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Volontaria assenza del testimone

Corte d'appello di Napoli sentenza del 07.02.2013
OMISSIS
Svolgimento del processo

Con sentenza pronunciata all'udienza del 25.6.2012 il Tribunale di Napoli, XI sezione penale, dichiarava T.M. colpevole dei reati a lui ascritti in imputazione (violenza sessuale aggravata e continuata, sequestro di persona, lesioni personali aggravate dal vincolo teleologico) e, riconosciute le attenuanti generiche prevalenti sulle contestate aggravanti, lo condannava alla pena di anni tre e mesi dieci di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. Pene accessorie nei limiti di legge.

Avverso la predetta decisione ha proposto appello la Difesa dell'imputato, chiedendo:

1) l'assoluzione dai reati di violenza sessuale e sequestro di persona, perché il fatto non sussiste, minimo della pena per il reato di lesioni volontarie;

2) in subordine, minimo aumento per la continuazione.

All'udienza odierna, svolta la rituale relazione, il P.G. concludeva come da verbale in atti per la conferma della impugnata sentenza; l'appellante presente rendeva spontanee dichiarazioni ribadendo la difesa già svolta in primo grado (intervento di sostegno a persona senza tetto, alcool dipendente, intento salvifico, percosse inferte per impedirle di bere alcolici e lesioni procuratesi dalla p.o. per effetto di una caduta mentre l'imputato la teneva in braccio, conferma degli atti sessuali consenzienti, come pure del breve periodo di convivenza all'interno della baracca nel campo nomadi di Casoria); il difensore di fiducia si riportava ai motivi di appello dei quali chiedeva l'accoglimento.

Motivi della decisione

Ritiene la Corte che la sentenza impugnata vada riformata sotto il profilo dell'accertamento di responsabilità per i delitti di violenza sessuale e sequestro di persona, consegue la rinnovazione del calcolo della sanzione per il solo delitto di lesioni non aggravate.

L'emersione processuale dei fatti contestati si deve alla denuncia-querela sporta dalla p.o. (S.D.) presso i CC di Casoria in data 11 ottobre 2011. Successivamente, in data 21 ottobre 2011, la medesima p.o. rendeva altre sommarie informazioni, ai CC di Casoria, in ordine ai fatti di cui alla precedente denuncia. Della p.o. si perdevano quindi le tracce. Consegue, nel processo, la dichiarazione di irreperibilità della stessa, l'acquisizione (art. 512 c.p.p.) delle dichiarazioni rese allap.g. nel corso delle indagini preliminari; l'utilizzo delle stesse dichiarazioni -rese fuori dal contraddittorio- come fonte unica dell'accertamento di responsabilità per i reati di violenza sessuale e sequestro di persona; mentre per le lesioni, oltre ai referti obiettivi ed alla concatenazione logica degli eventi resa manifesta dalla testimonianza dei CC, soccorrono le dichiarazioni pressoché confessorie dell'odierno appellante.

Osserva la Corte come, nella fattispecie processuale oggetto di gravame, sia centrale la corretta interpretazione della norma processuale di cui all'art. 526 co. 1 bis c.p.p., diretta e pedissequa gemmazione (L. 1 marzo 2001, n. 63) della norma costituzionale sul cd. "giusto processo" (art.111 Cost.).

La più autorevole e recente ermeneusi di tale fonte normativa si legge in Cass. S.U. 25.11.2010, n. 27918, il cui testo integrale è pubblicato, con distinte note dottrinarie di commento in Cass. Pen. 2011, dicembre, n. 1465, pag. 4493 e ss. (confronto con Corte suprema del Regno Unito, 9 dec. 2009); Cass. Pen. 2012, marzo, n. 279/3, pag. 858 e ss.; Cass. Pen. 2012, dicembre, n. 1355, pag. 4150.

Il tema è l'ambito applicativo del divieto posto, in primo luogo, dall'art. 6 par. 1 e 3 lett. d) CEDU, per come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, ed il panorama delle eccezioni a tale divieto (volontà delle parti, dolo nel determinare l'allontanamento dal processo della fonte narrativa): una sentenza di condanna non può fondarsi, unicamente o in misura determinante, su deposizioni rese da una persona che l'imputato non ha potuto interrogare o fare interrogare né nella fase istruttoria, né durante il dibattimento.

Nel caso che ne occupa il punto cruciale è l'irreperibilità della p.o., le cui tracce il giudice di prime cure ha seguito presso la residenza anagrafica, l'ultimo domicilio conosciuto, il Comune di nascita, il domicilio di alcuni parenti, l'amministrazione penitenziaria e la rete ospedaliera (non si è svolto alcun accertamento sul luogo di lavoro, atteso che non risultava che la p.o. svolgesse alcun lavoro). Fallito ogni tentativo di assicurare la fonte narrativa al processo, preso atto che l'irreperibilità era connessa anche alle condizioni di vita nomade (la p.o. era solita trovare dimora notturna presso le stazioni ferroviarie) della stessa e che gli elementi storici offerti dalla escussione dei testi di p.g. deponevano per una condizione patologica di dipendenza dall'alcool, il Tribunale (col dissenso della difesa) acquisiva le dichiarazioni rese dalla p.o. alla p.g. nel corso delle indagini preliminari, ne dichiarava l'utilizzabilità a fini decisori e fondava le ragioni del verdetto di condanna esclusivamente (per la violenza sessuale ed il sequestro di persona) sul contenuto delle letture di atti formati fuori dal dibattimento.

Se l'indagine che ha portato il Tribunale ad acquisire le dichiarazioni predibattimentali al processo può definirsi completa (nei limiti del possibile), con conseguente ritualità della lettura ex art. 512 c.p.p.; non per questo (art. 526 co. 1 bis c.p.p.) può definirsi corretto fondare il verdetto di condanna sulla lettura di quelle "prove" formatesi fuori dal contraddittorio. E' questo il tema che la decisione delle S.U. 27918/2010 affronta espressamente ai paragrafi 11, 12 e 13 della motivazione.

Ai fini della operatività del divieto di utilizzazione probatoria del materiale narrativo, recuperato alla conoscenza del giudice ai sensi dell'art. 512 c.p.p. (o 512 bis come nella fattispecie all'esame della Corte regolatrice), non occorre la prova di una specifica volontà di sottrarsi al contraddittorio, ma è sufficiente la volontarietà dell'assenza del teste, determinata da una qualsiasi libera scelta (difficoltà economica, disagi del viaggio, mancanza di interesse), sempre che non vi sia la prova o la presunzione di una illecita coazione, di una violenza fisica o psichica, o di altre interferenze o elementi esterni che escludano una libera determinazione.

Orbene, è noto che l'orientamento del giudice di legittimità nazionale volge nel senso della neutralità del dato "irreperibilità", sulla base del quale non si può presumere alcuna volontà di sottrarsi all'esame, quando manchino indici sintomatici in tal senso, quali l'avvenuta citazione del teste per l'udienza (S.U. Torcasio, n. 36747 del 28.5.2003, sez. I, n. 23571 del 20.6.2006, Ogaristi). Tuttavia neanche può tacersi che, proprio in relazione a tale ultima pronunzia, è intervenuta condanna dello Stato da parte della Corte EDU (sent. 18.5.2010. Ogaristi c. Italia). Occorre quindi precisare (prosegue la motivazione del supremo collegio) che non è indispensabile che il teste sia stato raeeiunto da una citazione, ai fini della dimostrazione della sua volontà di sottrarsi al contraddittorio, in guanto tale volontà potrebbe presumersi anche sulla base di elementi diversi dalla avvenuta citazione.

Il paragrafo 13 della motivazione definisce infine i parametri di valutazione (una volta e se superati i rigori del divieto di utilizzabilità) della "prova" extra dibattimentale, imponendosi al giudice del merito particolare rigore nella valutazione di tale materiale formatosi fuori del contraddittorio, una regola di giudizio molto vicina al comma 3 dell'art. 192 c.p.p.: la dichiarazione extra processuale ... per sostenere l'impianto accusatorio, deve trovare conforto in ulteriori elementi che il giudice, con la doverosa disamina critica che gli è richiesta dalle norme di rito, individui nelle emergenze di causa.

La peculiarità del caso concreto posto all'attenzione della Corte territoriale è proprio questa: la citazione del teste p.o. non ha certamente raggiunto lo scopo; ma non per questo può negarsi che la teste, certamente informata sulle conseguenze processuali della querela sporta (anche per la successiva seduta informativa innanzi alla p.g.), aveva -se non un onere processuale- almeno un dovere civico, un obbligo non giuridico, di lasciare una traccia del suo legittimo vagabondare. L'aver agito diversamente, facendo perdere ogni solco della sua esistenza, lascia fondatamente ipotizzare un disinteresse sostanziale per le vicende processuali innescate dalla sua denunzia- querela. Disinteresse che, per quanto legittimo, tuttavia non può ridondare i suoi effetti pregiudizievoli sull'imputato, che si vede penalizzato nel non poter sondare (attraverso domande ed esami) l'attendibilità e la genuinità di chi gli attribuisce il fatto-reato. Tale è, ad avviso di questa Corte, il senso proprio del divieto di cui all'art. 526 co. 1 bis c.p.p.: di certo nessuna sanzione processuale per una condotta (l'abbandono, l'oblio, il mero disinteresse) che non deve subire giudizi di valore etico; solo la giuridica conseguenza (dovuta al bilanciamento di interessi di rango costituzionale dal peso specifico diverso) di un comportamento concludente, del quale si deve prender atto, senza che il giusto anelito verso la ricerca della verità sostanziale possa prevaricare la irrinunciabile simmetria dell'architettura processuale, prima ancora che il diritto del soggetto accusato di incrociare le armi dialettiche con il suo accusatore.

Tanto premesso in termini di linee guida della decisione, si deve concludere che la condanna di primo grado, che fa leva esclusivamente sulle dichiarazioni sere dalla p.o. alla p.g. nella immediatezza del fatto (peraltro, come in appresso vedremo, quanto mai incostanti nel narrato), non può che essere riformata, giacché conseguente alla violazione del divieto di cui al comma 1 bis dell'art. 526 c.p.p.

Ed invero, scontata e non controversa la conoscenza e la convivenza durata alcuni giorni tra p.o. ed imputato, non contestato il connotato sessuale che accompagnò la breve convivenza presso il campo nomadi, gli unici elementi che colorano di illiceità penale tale rapporto sono le dichiarazioni della p.o. (violenza sessuale e sequestro di persona) ed i segni evidenti (foto in atti) sulla cute della stessa delle percosse (verosimilmente pugni e/o ceffoni) subite nel corso di tale convivenza.

Le dichiarazioni della p.o. assunte nei verbali redatti dalla p.g., si è detto, non sono utilizzabili ai fini della decisione; ma quand'anche dovesse diversamente opinarsi in ragione del ritenuto carattere neutro ed incolore della irreperibilità, va evidenziato che alle dichiarazioni rese alla p.g. (per certi versi illogiche ed incostanti) nulla si aggiunge ab externo.

La p.o. riferisce inizialmente di aver subito atti sessuali violenti, con violenza diretta anche a vincere la resistenza alla congiunzione, sei, sette volte al giorno per tutta la durata della privazione della libertà presso il campo nomadi di Casoria, nella seconda versione (successiva di 10 giorni) offre una nuova ricostruzione della conoscenza con l'imputato, scema il numero delle violenze sessuali subite quotidianamente, riferisce di aver accondisceso ai rapporti per timore di percosse ulteriori, ribalta quanto riferito in precedenza sulla fuga dal covo ove era reclusa, non più fuga ma uscita per la spesa in compagnia del T.. Orbene, non è chi non veda che la "teste mancata" non manifesta particolare affidabilità né soggettiva, né nel narrato obiettivo: si tratta di soggetto alcool dipendente, che al ricovero iniziale in Formia (ove il T. la condusse a braccia) presentava anche tracce rilevanti di assunzione di benzodiazepine (il cui effetto sinergico con le sostanze alcooliche è ben noto in medicina legale). Costei descrive in maniera non costante e non coerente il rapporto con l'imputato, offre versioni palesemente inconciliabili sul momento della sua sottrazione al "sequestro". I dati obiettivi riscontrati sulla persona confortano solo l'ipotesi di lesioni subite sulla cute del viso e del capo, la dinamica del sequestro (chiusa all'interno della baracca) è smentita dalle foto in atti, ove è chiaro che la baracca ove la p.o. assume di esser rimasta prigioniera è sì chiusa con un catenaccio alla porta, ma (a parte la precarietà della struttura in pannelli di truciolato male assemblati) presenta un vano finestra aperto in prossimità del suolo. Del resto l'ipotesi del sequestro appariva già labile se posta a confronto con l'uscita per la spesa in occasione della quale la p.o. ha contattato la p.g. su altro versante, l'appellante già in primo grado si era sottoposto ad un lungo esame, all'esito del quale (salva qualche ingenua difesa nel merito) aveva prospettato anche un interesse della p.o. a muovere accuse così gravi. A suo dire, a seguito dell'ennesimo diniego di fornire bevande alcoliche alla pretesa vittima, avrebbe registrato la minaccia di costei, che gli prometteva di fargliela pagare per quei dinieghi. Orbene, trattasi della ingenua linea difensiva dell'imputato, che non è tenuto certamente a dire la verità, tuttavia la sua ricostruzione dei fatti coincide con quella della vittima e con i dati di generica, tranne che per le violenze ed il sequestro ed offre anche un possibile motivo per comprendere l'atteggiamento accusatorio della p.o. Non è "il verbo", ma è qualcosa; del resto neanche si può pretendere che sia l'imputato a dover offrire la prova del mendacio del suo accusatore.

Non può pertanto in ogni caso ritenersi raggiunta la prova della colpevolezza dell'imputato per i delitti di violenza sessuale e di sequestro di persona contestati.

Non residua altro che le lesioni contestate, deprivate della aggravante teleologica per l'insussistenza del reato connesso. Si tratta di lesioni guaribili in venti giorni, così il referto in atti. La pena può così calcolarsi: p.b. anni due di reclusione, in ragione della particolare odiosità della condotta violenta nei confronti di persona indifesa a cagione del suo stato di dipendenza, aumentata per la continuazione tra episodi omogenei, ad anni due e mesi sei di reclusione, diminuita per le attenuanti generiche già concesse in prime cure, in ragione della ritenuta correttezza della condotta premurosa tenuta dall'imputato prima dei fatti contestati, un anno e mesi otto di reclusione.

L'assenza di precedenti penali e la natura episodica del fatto consentono di concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena, potendo presumersi che l'imputato si asterrà nel prossimo futuro dal commettere analoghi reati.

Consegue, ai sensi del comma 3 dell'art. 300 c.p.p. la cessazione della efficacia della misura cautelare in corso di esecuzione.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Napoli, III sezione penale, letti gli artt. 605 e ss. c.p.p., in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Napoli, undicesima sezione penale, in data 25 giugno 2012 nei confronti di T.M. ed appellata dallo stesso imputato, letto l'art. 530 cpv. c.p.p., assolve T.M. dai reati di cui agli artt. 609 bis e ter c.p. (violenza sessuale aggravata), 605 c.p. (sequestro di persona) perché il fatto non sussiste ed escluse, quanto al delitto di lesioni personali, le aggravanti contestate, operato l'aumento per continuazione tra i diversi fatti omogenei, riconosciute le attenuanti generiche, lo condanna alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione. Pena condizionalmente sospesa.

Letto l'art. 300 c.p.p. dichiara cessata l'efficacia della misura cautelare della custodia in carcere applicata con ordinanza del GIP Napoli in data 13 ottobre 2011 ed ordina, per l'effetto, l'immediata scarcerazione di T.M., se non detenuto per altro titolo.

Così deciso in Napoli, il 29 gennaio 2013.

Depositata in Cancelleria il 7 febbraio 2013.

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