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riscossione di crediti previdenziali e subentro dell'Agenzia delle Entrate

 Cassazione civile sez. VI, 11/02/2021, (ud. 10/11/2020, dep. 11/02/2021), n.3393


Fatto

RILEVATO

che:


la Corte d'appello di Genova, confermando la sentenza del Tribunale della stessa città, ha rigettato l'appello dell'Agenzia delle Entrate che aveva censurato la sentenza di primo grado per aver ritenuto estinti i crediti portati in svariate cartelle di pagamento, dell'importo di complessivi Euro 124.993,87, contestate a G.C.A., applicando il termine di prescrizione quinquennale in luogo di quello decennale;


la Corte territoriale ha assunto la decisione richiamandosi alla giurisprudenza di questa Corte sull'applicabilità del termine quinquennale di prescrizione con riferimento agli atti - comunque denominati - di riscossione mediante ruolo o comunque di riscossione coattiva di crediti degli enti previdenziali (Cass. Sez. Un. 23397 del 2016);


l'Agenzia delle Entrate ha chiesto la cassazione della sentenza sulla base di tre motivi;


G.C.A. e l'Inps hanno depositato controricorso;


l'Agenzia delle Entrate e G.C.A. hanno altresì depositato memoria in prossimità dell'adunanza camerale;


è stata depositata proposta ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell'adunanza in camera di consiglio.


Diritto

CONSIDERATO

che:


i tre motivi sono prospettati tutti con riferimento alla violazione dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:


col primo motivo si deduce che dalla notifica della cartella, che rende il credito definitivo, consegue l'applicazione ai crediti del termine di prescrizione decennale e non quinquennale;


col secondo motivo si denuncia l'erronea applicazione del termine di prescrizione quinquennale in violazione dell'art. 2946 c.c., per l'effetto novativo dell'iscrizione a ruolo dei crediti, trattandosi di crediti iscritti a ruolo ed oggetto di procedura di riscossione ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973;


col terzo motivo si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 46 del 1999, artt. 19 e 20, e, in particolare, del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, il quale ha stabilito che per le entrate iscritte a ruolo e oggetto di procedura di riscossione il termine di prescrizione è decennale;


i motivi, da esaminarsi congiuntamente per connessione, sono inammissibili ai sensi dell'art. 360 bis c.p.c.;


le deduzioni della ricorrente Agenzia delle Entrate nulla aggiungono al fine di ritenere necessario un ripensamento rispetto a quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte nella sentenza n. 23397 del 2016, ai cui principi il giudice dell'appello ha dato corretta attuazione;


secondo le Sezioni Unite "La scadenza del termine - pacificamente perentorio per proporre opposizione a cartella di pagamento di cui al D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 24, comma 5, pur determinando la decadenza dalla possibilità di proporre impugnazione, produce soltanto l'effetto sostanziale della irretrattabilità del credito contributivo senza determinare anche la cd. "conversione" del termine di prescrizione breve (nella specie, quinquennale, secondo la L. n. 335 del 1995, art. 3, commi 9 e 10) in quello ordinario (decennale), ai sensi dell'art. 2953 c.c.. Tale ultima disposizione, infatti, si applica soltanto nelle ipotesi in cui intervenga un titolo giudiziale divenuto definitivo, mentre la suddetta cartella, avendo natura di atto amministrativo, è priva dell'attitudine ad acquistare efficacia di giudicato. Lo stesso vale per l'avviso di addebito dell'INPS, che, dall'1 gennaio 2011, ha sostituito la cartella di pagamento per i crediti di natura previdenziale di detto Istituto (D.L. n. 78 del 2010, art. 30, conv., con modif., dalla L. n. 122 del 2010)."


In linea con il richiamato principio, con riferimento al preteso effetto novativo derivante dalla formazione del ruolo, questa Corte è altresì intervenuta affermando che "In tema di riscossione di crediti previdenziali, il subentro dell'Agenzia delle Entrate quale nuovo concessionario non determina il mutamento della natura del credito, che resta assoggettato per legge ad una disciplina specifica anche quanto al regime prescrizionale, caratterizzato dal principio di ordine pubblico dell'irrinunciabilità della prescrizione; pertanto, in assenza di un titolo giudiziale definitivo che accerti con valore di giudicato l'esistenza del credito, continua a trovare applicazione, anche nei confronti del soggetto titolare del potere di riscossione, la speciale disciplina prevista dalla L. n. 335 del 1995, art. 3, invece della regola generale sussidiaria di cui all'art. 2946 c.c. (Cass. n. 31352 del 2018) e ciò in conformità alla natura di atto interno all'amministrazione attribuito al ruolo" (Cass. n. 14301 del 2009);


neppure assume rilievo in questa sede il richiamo al D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 20, comma 6, che prevede un termine di prescrizione strettamente inerente al procedimento amministrativo per il rimborso delle quote inesigibili; in nessun modo la norma richiamata dal ricorrente nel terzo motivo può interferire con lo specifico termine di prescrizione previsto dalla legge per azionare il credito nei confronti del debitore (Sez. Un. 23397 del 2016; Cass. n. 31352 del 2018; Cass. n. 9746 del 2020);


in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile;


le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate nella misura di Euro 5.000 nei confronti di G.C.A., con distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario, e Euro 5.000 in favore dell'Inps;


in considerazione dell'inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.


PQM

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti di G.C.A., che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 5.000 per compensi professionali, da distrarre in favore del difensore dichiaratosi antistatario, ed Euro 5.000 per compensi e Euro 200 per esborsi in favore dell'Inps, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.


Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.


Così deciso in Roma, all'Adunanza camerale, il 10 novembre 2020.


Depositato in Cancelleria il 11 febbraio 2021


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