’applicabile CCNL, l’inapplicabilità della recidiva in riferimento alle sanzioni precedenti i 12 mesi, nonché la mancata affissione del codice disciplinare;
- ciò premesso in fatto e diritto, il lavoratore concludeva per sentire accertare e dichiarare la nullità, illegittimità e inefficacia del licenziamento intimatogli per l’effetto; ordinare a … in persona del legale rapp.te l’immediata reintegra nel posto di lavoro del ricorrente; condannare la … al pagamento in suo favore di tutte le retribuzioni maturate dalla data del recesso fino alla ripresa dell’attività lavorativa oltre ad interessi e rivalutazione monetaria dalla maturazione al saldo; con vittoria di spese ed onorari di giudizio;
2)   il ricorso era iscritto al R. G. n. … del Tribunale di …, Sezione Lavoro;
3)   con atto datato …, si costituiva la …, la quale richiedeva di rigettarsi il ricorso depositato dal Sig. …;
4)   il Giudice adito, con sentenza n. …, accoglieva il ricorso, dichiarando l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente in data …, così testualmente decidendo: “Con ricorso depositato in data l’epigrafato ricorrente impugnava il licenziamento disciplinare intimatogli dalla spa in data di cui denunciava l'insussistenza degli addebiti, la sproporzione tra i fatti e la sanzione e la mancata affissione del codice disciplinare e chiedeva l'accertamento della nullità, illegittimità ed inefficacia del recesso e la reintegra nel posto di lavoro con condanna al pagamento delle retribuzioni maturate dalla data del recesso alla ripresa del rapporto di lavoro, oltre accessori di legge con riserva di agire in separata sede per il risarcimento del danno biologico, spese vinte.
Instauratosi il contraddittorio la società convenuta si costituiva deducendo la ricorrenza della giusta causa e la correttezza formale e sostanziale del procedimento disciplinare per cui chiedeva il rigetto del ricorso con vittoria delle spese di lite, in via subordinata chiedeva di convertirsi il licenziamento intimato per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo, allegava che il ricorrente aveva rifiutato in sede di conciliazione la riassunzione in servizio nel 9° livello contrattuale e di tale rifiuto andava tenuto conto nella determinazione del danno da liquidare in caso di accoglimento della domanda attorea, con vittoria delle spese di lite.
All’esito del libero interrogatorio del ricorrente, il giudicante riteneva superflua ogni indagine istruttoria e all’odierna udienza, all’esito della camera di consiglio decideva la causa dando pubblica lettura del dispositivo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso è fondato e va pertanto accolto nei termini di seguito precisati.
Ed invero, il licenziamento oggi impugnato trae origine da un addebito mosso al ricorrente con comunicazione del che si trascrive per completezza espositiva:
“ai sensi e per gli effetti dell'art.7 della legge 300/70 le contestiamo quanto segue:…”
A tale comunicazione ha fatto seguito l’audizione personale del ricorrente nella seduta del  (cfr verbale in atti), dopodiché la società convenuta ha irrogato il licenziamento con comunicazione del in cui essa, dopo aver scritto di non accogliere le giustificazioni fornite perché infondate ed invertire, ha irrogato il licenziamento per giusta causa con effetto immediato utilizzando, quale motivazione del licenziamento, quella di cui alla lettera di contestazione integralmente richiamata. La posizione processuale del ricorrente nel presente giudizio riguardante l’impugnativa del licenziamento, si incentra sulla negazione degli addebiti, sul vizio di sproporzione della sanzione in relazione ai fatti addebitati e sulla violazione dell’obbligo di affissione del codice disciplinare.
Orbene, al fine di impostare correttamente il tema d’indagine è bene evidenziare che il primo addebito mosso al ricorrente consiste nell’avere avvisato del ritardo di due ore nel prendere servizio, il Caposquadra della società, persona ritenuta sprovvista di funzioni di coordinamento di talché, a dire della società, la comunicazione del ritardo “è risultata. vana”. Pertanto, non è contestata la mancata comunicazione del ritardo bensì la comunicazione del ritardo a persona inidonea.
Il ricorrente in sede disciplinare e in sede di libero interrogatorio si è difeso allegando di aver tentato di avvisare il responsabile di cantiere sig. ma di non esservi riuscito perché irrintracciabile al cellulare. Tale difesa consente di ridimensionare la questione attorea relativa alla mancanza di procedure formali dettate dall'azienda in caso di ritardi dal momento che il ricorrente, per il fatto di avere tentato di avvisare il responsabile, implicitamente ammette di sapere che tale è la procedura a cui doveva attenersi e di essere ricorso alla comunicazione al caposquadra, non in via alternativa ma in via subordinata, stante l'impossibilità di avvisare il responsabile.
La mancata prova dell’inidoneità della comunicazione del ritardo al caposquadra, tanto non potendosi desumere dal disciplinario allegato al contratto di assunzione, consente di ritenere scusabile l’errore in cui è incorso il ricorrente nel ritenere sufficiente l’aver avvisato del ritardo il caposquadra. Tale conclusione rende superfluo anche accertare se effettivamente il responsabile fosse o meno irrintracciabile il giorno dell’accaduto.
In ordine agli altri addebiti mossi al ricorrente, la contestata minaccia alla società di “aumentare le cause contro la scrivente” non costituisce, secondo il comune sentire, un’affermazione intimidatoria dovendosi attribuire alla stessa il valore di una prospettazione da parte del ricorrente dell’esercizio di un’azione giudiziaria in conseguenza di una verosimile iniziativa disciplinare intentabile dalla società per i fatti contestati. in altri termini, la frase proferita dal ricorrente, sia che fosse quella addebitata dalla società, per come trascritta nella contestazione disciplinare, sia che fosse quella allegata dal ricorrente (“saranno i sindacati e gli avvocati a difendermi”), costituisce esplicazione dell’esercizio di un diritto preannunciato ed appare nel contesto in cui è stata resa, priva di qualsivoglia altro significato, peraltro neanche contestato al lavoratore.
Per quanto attiene alla contestazione relativa all’abbandono arbitrario del posto di lavoro, devesi osservare che il ricorrente ebbe a farsi visitare dai un sanitario che redasse il certificato medico che il ricorrente consegnò in azienda. La doglianza della società, per come palesata nella lettera di contestazione, è relativa all’assenza nella attestazione del dott. di una prognosi e della motivazione di inabilità temporanea.
Orbene, lo stato d’ansia riscontrato dal sanitario è di per sé una sufficiente causa giustificativa dell’allontanamento del ricorrente dal posto di lavoro tanto più che la società non ha contestato al ricorrente la falsità del suo stato d’ansia. L’assenza della prognosi non è di per sé di ostacolo all’allontanamento dal posto di lavoro nello stesso giorno della visita medica ma al più avrebbe potuto venire in rilievo laddove il certificato medico fosse stato utilizzato per giustificare le ulteriori assenze dal servizio ma non è questo il caso che ne occupa.
All’esito di tali considerazioni, i fatti per come accertati, concretizzatisi in un ritardo di due ore nel prendere servizio giustificato sia pure irritualmente e nell’avere prospettato al datore di lavoro l’eventuale azione giudiziaria in caso di sanzione disciplinare non appaiono di entità tale da giustificare il provvedimento espulsivo applicato dalla società convenuta, in considerazione del modesto rilievo dei fatti commessi dal ricorrente.
Né valgono ad integrare il requisito della proporzione la contestazione del seguita da provvedimento disciplinare di multa di ore 4 (per il mancato uso degli strumenti. di. protezione) comminato con lettera del , e la contestazione del seguita da provvedimento disciplinare di sospensione dal lavoro e dalla retribuzione pari a tre giorni (per un’accusa di diffamazione) comminato con lettera del (provvedimento sospeso per l’attivazione della procedura conciliativa dinanzi al Collegio di Conciliazione). Ed invero, entrambi i provvedimenti sono antecedenti ai dodici mesi previsti dalla contrattazione collettiva, all’art. 20 per la valutazione della recidiva in qualsiasi mancanza che abbia dato luogo a due sospensioni ed inoltre delle due la seconda al momento della contestazione non è stata neanche applicata perché sospesa.
Ritenendo ammissibile la contestazione di precedenti condotte disciplinarmente rilevanti anche qualora non abbiano dato luogo a recidiva nel suo stretto significato, al fine di definire un quadro valutativo rilevante sul piano delle relazioni di fiducia tra il prestatore e il datore di lavoro e della definizione della personalità del dipendente, in ogni caso, delle condotte precedenti per le quali il datore di lavoro ritenne di esprimere un giudizio negativo, la prima non appare di entità tale da compromettere, unitamente agli addebiti in questione, il vincolo fiduciario e la seconda -sub valutazione del collegio arbitrale al momento della contestazione in oggetto non appare definita nei suoi elementi oggettivi e soggettivi. Di nessun pregio è la circostanza che solo in seguito al recesso del ricorrente, per la sanzione disciplinare in esame il Collegio arbitrale abbia ridotto ad uno i giorni di sospensione.
Alla stregua delle considerazioni che precedono, non essendo contestata dalla società l’applicabilità della tutela reale in presenza del requisito dimensionale di cui all’art. l8 della legge 300/70, deve dichiararsi l’illegittimità del licenziamento irrogato al ricorrente, conseguente all’accertamento della sproporzione tra i fatti addebitati e la massima sanzione disciplinare, cui consegue l’obbligo della società di reintegrare in servizio il ricorrente.
È assorbita ogni questione relativa alla mancata affissione del codice disciplinare, comunque non richiesta trattandosi di recesso per giusta causa; è inaccoglibile la possibilità auspicata dalla società di conversione del licenziamento intimato per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo.
Il ricorrente ha dichiarato di essere allo stato disoccupato e di non avere accettato l’offerta transattiva di riassunzione perché basata sull’attribuzione di un inferiore inquadramento contrattuale di talché essendo inapplicabile l’aliunde perceptum ed essendo sorretto da un’adeguata giustificazione il diniego della transazione, alcuna limitazione della sanzione risarcitoria prevista dall’art. l8 può adottarsi a sfavore del ricorrente.
Conseguono quindi gli integrali effetti risarcitori previsti dalla norma statutaria, considerando la retribuzione mensile globale lorda di € nonché la condanna della convenuta alla regolarizzazione contributiva.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura indicata in dispositivo.
PQM
Dichiara l’illegittimità del licenziamento intimato al ricorrente in data e, per l’effetto, ordina alla convenuta di reintegrare il ricorrente nel posto di lavoro e condanna la stessa al risarcimento del danno in favore del ricorrente nella. misura delle retribuzioni globali di fatto maturate dal licenziamento all’effettiva reintegra (€ mensili), nonché al versamento dei contributi obbligatori maturati dalla data del licenziamento a quella dell’effettiva reintegrazione;
condanna la convenuta al pagamento delle spese di lite liquidate in € oltre IVA e CPA”;
5)   ricorreva in appello la …;
6)   si costituiva ritualmente il Sig. …, richiedendo l’integrale conferma della sentenza del Tribunale di …. In particolare l’appellato, con memoria difensiva, sottolineava – tra l’altro – di ritenere la sanzione del licenziamento sproporzionata e la recidiva non applicabile, non essendo stato egli soggetto a sanzioni disciplinari negli ultimi 12 mesi dal licenziamento;
la Corte di Appello di …, con sentenza n. …, accoglieva l’appello per quanto di ragione ed, in riforma parziale dell’impugnata sentenza, compensava tra le parti le spese del 1° grado di giudizio. Confermava per il resto l’impugnata sentenza;
7)   con atto notificato in data …, la … S.p.A., ricorreva presso la Suprema Corte di  Cassazione per vedere cassata la sentenza n. … della Corte di Appello di ….
*.*.*.*
Il Sig. , come sopra rappresentato, difeso ed elettivamente domiciliato, letto e contestato – in fatto e in diritto – l’atto notificatole nonché tutto quanto ex-adverso dedotto, richiesto e prodotto, ed impugnata infine la documentazione da controparte esibita, con il presente atto propone
Controricorso
per dimostrare l’inammissibilità e l’infondatezza del ricorso proposto dalla … S.p.A. per i seguenti
Motivi di diritto
1) Inammissibilità ed infondatezza dei motivi di cui al paragrafo 1 del ricorso
Parte ricorrente impugna la sentenza per “Violazione ovvero omessa e/o contraddittorie e/o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c. commi 3° e 5°, in relazione agli artt. 2014, 2015, 2119 e 2697 c.c. nonché 414, 416 c.p.c”.
Pur ritenendo, come di seguito sarà meglio specificato, i motivi di specie infondati, l’esponente ritiene opportuno soffermarsi sulla loro inammissibilità anche in virtù dell’art. 366-bis c.p.c., considerato che il provvedimento impugnato è stato depositato in data 03.04.2009 e, pertanto, il procedimento di specie non è soggetto all’abrogazione di cui all’art. 47, comma 1, lett. d), l. n. 69/2009.
Innanzitutto, la censura de quo si riferisce alla pretesa mancata comunicazione al diretto superiore, Sig. …, del ritardo di due ore dal posto di lavoro (pacificamente comunicato dall’originario ricorrente, impossibilitato a comunicarlo al Sig. …, per irreperibilità di quest’ultimo, al caposquadra Sig. …).
Invero controparte impugna le sentenze di primo e di secondo grado per non aver le stesse accolto la richiesta istruttoria avanzata dalla società ricorrente nel capo 16 della memoria difensiva e per aver deciso la causa sulla base di circostanze contestate e non provate (i.e.: il Sig. … non era caposquadra del Sig. …).
Tali motivi di doglianza sono inammissibili per i seguenti motivi:
(i)                          non è indicato alcun quesito di diritto. Sul punto giova evidenziare che la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha statuito che: “Dispone l’art. 366 - bis c.p.c. che, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto. Queste S.U. (26.3.2007, n. 7258) hanno già statuito che la formulazione di un quesito di diritto, anche nei ricorsi per violazione o falsa applicazione di norma di diritto, non può ritenersi sussistente, per il solo fatto che il quesito di diritto può implicitamente desumersi dal motivo di ricorso, poichè una siffatta interpretazione si risolverebbe nell’abrogazione tacita della norma in questione, che ha introdotto a pena di inammissibilità, il rispetto del requisito formale, che deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto tale da circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte. Non vi è ragione per discostarsi da tale principio. Nella fattispecie, quindi, sono inammissibili i suddetti tre motivi di ricorso per mancata formulazione del quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.. 4.2. Va solo specificato che non possono ritenersi equipollenti ai quesiti di diritto da formularsi a conclusione di ciascun motivo, a norma dell’art. 366 bis c.p.c., quanto esposto dal ricorrente in sede di conclusioni, in merito ai termini in cui dovrebbe essere motivata nella fattispecie la sentenza di questa Corte ed al principio di diritto a cui dovrebbe uniformarsi il giudice di rinvio. Infatti, come queste S.U. (26.3.2007, n. 7258) hanno già affermato, il rispetto del requisito formale del quesito di diritto deve esprimersi nella formulazione di un esplicito quesito di diritto tale da circoscrivere la pronunzia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito formulato dalla parte ed, inoltre, esso deve essere formulato in relazione ad ogni singolo motivo. Anche a voler condividere la tesi secondo cui non necessariamente il quesito deve essere posto in conclusione di ciascun motivo (Cass. Sez. 1^, ord. 7.6.2007, n. 13329, che 7 ritiene ammissibile anche la sua collocazione nell’ambito delle conclusioni), va tuttavia osservato che non può trattarsi di un quesito riassuntivo per tutti i motivi di diritto, ma ciascun quesito deve fare riferimento ad uno specifico motivo di censura; deve inoltre trattarsi pur sempre di un intenzionale articolazione di interpello alla Corte sulla questione proposta e non dell’argomentazione giuridica a sostegno della tesi prospettata, che invece rimane oggetto del contenuto del motivo, come è avvenuto nella fattispecie” (Cass. S.U. sent. n. 23732/2007; in maniera pressochè identica Cass. S.U. 7258/07);
(ii)                        non è indicato in ricorso per quale ragione giuridica la decisione del giudice di merito sia in contrasto con gli articoli 2014, 2105, 2119 e 2697 c.c. e 414, 416 c.p.c. (richiamati solo nell’epigrafe del paragrafo), senza alcuno svolgimento degli argomenti dal cui insieme sia consentito comprendere quali norme e principi di diritto siano violati;
(iii)                     alcuna specifica istanza istruttoria è stata avanzata da controparte in sede di gravame né la sentenza di primo grado è stata impugnata in appello per la mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti al giudice di prime cure. In ogni caso controparte evita di indicare quali siano state le istanze istruttorie disattese in appello, i testimoni indicati e soprattutto quale sarebbe stata la rilevanza e la decisività della prova richiesta, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso in Cassazione ai sensi del quale: “quando sia denunziato, con il ricorso per Cassazione, un vizio di motivazione della sentenza sotto il profilo della mancata ammissione di un mezzo istruttorio, è necessario che il ricorrente non si limiti a generiche doglianze di erroneità e/o di inadeguatezza della motivazione, ma precisi e specifichi, svolgendo critiche concrete e puntuali seppure sintetiche, le risultanze e gli elementi di giudizio dei quali lamenta la mancata acquisizione, evidenziando, in particolare, in cosa consistessero e con quali finalità ed in quali termini la richiesta fosse stata formulata; più in particolare, ove trattisi di una prova per testi, è onere del ricorrente, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione, indicare specificamente le circostanze che formavano oggetto della prova, quale ne fosse la rilevanza e la decisività (cfr. Cass. n. 12477/2002, Cass. n. 3380/2001) la censura contenuta nel ricorso per Cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare - elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto -, non alleghi e indichi la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione al fine di consentire ex actis "senza necessità di indagini" integrative alla Cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione” (Cass. n. 26990/05, conforme a Cass. n. 19138/2004; Cass. n. 14227/2004). In altre parole, può dar luogo al vizio di omessa o insufficiente motivazione solo il mancato esame di un’istanza istruttoria che attenga a circostanze che, con giudizio di certezza e non di mera probabilità, avrebbero potuto indurre ad una decisione diversa da quella adottata.
Controparte, dunque, avrebbe dovuto indicare, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, per quale motivo di diritto la risultanza istruttoria che si pretende non essere stata esaminata avrebbe fornito la prova di un fatto che – ove tenuto presente dal giudice a quo – avrebbe portato con verosimiglianza ad una decisione diversa da quella pronunciata;
(iv)                                                                                                       non vi è un fatto controverso, poiché sia il giudice di primo che di secondo grado erano ben coscienti che la comunicazione fosse avvenuta a persona non idonea.
*.*.*.*
Ciò posto in ordine all’inammissibilità del ricorso, bisogna anche rilevare la sua infondatezza in diritto.
Come si evince dalla semplice lettura della sentenza di appello, la circostanza che il Sig. … non fosse caposquadra del Sig. …, è stata correttamente valutata dal giudice del gravame, ma dallo stesso ritenuta irrilevante o, comunque, non decisiva. Il Collegio, indicando gli elementi dai quali ha tratto il proprio convincimento e con motivazione congruamente motivata, è ben consapevole che il Sig. … avrebbe dovuto avvisare del ritardo il caposquadra Sig. … non “altro caposquadra, tale …” bensì “il suo diretto superiore”, ma ritiene che “si tratta di una omissione di  non eccessiva gravità non certo tale da giustificare il licenziamento in tronco” anche alla luce della considerazione che l’azienda “asserisce che dal comportamento del  dipendente sarebbero derivati danni e disservizi, ma non ha mai specificato in concreto quali disagi o quale concreto nocumento (si trattava comunque di sole due ore di permesso) sarebbero stati causati in seguito alla mancata tempestiva comunicazione del ritardo all’inizio del turno”.
La decisione sul punto del Giudice di merito è da ritenersi corretta e, si ripete, congruamente motivata. Il comportamento del Sig. … non può ritenersi tale da giustificare il licenziamento in tronco ovvero tale da poter scuotere la fiducia del datore di lavoro oppure da violare il C.C.N.L. applicabile al rapporto di lavoro. Peraltro il fatto che la comunicazione era stata effettuata al Sig. … è confermato, o comunque non contestato, da controparte in memoria difensiva, la quale afferma: “16) Infatti la telefonata a cui fa riferimento il Sig. era stata fatta al Sig. ”. Solo in questa sede, malauguratamente e capziosamente, controparte esclude in radice che tale telefonata sia stata mai effettuata.

2) Inammissibilità ed infondatezza dei motivi di cui al paragrafo 2 del ricorso
Con i motivi di cui al paragrafo 2 del ricorso, parte ricorrente impugna la sentenza della Corte di Appello di …per “Violazione ovvero omessa e/o contraddittorie e/o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c., commi 3° e 5°, in relazione agli artt. 2119, 2697 e art. 2110 c.c. e artt. 112, 115, 414, 416 e 420 c.p.c.”.
Tale paragrafo fa riferimento all’addebito disciplinare costituito dall’abbandono del posto di lavoro avvenuto in data ….
In primo luogo, i motivi di specie sono da ritenersi inammissibili per le seguenti ragioni:
i)                             alcuna specifica istanza istruttoria è stata avanzata da controparte in sede di gravame né la sentenza di primo grado è stata impugnata in appello per la mancata ammissione dei mezzi istruttori richiesti al giudice di prime cure;
ii)                           le varie argomentazioni si risolvono in un’inammissibile istanza di revisione del fatto, delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito (con doglianze, altrettanto inammissibili, anche con riferimento alla sentenza di primo grado): la censura – con cui la sentenza viene impugnata per vizio della motivazione in ordine alle valutazioni delle risultanze probatorie – non può essere intesa a far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, pure in relazione al valore da conferirsi alle “presunzioni” la cui valutazione è anch’essa incensurabile in sede di legittimità (Cass. n. 11906/2003) e, in particolare, non vi si può opporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5; in caso contrario, il motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, idest di una nuova pronuncia sul fatto sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione. Per vero, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un’esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purchè risulti logico e coerente il valore preminente attribuito, a quelli utilizzati;
iii)                         il motivo non è specifico e non è formulato in modo da poter circoscrivere la pronuncia del giudice nei limiti di un accoglimento o di un rigetto del quesito (peraltro non formulato), senza che esso debba richiedere, per ottenere risposta, una scomposizione in più parti prive di connessione tra di loro (Cass. sent. n. 5733/08). La frammentazione delle argomentazioni, in altre parole, non consente in maniera agevole e non equivoca di ricondurre ad unità le motivazioni formulate;
iv)                         il motivo formulato è parzialmente inconferente rispetto al decisum;
v)                           manca l’illustrazione per i motivi di appello di un quesito di diritto ex art. 366-bis, comma 1;
vi)                         non vi è la chiara indicazione del fatto controverso ex art. 366-bis, comma 2.
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Per puro scrupolo difensivo, l’esponente ritiene di dover confutare anche sotto il profilo della fondatezza la tesi di controparte, per le ragioni che seguono.
Secondo controparte il Giudice di seconde cure, avrebbe violato l’art. 115 c.p.c. per non aver posto alla base della propria decisione le prove proposte dalle parti, in ordine alla prova dello stato di agitazione e di ansia che portò all’abbandono del posto di lavoro. La sentenza è, inoltre, censurata in quanto si baserebbe sulla circostanza, che si assume non provata, che il Sig. … avrebbe preannunciato al Sig. … in tempi e modi non opportuni l’imminente contestazione disciplinare.
In merito a tali asserzioni, occorre innanzitutto sottoporre all’attenzione della Suprema Corte che il Giudice partenopeo ha ritenuto che entrambi gli episodi (contestualmente valutati e, quindi, nel loro insieme) avrebbero potuto giustificare un’unica sospensione dal lavoro e dalla retribuzione di dieci giorni, “mentre il licenziamento per giusta causa adottato dall’Azienda appare una misura sanzionatoria eccessiva e sproporzionata rispetto alla reale gravità dell’accaduto”.
Infatti, il comportamento del Sig. … “non appare, a giudizio del Collegio,  collegabile ad una manifesta volontà di ribellione o di insubordinazione da parte del ricorrente”.
A tale decisione la Corte territoriale giunge seguendo un chiaro e coerente percorso logico giuridico ed indicando chiaramente le fonti del proprio convincimento.
Infatti, come indicato in sentenza, il Sig. … era in un comprensibile stato di ansia e preoccupazione, dimostrato:
1)               dal certificato medico prodotto dal ricorrente (doc. 10, produzione ricorso di I grado, dove si legge: “…Si attesta che il Sig. presenta stato d’ansia. Il p. riferisce discussione verbale quale causa del suo stato d’animo col suo responsabile…”). Infatti di tale prova il Giudice dà chiaramente atto nella sentenza impugnata, dove si legge: “Il medico di turno, senza formulare una prognosi o prescrivere cure, attestò la sussistenza di uno stato d’ansia (“dovuta alla discussione verbale con il suo responsabile”, come si legge nello stesso certificato).
2)               dal pacifico fatto (indicato anche da controparte, n. 17 memoria difensiva) che il Sig. … “in tempi e modi non opportuni” (in quanto non è opportuno comunicare una contestazione disciplinare verbalmente, prima che sia addebitata per iscritto e da parte di un superiore che neanche rappresenta il datore di lavoro) “gli preannunciò l’imminente contestazione disciplinare”;
3)               il ricorrente si presentò (superato il momento di smarrimento) nuovamente al lavoro il giorno successivo, senza presentare ulteriori certificati medici ed assentarsi i giorni successivi, fatto che dimostra, l’intento prudenziale e non ritorsivo;
4)               il ricorrente voleva evitare ulteriori risposte o gesti impulsivi verso il Sig. …o l’azienda, “essendo egli consapevole di trovarsi in uno stato d’animo turbato e teso” e “tenuto conto dello stato di tensione tra il ricorrente e l’azienda”;
5)               il ricorrente, riprendendo il lavoro in stato d’ansia, “avrebbe potuto compiere gesti maldestri causando pericoli per se stesso o per altri nonché veri e propri danni materiali (il ricorrente era adibito allo spostamento di merci ed all’uso di carrelli).”.
Il motivo di appello è, dunque, da considerarsi infondato in quanto la Corte territoriale ha adeguatamente motivato ed indicato le fonti di prova e del proprio convincimento, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., comma 1 e 2.
Dallo stato di ansia del dipendente, incontestabilmente dimostrato, il Giudice giunge alla conclusione che l’allontanamento del Sig. … ha avuto una causale prudenziale e non ritorsiva alla luce delle precedenti considerazioni e fonti di prova.
D’altro canto, si ribadisce, il giudice di merito è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili e idonee alla formazione dello stesso e di disattendere taluni elementi ritenuti incompatibili con la decisione adottata, essendo sufficiente, ai fini della congruità della motivazione, che da questa risulti che il convincimento si sia realizzato attraverso una valutazione dei vari elementi processualmente acquisiti, considerati nel loro complesso, pur senza un’esplicita confutazione degli altri elementi non menzionati e non accolti, anche se allegati, purchè risulti, come nella specie, logico e coerente il valore preminente attribuito, a quelli utilizzati.
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Inoltre, sempre in ordine al secondo motivo di ricorso, sono del tutto infondate ed inconferenti le pretese violazioni dell’art. 112 c.p.c. (per aver il Giudice di Appello applicato l’art. 1460 c.c., in assenza di eccezioni e deduzioni dell’originario ricorrente) e dell’art. 2110 c.c.. Infatti, da una parte, l’art. 1460 c.c. disciplina l’istituto dell’eccezione d’inadempimento, secondo il quale ciascuna delle parti contrattuali può rifiutarsi di adempiere alla sua obbligazione, se l’altro non adempie la propria.
Dall’altra parte, l’art. 2110 c.c. disciplina, in via peraltro generale, le prestazioni dovute dal datore di lavoro al lavoratore in caso di infortunio, gravidanza, malattia e puerperio. Tali censure sono prive di qualsiasi attinenza al decisum: alcun riferimento ai principi di specie è stato effettuato dal giudice di merito né dalla lettera e dallo spirito della sentenza impugnata si riesce, pur volendo sforzare l’immaginazione, ad intravedere che il giudice abbia voluto applicare i detti principi.

3) Inammissibilità ed infondatezza del motivo di cui al paragrafo 3 del ricorso
La …, con il terzo motivo di ricorso, impugna la sentenza della Corte di Appello di … per “Violazione ovvero omessa e/o contraddittorie e/o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c. commi 3° e 5° , in relazione agli artt. 2119”.
In merito, controparte si limita ad indicare due massime della Corte di Cassazione di cui la prima (Cass. sent. n. 21572/2008) indica che l’operazione valutativa ex art. 2119 c.c. non sfugge alla verifica della Corte di legittimità e la seconda (Cass. sent. n. 19232/2007) – peraltro conforme all’operato del giudice di merito, il quale ha valutato complessivamente i diversi episodi ritenuti rilevanti sul piano disciplinare – stabilisce che il giudice del merito deve globalmente verificare se la rilevanza complessiva di vari addebiti rilevanti sul piano disciplinare sia tale da minare la fiducia del datore di lavoro.
Il motivo di specie è evidentemente inammissibile per le seguenti ragioni:
i)                             è del tutto carente della formulazione di un quesito di diritto ai sensi del combinato disposto degli art. 360, n. 3, c.p.c. e 366-bis, comma 1 (Cass. S.U. sent. n. 23732/2007). D’altro canto controparte indica due motivi di impugnazione (violazione dell’art. 360, n. 3 e 5, c.p.c. in riferimento all’art. 2119 c.c.), ma non è dato distinguere neanche implicitamente dalla lettura unitaria del paragrafo di specie quale sia il quesito o quali siano i quesiti di cui ai motivi del paragrafo 3;
ii)                           il ricorrente non indica per quale ragione giuridica la decisione impugnata sia in contrasto con l’articolo di specie, senza svolgere argomenti dal cui insieme sia consentito desumere quali norme e principi di diritto sono stati violati. Piuttosto la società ricorrente avrebbe dovuto indicare quale l’interpretazione di diritto (e dell’art. 2119 c.c.) avrebbe consentito di ritenere proporzionata la sanzione disciplinare del licenziamento in tronco a fronte del comportamento tenuto dal Sig. …, che sarebbe da doversi ritenere tale da scuotere irrimediabilmente la fiducia del datore di lavoro;
iii)                         non vi è alcuna indicazione di quale sia il fatto controverso e decisivo nonché delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, ai sensi del combinato disposto degli art. 360, n. 5, c.p.c. e 366-bis, comma 2;
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Sotto altro profilo, i motivi denunziati sono, altresì, da ritenersi infondati.
Invero il Giudice di appello, per entrambi gli episodi, ha indicato le motivazioni per le quali ha ritenuto eccessiva e sproporzionata la misura sanzionatoria utilizzata dalla datrice di lavoro.
Per quanto attiene l’aver omesso di avvertire il diretto superiore del ritardo di 2 ore dall’inizio del turno, il Giudice ha indicato che la leggerezza e superficialità con la quale il Sig. … (pur avendo invano tentato di avvisare il Sig. …) ha contattato il Sig. … per comunicargli il ritardo, non costituisce un comportamento tale da giustificare il recesso: “si tratta comunque di una omissione di non eccessiva gravità non certo tale da giustificare il licenziamento in tronco: deve ritenersi, infatti, che il ricorrente, in buona fede, fosse certo che il caposquadra avrebbe avvertito il e che comunque non sarebbero stati arrecati danni all’Azienda”, danni peraltro solo dedotti e mai specificati dalla stessa azienda, come si continua a leggere nella sentenza di merito.
Il comportamento del lavoratore appare al giudice di merito dettato esclusivamente da colpevole superficialità e non è tale da giustificare il recesso in tronco. Ciò è dimostrato, da un punto di vista soggettivo, secondo il Collegio giudicante:
1)               dal dimostrato stato d’ansia che pervase il lavoratore;
2)               dalla sua buona fede;
3)               dal modo e tempo inopportuno con il quale il superiore … gli preannunciò la sanzione disciplinare;
4)               dal fine prudenziale e non ritorsivo;
5)               dal ritorno al lavoro del dipendente il giorno successivo;
6)               la misura sanzionatoria adottata dall’Azienda è stata eccessiva e
sproporzionata rispetto alla reale gravità dell’accaduto.
Ben vero, riproponendo la motivazione del giudice di primo grado, lo stato d’ansia riscontrato dal sanitario è di per sé una sufficiente causa giustificativa dell’allontanamento del ricorrente dal posto di lavoro tanto più che la società non ha contestato al ricorrente la falsità del suo stato d’ansia. L’assenza della prognosi non è di per sé di ostacolo all’allontanamento dal posto di lavoro nello stesso giorno della visita medica, ma al più avrebbe potuto venire in rilievo laddove il certificato medico fosse stato utilizzato per giustificare le ulteriori assenze dal servizio, ma non è questo il caso che ne occupa.
Orbene, per stabilire l’esistenza della giusta causa di licenziamento occorre accertare in concreto se la specifica mancanza commessa dal dipendente – considerata e valutata non solo nel suo contenuto obiettivo, ma anche nella sua portata soggettiva, specie con riferimento alle particolari circostanze e condizioni in cui è posta in essere, ai suoi modi, ai suoi effetti ed all’intensità dell’elemento psicologico dell’agente – risulti obbiettivamente e soggettivamente idonea a ledere, in modo grave, così da farla venir meno, la fiducia che il datore di lavoro ripone nel proprio dipendente e tale, quindi, da esigere sanzione non minore di quella massima, definitivamente espulsiva.
Peraltro anche dal punto di vista oggettivo, il comportamento del Sig. … non vale ad integrare i presupposti del licenziamento. Quanto sopra è evidente anche alla luce della considerazione che il CCNL applicabile prevede i fatti posti dalla società a base del licenziamento, come sanzionabili – secondo il principio di gradualità – con richiamo scritto, multa o sospensione (fino ad un massimo di dieci giorni) con possibilità di sospensione anche dalla retribuzione.
Le disposizioni del contratto collettivo, pur non avendo valore vincolante, ma solo indicativo, per il giudice investito della impugnativa del recesso,  portano comunque a rilevare che, nel caso di specie, il licenziamento era illegittimo.
Inoltre, sempre obiettivamente, la società non ha subito alcun danno economico in conseguenza dei fatti di cui al presente giudizio.
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Infine, la giurisprudenza di legittimità è tutt’altro che pacifica circa la sindacabilità ai sensi dell’art. 2119 c.c. del giudizio di gravità dell’inadempimento che integra  la sanzione disciplinare. Tale giudizio, secondo parte della giurisprudenza, è infatti riservato al giudice di merito, ed è suscettibile di essere nuovamente formulato solo per effetto della cassazione della sentenza per vizi di motivazione, e non già per la violazione di norme giuridiche, essendo l’art. 2119 c.c. fonte di un tipico giudizio di fatto da formulare con esclusivo riferimento alla concreta fattispecie (in questi termini, Cass. sent. n. 14229/01).
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Peraltro, sulla questione di specie, le deduzioni di controparte sono piuttosto frammentarie, facendo prima riferimento all’art. 2119 c.c. e, successivamente, alla recidiva in senso stretto; controparte asserisce che se il Giudice del merito riteneva i due addebiti meritevoli di sospensione, allora sarebbe stata giustificata la sanzione costituita dal licenziamento per giusta causa.
In primo luogo, il C.C.N.L. all’art. … prevede che il licenziamento può essere comminato in caso di un ulteriore recidiva che abbia già dato luogo a due sospensioni nei dodici mesi precedenti (per un totale, dunque, di tre comportamenti meritevoli di sospensione), mentre è pacifico che non vi era alcun provvedimento disciplinare a carico del Sig. … nei dodici mesi precedenti.
In secondo luogo, controparte erra nell’interpretare la sentenza impugnata nel senso di ritenere di poter addebitare al Sig. … una doppia sospensione: il provvedimento stabilisce che entrambi gli episodi, valutati contestualmente, sarebbero stati meritevoli, seppur in un contesto di maggiore severità, di un’unica sospensione. Ne consegue ulteriormente che, ai sensi del C.C.N.L. applicabile, pur volendo accogliere la soluzione della Corte di Appello di …, non essendo pacificamente riscontrabili altri comportamenti sanzionati nell’anno precedente, la datrice di lavoro non poteva comunque procedere a licenziamento, bensì a sospensione.
In terzo luogo, sul punto, giova rilevare che è la stessa controparte, nel paragrafo n. 4 del proprio ricorso, ad indicare che non era propria intenzione applicare la recidiva di cui all’art. 20, n. 6, lett. c, C.C.N.L., così dichiarando: “la recidiva a cui ha fatto riferimento la società, ha un significato diverso e distinto, in quanto è riferito al valore che assumono le sanzioni riportate nel periodo utile (due anni) ai fini della valutazione, sotto il profilo soggettivo, della giusta consistenza dei fatti addebitati. Il recesso per cui è causa, infatti, non è stato intimato per aver il sig. riportato una recidiva come quella prevista dal contratto nazionale collettivo appena riportato, ma per i due episodi indicati in premessa dei motivi del presente atto”.
Sulla incapacità dei precedenti disciplinari (posteriori a 12 mesi) a corroborare la giusta causa di licenziamento, si rinvia al paragrafo successivo (par. 4, infra).

4) Inammissibilità ed infondatezza del motivo di cui al paragrafo 4 del ricorso
La …, con il quarto motivo di ricorso, impugna la sentenza della Corte di Appello di … per “Violazione ovvero omessa e/o contraddittorie e/o insufficiente motivazione ex art. 360 c.p.c. commi 3° e 5° , in relazione all’art. 2119, all’art. 20 del CCNL  e all’art. 7 della legge n. 300/70”.
Il motivo è innanzitutto inammissibile:
i)                             è del tutto carente della formulazione di un quesito di diritto ai sensi del combinato disposto degli art. 360, n. 3, c.p.c. e 366-bis, comma 1 (Cass. S.U. sent. n. 23732/2007). D’altro canto controparte indica due motivi di impugnazione (violazione dell’art. 360, n. 3 e 5, c.p.c. in riferimento all’art. 2119 c.c. all’art. 20 del CCNL … e all’art. 7 della legge n. 300/70), ma non è dato distinguere neanche implicitamente dalla lettura unitaria del paragrafo di specie quale sia il quesito o quali siano i quesiti di cui ai motivi del paragrafo 4, né quali siano i fatti controversi (sic!);
ii)                           non vi è alcuna indicazione di quale sia il fatto controverso e decisivo nonché delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione, ai sensi del combinato disposto degli art. 360, n. 5, c.p.c. e 366-bis, comma 2;
iii)                         il motivo è frammentario e non attinente con il decisum.
In ordine alla fondatezza del motivo de quo, bisogna nuovamente evidenziare che il giudice partenopeo ha ritenuto che entrambi gli episodi contestati, valutati contestualmente, avrebbero potuto comportare un’unica sanzione disciplinare costituita dalla sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per 10 giorni.
In merito, il Giudice di seconde cure prima di tutto evidenzia che la recidiva, così come regolata dal C.C.N.L. applicabile, ha una duplice disciplina:
-                                                       una di carattere generale, valevole per tutte le sanzioni diverse dal licenziamento, per le quali è possibile tener conto dei precedenti disciplinari ai fini della recidiva specifica, entro il termine di due anni dalla loro applicazione (art. 20 C.C.N.L., ultimo comma);
-                                                       una di carattere speciale, relativa al solo licenziamento,  nel caso in sussista recidiva collegata a qualsiasi mancanza che abbia dato luogo a due sospensioni nei dodici mesi precedenti, “situazione che, com’è pacifico, non ricorre nella presente fattispecie”.
Ciò posto e considerata nel caso di specie l’inapplicabilità della norma contrattuale che prevede il licenziamento in caso di duplice recidiva, pur volendo attribuire valore corroborativo della gravità degli addebiti contestati in riferimento ai precedenti disciplinari, “In ogni caso, i precedenti disciplinari (multa e sospensione per un giorno) adottati dalla società appellante nei confronti del dipendente nel biennio antecedente l’episodio contestato, non appaiono di tale gravità da giustificare, sia pure in un contesto di maggiore severità, l’irrogazione della massima sanzione espulsiva”.
Quindi, evidentemente, a giudizio della Corte di Appello di …, i precedenti disciplinari non valgono neanche a corroborare la gravità dell’addebito contestato, dal punto di vista soggettivo, come vorrebbe controparte.
Pur, infatti, ritenendo ammissibile la contestazione di precedenti condotte disciplinarmente rilevanti anche qualora non abbiano dato luogo a recidiva nel suo stretto significato, al fine di definire un quadro valutativo rilevante sul piano delle relazioni di fiducia tra il prestatore e il datore di lavoro e della definizione della personalità del dipendente, in ogni caso, delle condotte precedenti per le quali il datore di lavoro ritenne di esprimere un giudizio negativo, entrambe non appaiono di entità tale da compromettere, unitamente agli addebiti in questione, il vincolo fiduciario e, la seconda (ridotta in seguito ad un giorno di sospensione dal Collegio arbitrale), non appariva, all’atto della contestazione per la quale si è proceduto al licenziamento, definita nei suoi elementi oggettivi e soggettivi, poiché soggetta al vaglio del Collegio arbitrale.
*.*.*.*
Tanto premesso il Sig. …, come sopra rappresentato difeso ed elettivamente domiciliato
CHIEDE
che l’Ecc.ma Corte di Cassazione voglia così provvedere:
1)           Rigettare il ricorso proposto, in quanto inammissibile e/o improcedibile e/o infondato;
2)           Con vittoria di spese, competenze, onorari e spese generali, con attribuzione al sottoscritto procuratore per fattane anticipazione.
Produce, mediante deposito in Cancelleria i seguenti atti e documenti:
1         1.                                        Fascicolo di primo grado;
              2.                                                  Fascicoli di secondo grado;
             3.                                                 Ricorso notificato; 
              4.                                                 Sentenza impugnata.
Luogo, data                                                                                                                                 Avv. …


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