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Il nuovo redditometro è illegittimo e nullo

Sentenza Tribunale di Napoli - sez. Pozzuoli del 21.02.2013

OMISSIS

Svolgimentonto del processo - Motivi della decisione

Rilevato

che con ricorso depositato in data 12.02.2013 parte ricorrente chiede inibirsi alla Agenzia delle Entrate di controllare, analizzare e archiviare le proprie spese in applicazione del D.M. 24 dicembre 2012, n. 65648 pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 3 del 04.01.2013, in quanto - vista l'ampiezza dei dati previsti dal regolamento - la predetta Agenzia verrebbe a conoscenza di ogni singolo aspetto della propria vita quotidiana, ledendo non già la sola riservatezza ma la stessa libertà individuale come potenzialità di autodeterminazione;

che, in particolare, l'assenza di limiti di tempo consentirebbe alla Agenzia di costituire un archivio definitivo e periodicamente aggiornato di ogni singola scelta del contribuente;

considerato

che si verte manifestamente in materia di diritti fondamentali della personalità e non già di meri interessi di fatto come sostenuto dalla Avvocatura dello Stato, diritti che - essendo il F. un contribuente - sono nella loro esplicazione concreta potenzialmente soggetti in ogni momento alle indagini e controlli fiscali di cui al citato regolamento ministeriale;

che - come meglio motivato in seguito - la presente fattispecie, quindi, rientra nella giurisdizione ordinaria, posto che il ricorrente né direttamente, né indirettamente ha impugnato alcun provvedimento amministrativo, chiedendo esclusivamente emanarsi una pronunzia di accertamento e tutela inibitoria dei propri diritti fondamentali;

considerato, peraltro, che in materia di riservatezza - pur andando il presente ricorso al di là della sola privatezza - è prevista esplicitamente la giurisdizione del giudice ordinario dall'art. 152 D.Lgs. n. 196 del 2003, disposizione interpretata, in caso di impugnazione di provvedimenti del Garante, dalla Corte di Cassazione come previsione - peraltro - di giurisdizione esclusiva del giudice ordinario (Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civile - sentenza 14 aprile 2011 n. 8487:"L'art. 103 Cost., evolutivamente interpretato, va inteso nel senso che all'A.G.O. è consentito, per effetto di conforme disposizione del legislatore ordinario, di conoscere di interessi legittimi, di conoscere ed eventualmente annullare un atto della P.A. e di incidere conseguentemente sui rapporti sottostanti secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste. Ai sensi dell'art. 152, 1 comma, del D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196 - codice in materia di protezione dei dati personali (secondo cui "tutte le controversie che riguardano, comunque, l'applicazione delle disposizioni del presente codice, comprese quelle inerenti ai provvedimenti del Garante in materia di protezione dei dati personali o alla loro mancata adozione, sono attribuite all'autorità giudiziaria ordinaria"), rientra nella giurisdizione del giudice ordinario una controversia relativa ad una istanza con la quale una società dedita alla raccolta e gestione di dati sulla puntualità nei pagamenti ha chiesto al Garante per la protezione dei dati personali di essere autorizzata ad esigere un contributo dai richiedenti per l'accesso ai dati'; in parte motiva: "E' convincimento di queste sezioni unite che la giurisdizione spetti, nella specie, all'autorità giudiziaria ordinaria. A non diversa soluzione conduce, difatti, la piana lettura e la altrettanto piana interpretazione delle norme dianzi ricordate, la cui cristallina espressione letterale (rara avis) non lascia margini a dubbi circa l'intentio legis di attribuire l'intera materia alla cognizione dell'AGO, senza eccezioni di sorta e senza che a ciò risulti di ostacolo la norma costituzionale di cui all'art. 103, più volte evolutivamente interpretata sia da questa stessa corte di legittimità (Cass. ss.uu. 3521/1994), sia dallo stesso Giudice delle leggi nel senso che anche alla predetta autorità giudiziaria è consentito, per effetto di conforme disposizione del legislatore ordinario, di conoscere di interessi legittimi, di conoscere ed eventualmente annullare un atto della P.A., di incidere conseguentemente sui rapporti sottostanti secondo le diverse tipologie di intervento giurisdizionale previste (Cort cost. ord. 140, 165 e 275/2001; 525/2002, mentre l'affermazione contenuta nella sentenza 204 del 2004, a mente della quale la cognizione degli interessi legittimi "sarebbe riservata al giudice amministrativo" sembra in realtà compiuta incidenter tantum, avendo la stessa Corte, con la sentenza 377 del 2008, espressamente riconosciuto al legislatore ordinario" un margine di apprezzamento in materia di riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo). La scelta del legislatore ordinario, sicuramente inequivoca nella sua chiara espressione lessicale, appare poi, nel merito, perfettamente ragionevole, poiché la materia dell'accesso ai dati personali e dei costi di esercizio di tale diritto presenta una indiscutibile, reciproca, inestricabile interferenza di diritti e interessi legittimi, nella quale, peraltro, netta appare la prevalenza dei primi rispetto ai secondi. Nel caso di specie, oltretutto, non par lecito discorrere nemmeno di vera discrezionalità amministrativa, poiché il garante è chiamato ad operare un bilanciamento tra interessi privati (quelli degli interessati ai dati trattabili e quelli delle imprese detentrici), e non tra interesse privato e interesse pubblico");

che il principio di legalità, come sottoposizione di tutti i pubblici poteri alla legge, immanente nell'ordinamento democratico (in materia specificamente tributaria, oltre che pacifico in dottrina, cfr. Cass. 18.02.2003, n. 2416; Cds, sez. V, 22.4.2004, n. 2293) e positivizzato nel sistema costituzionale (ex multiis, Corte Cost. 115/2011), ha storicamente come funzione fondamentale quella di tutelare il singolo rispetto alle prerogative del potere esecutivo e della amministrazione;

che tale funzione primaria del principio di legalità è stata rafforzata con l'entrata in vigore della vigente Carta Costituzionale di tipo rigido attraverso la previsione di molteplici riserve di legge a tutela delle libertà fondamentali, in ragione della necessità - storicamente manifestatasi - di evitare che la stessa legge derogasse a se stessa attribuendo poteri atipici agli organi dell'amministrazione o consentendo una simile attribuzione da parte delle fonti secondarie prodotte dal medesimo potere esecutivo;

che, in virtù del principio di legalità, la pubblica amministrazione è titolare solo ed esclusivamente dei poteri conferitigli in modo non equivoco da specifiche disposizioni che attribuiscono, regolano e limitano il relativo potere (cfr. Corte Cost. 150/1982, 307/2003, 32/2009,115/2011);

che la Costituzione è fondata sulla tutela della persona in quanto tale, cioè come valore a sé e alla cui tutela è preordinato l'intero ordinamento giuridico;

che, per quanto rilevato, la c.d. prima parte della Carta Fondamentale è ritenuta pacificamente inderogabile in peius, neppure attraverso lo strumento della revisione costituzionale, in quanto volta a tutelare e a garantire i diritti inviolabili dell'uomo che significativamente la Repubblica riconosce come già esistenti ai sensi dell'art. 2 Cost.;

che in particolare la giurisprudenza, con riferimento ai diritti inviolabili dell'uomo, ha specificato che ""nel nostro ordinamento si rinvengono a fronte di situazioni "soggettive a nucleo variabile" - in relazione alle quali si riscontra un potere discrezionale della pubblica amministrazione capace di degradare (all'esito di un giudizio di bilanciamento degli interessi coinvolti) i diritti ad interessi legittimi o di espandere questi ultimi sino ad elevarli a diritti - "posizioni soggettive a nucleo rigido", rinvenibili unicamente in presenza di quei diritti, quale quello alla salute, che - in ragione della loro dimensione costituzionale e clella loro stretta inerenza a valori primari della persona - non possono essere definitivamente sacrificati o compromessi, sicché allorquando si prospettino motivi di urgenza suscettibili di esporli a pregiudizi gravi ed irreversibili, alla pubblica amministrazione manca qualsiasi potere discrezionale di incidere su detti diritti non essendo ad esse riservato se non il potere di accertare la carenza di quelle condizioni e di quei presupposti richiesti perché la pretesa avanzata dal cittadino assuma, per il concreto contesto nel quale viene fatta valere, quello spessore contenutistico suscettibile di assicurarle una tutela rafforzata" (Cass. S.U. 17461/06); Cass. sez. un. ord. 09.09.2009, n. 19393: "i diritti umani fondamentali (...) godono della protezione apprestata dall'art. 2 della Costituzione e dall'art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, e non puô essere degradato ad interesse legittimo per effetto di valutazioni discrezionali affidate al potere amministrativo, al quale puô essere affidato solo l'accertamento dei presupposti di fatto che legittimano la protezione umanitaria, nell'esercizio di una mera discrezionalità técnica, essendo il bilanciamento degli interessi e delle situazioni costituzionalmente tutelate riservato esclusivamente al legislatore"(cfr. anche Cass. sez. un. ord. 16.09.2010, n. 19577);

che, quindi, a fronte di tali diritti non è ammissibile alcuna normativa - di rango primario o secondario - che sacrifichi definitivamente l'uno a discapito dell'altro, essendo necessario, appunto, un bilanciamento e contemperamento, si da determinare una mera compressione temporánea e non già soppressione di un interesse costituzionale in favore dell'altro, con conseguente piena riespansione del bene costituzionale una volta che sia cessata la esigenza contingente della sua temporánea limitazione (cfr. significativamente, Corte Cost. 22.02.2005, n. 200 in relazione ai rapporti tra tutela della salute e limiti oggettivi di finanza pubblica, nonché Corte Cost. 18.02.1975, n. 27, secondo cui "i'interesse costituzionalmente protetto relativo al concepito puo venire in collisione con altri beni che godano pur essi di tutela costituzionale e che, di conseguenza, la legge non può dare al primo una prevalenza totale ed assoluta, negando ai secondi adeguata protezione );

che nell'ambito dei diritti fondamentali della persona umana rientrano certamente il diritto alla libertà personale e morale, quale possibilità di piena esplicazione della propria personalità in tutti gli aspetti della vita di relazione come sancito dall'art. 13 Cost, letto in coerenza con l'art. 2 della Carta e con i successivi artt. 18, 19, 21 e 24, nonché con l'art. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea secondo cui la dignità umana è inviolabile e deve essere rispettata e tutelata;

che sempre la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, a conferma di quanto già pacificamente già presente nella Costituzione italiana, ribadisce il diritto "alla libertà", senza peraltro far seguire la dicitura "personale" e quindi da interpretarsi nel senso più ampio possibile come diritto alla autodeterminazione;

che il fondamento personalistico dell'ordinamento trova altresi conferma nell'art. 7, e 8 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea che sanciscono il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e delle proprie comunicazioni, nonché alla protezione dei dati di carattere personale;

che, quindi, è evidente come ad essere tutelata sia la persona non solo con riferimento al domicilio, alla riservatezza delle comunicazioni ma con riferimento alla sua intera dimensione privata come concretamente si articola nella quotidianità e ció in applicazione dei principi di rispetto della dignità umana e di libertà: non puô esservi, infatti, ictu oculi, né dignità, né libertà ove non vi sia protezione e piena autonomía delle proprie scelte quotidiane che si svolgano all'interno della legalità, autonomia che comporta ovviamente il non dover giustificarsi delle proprie scelte se non in casi di assoluta eccezionalità e in presenza di circostanze specifiche, concrete e determínate;

considerato altresi

che altro principio fondamentale - quest'ultimo di derivazione tipicamente comunitario - è il principio di proporzionalità che vieta alla P.A. di sacrificare la sfera giuridica dei privati, al di là di quanto sia strettamente necessario per il raggiungimento dell'interesse generale in concreto perseguito e che quindi vi deve essere nell'azione amministrativa proporzione tra mezzi e fini perseguiti;

che tale principio, secondo l'opinione prevalente, trova fondamento in particolare nell'art. 13, Trattato Unione Europea ed è oramai ius receptum nella giurisprudenza comunitaria e interna (ex multis, Corte giustizia CE sez. II, 22 dicembre 2010, n. 279; Corte giustizia UE grande sezione, 27 novembre 2012, n. 566; Corte Europea dir. uomo sez. grande chambre 10 novembre 2005 n. 44774; Cass. civ. sez. trib. 15 maggio 2006, n. 11133; Cds, sez. III, 16 marzo 2012, n. 1471; TAR Ancona Marche, sez. I, 10 dicembre 2012, n. 788; Trib. Palermo 18 giugno 2010);

che in particolare tale principio con riferimento al rapporto esistente tra tutela degli interessi generali e dei privati impone che ogni interferenza del pubblico potere deve rispondere ad "un giusto equilibrio tra i requisiti dell'interesse generale della collettivita e gli imperativi della salvaguardia dei diritti fondamentali dell'individuo (...). In particolare, deve esistere un rapporto ragionevole di proporzionalità tra i mezzi impiegati ed il fine perseguito da ogni provvedimento" (Corte Europea dir. uomo, 20 novembre 1995, n. 332)

rilevato, con riferimento alla fattispecie concreta,

che secondo l'art. 38, comma 4, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 l'agenzia delle entrate "puÒ sempre determinare sintéticamente il reddito complessivo del contribuente sulla base delle spese di qualsiasi genere sostenute nel corso del periodo d'imposta, salva la pro va che il relativo finanziamento è avvenuto con redditi diversi da quelli posseduti nello stesso periodo d'imposta, o con redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o, comunque, legalmente esclusi dalla formazione della base imponibile";

che secondo il comma 5 della medesima disposizione "la determinazione sintética puÒ essere altresi fondata sul contenuto induttivo di elementi indicativi di capacita contributiva individuato mediante l'analisi di campioni significativi di contribuenti, differenziati anche in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza, con decreto del Ministero dell'Economia e delle Finanze da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale con periodicità biennale. In tale caso è fatta salva per il contribuente la prova contraria di cui al quarto comma"; che, quindi, la norma attributiva del potere al Ministero dell'Economia e Finanza prevede come presupposti che: a) sia sempre concessa la prova liberatoria in capo al contribuente; b) puÒ essere considerata qualsiasi spesa di qualsiasi genere; c) i campioni significativi riguardino specificamente i "contribuenti"; d) che tali contribuenti vanno differenziati tra loro "anche" in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza;

rilevato, altresì,

che l'autorità governativa è intervenuta con il D.M. 24 dicembre 2012, n. 65648 pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 3 del 04.01.2013;

che il predetto d.m. prevede che:

1. i beni e servizi da considerare significativi di capacità contributiva sono quelli indicati nella tabella A, nonché altri elementi di capacita contributiva diversi da quelli riportati nella tabella A, qualora siano disponibili dati relativi alla spesa sostenuta per l'acquisizione di servizi e di beni e per il relativo mantenimento, nonché la quota di risparmio riscontrata formatasi nell'anno (art. 1, comma 2 e 4); nonché "dell'ammontare delle spese, anche diverse rispetto a quelle indicate nella tabella A che, dai dati disponibili o dalle informazioni presenti nel Sistema informativo dell'Anagrafe tributaria, risultano sostenute dal contribuente"

2. il contenuto induttivo degli elementi indicativi di capacità contributiva di cui alla tabella A "è determinate tenendo conto della spesa media, per gruppi e categorie di consumi, del nucleo familiare di appartenenza del contribuente; tale contenuto induttivo corrisponde alla spesa media risultante dall'indagine annuale sui consumi delle famiglie compresa nel Programma statistico nazionale, ai sensi dell'art. 13 del D.Lgs. 6 settembre 1989, n. 322, effettuata su campioni significativi di contribuenti appartenenti ad undici tipologie di nuclei familiari distribuite nelle cinque aree territoriali in cui e' suddiviso il territorio nazionale. Le tipologie di nuclei familiari considerate sono indicate nella tabella B, che fa parte integrante del presente decreto"

3. il reddito complessivo ai sensi dell'art. 3 è quindi accertato sulla base di quanto indicato sub 1 e sulla base "della quota parte, attribuibile al contribuente, dell'ammontare della spesa media ISTAT riferita ai consumi del nucleo familiare di appartenenza, determinata: nella percentuale corrispondente al rapporto tra il reddito complessivo attribuibile al contribuente ed il totale dei redditi complessivi attribuibili ai componenti del nucleo familiare; in assenza di redditi dichiarati dal nucleo familiare, nella percentuale corrispondente al rapporto tra le spese sostenute dal contribuente ed il totale delle spese dell'intero nucleo familiare, risultanti dai dati disponibili o dalle infomazioni presenti nel Sistema informativo dell'Anagrafe tributari", nonché sulla base "dell'ammontare delle ulteriori spese riferite ai beni e servizi, presenti nella tabella A, nella misura determinata considerando la spesa rilevata da analisi e studi socio economici; della quota relativa agli incrementi patrimoniali del contribuente imputabile al periodo d'imposta, nella misura determinata con le modalità indicate nella tabella A; della quota di risparmio riscontrata, formatasi nell'anno"

ritenuto, quindi,

che il decreto ministeriale è non solo illegittimo, ma radicalmente nullo ai sensi dell'art. 21 septies L. n. 241 del 1990 per carenza di potere e difetto assoluto di attribuzione in quanto emanato del tutto al di fuori del perimetro disegnato dalla normativa primaria e dei suoi presupposti e al di fuori della legalità costituzionale e comunitaria, atteso che il c.d. redditometro utilizza categorie concettuali ed elaborazioni non previste dalla norma attributiva, che richiede la identificazione di categorie di contribuenti, laddove - per come si vedrà - il d.m. non individua tali categorie ma altro, sottoponendo indirettamente - visto l'ampiezza dei controlli e il riferimento ai nuclei familiari - a controllo anche le spese riferibili a soggetti diversi dal contribuente e per il solo fatto di essere appartenenti al medesimo nucleo familiare (si pensi all'acquisto di un medicinale per il congiunto malato oppure del libro di lettura);

che, in particolare, il regolamento del potere esecutivo:

- non fa alcuna differenziazione tra cluster di "contribuenti" cosi come imposto dall'art. 38, D.P.R. n. 600 del 1973 e dall'art. 53 Cost., bensi del tutto autonomamente opera una differenziazione di tipologie familiare suddivise per cinque aree geografiche, ricollocando, quindi, all'interno di ciascuna delle tipologie figure di contribuenti del tutto differenti tra loro (l'operaio, l'impiegato, il funzionario, il dirigente, chi ha avuto periodi di disoccupazione alternad a periodi di forti guadagni etc etc); non puô, cioè, non rilevarsi come l'art. 38 parla esplicitamente di "contribuenti" e non già di famiglie (non potendo peraltro fare altro essendo ciò è imposto dall'art. 53 Cost.); contribuenti che vanno differenziati "anche" in funzione del nucleo familiare e dell'area territoriale di appartenenza: in definitiva, il riferimento al nucleo familiare e all'area territoriale sono criteri aggiuntivi che in tutta evidenza devono servire a ulteriormente specificare e, per cosi dire, concretizzare il cluster di riferimento già di per sé individuato in base a caratteristiche proprie. Il decreto ministeriale invece utilizza tale due criteri di complemento come principali ed esaustivi;

- utilizza come parametro per determinare le spese medie delle famiglie (peraltro, anche difficilmente armonizzando con Corte Cost. 15.7.1976, n. 179 che aveva escluso la cumulabilità dei redditi dei coniugi) quelle di cui al Programma statistico nazionale predisposto ai sensi dell'art. 13 D.Lgs. 6 settembre 1989, n. 322: si utilizza, cioè, l'attività dell'ISTAT che nulla ha a che vedere con la specificità della materia tributaria che deve indirizzare la sua indagine alla ricostruzione specifica di individualizzati profili di contribuenti e non già alla ricostruzione di macrocategorie funzionali ad analisi macroeconomiche e sociologiche che proprio per questo sono del tutto eterogenee rispetto al concetto di contribuente; è infatti appena il caso di osservare che il predetto Programma statistico nazionale è il piano predisposto per legge dall'ISTAT, nel quale vengono esposte le attività statistiche di interesse pubblico che l'ISTAT e gli altri enti del SISTAN si impegnano a realizzare nel corso di un triennio, al fine di offrire ai cittadini un'immagine non distorta della società e dell'economia nel suo complesso;

- viola l'art. 2, 13 Cost., art. 1, 7 e 8 Carta dei diritti fondamentali della UE, nonché l'art. 38 D.P.R. n. 600 del 1973 poiché prevede la raccolta e la conservazione non già di questa o quella voce di spesa diverse tra loro per genere (come previsto dall'art. 38) ma, a ben vedere, di tutte le spese poste in essere dal soggetto (rectius: dalla famiglia), che viene, quindi, definitivamente privato del diritto ad avere una vita privata, di poter gestire autonomamente il proprio denaro e le proprie risorse, ad essere quindi libero nelle proprie determinazioni senza dover essere sottoposto all'invadenza del potere esecutivo e senza dover dare spiegazioni dell'utilizzo della propria autonomia e senza dover subire intrusioni anche su aspetti delicatissimi della vita privata quali quelli relativi alla spesa farmaceutica, al mantenimento e all'educazione impartita alla prole e alla propria vita sessuale; soppressione definitiva di ogni privatezza e dignità riguardante, peraltro, non solo il singolo contribuente ma in realtà tutti i componenti di quel nucleo familiare; ed, infatti, appena si legge la tabella A del d.m. si deve prendere atto che l'autorità governativa a titolo meramente semplificativo: saprà di ciascuna famiglia quante e quali calzature, pantaloni, biancheria intima etc. utilizzano i suoi componenti; se questi ultimi preferiscono il vino, la birra o analcolici e di che tipo; quanta acqua si utilizza, se sono state eseguire riparazioni di manutenzione ordinaria relative alla rottura della caldaia o del fornello; quanta energia elettrica, gas è stato utilizzato; quali elettrodomestici, arredi sono stati comprati o comunque usati con relative spese di gestione; quali e quanta "biancheria, detersivi, pentole, lavanderia e riparazioni" consuma questa o quella famiglia; addirittura, in manifesta violazione della dignità umana di cui all'art. 1 Carta dei diritti fondamentali della UE di quali e quanti "medicinali e visite mediche" ha necessitato il nucleo familiare e quindi i suoi singoli componenti; quale carburante, lubrificante si utilizza per la propria auto; quanti tram, autobus, taxi e trasporti sono utilizzati; e in violazione di ogni diritto dei minori anche quali libri scolastici e spese assimilabili sono state sopportate (ad esempio, quindi, se quella famiglia necessità di materiale didattico specifico per il proprio figlio affetto da una certa patologia, l'Agenzia delle entrate lo verra a sapere) e cosi egualmente per i giochi, giocattoli; in violazione dell'art. 18 e dell'art. 21 Cost, l'autorità governativa saprà quali associazioni culturali, quali manifestazioni culturali sono preferite dal nucleo famigliare; infine, come visto, l'Agenzia delle entrate può considerare in ogni caso anche tutte le altre spese non elencate nella predetta Tabella A: norma di chiusura che esplicita l'auto attribuzione da parte dell'Esecutivo del potere di raccogliere e immagazzinare ogni singolo dettaglio dal più insignificante al più sensibile della vitai di ciascun componente di un nucleo familiare;

- conferisce all'Agenzia governativa un potere che va, quindi, manifestamente oltre quello della ispezione fiscale consentito astrattamente dall'art. 14, 3 comma Cost. che in via eccezionale e manifestamente tassativo non richiede la riserva di giurisdizione; infatti, è previsto dal regolamento ministeriale un potere di acquisizione, archiviazione e utilizzo di dati di ogni genere che nulla ha a che vedere con la mera ispezione, rappresentando un potere di cui non gode persino l'autorità giudiziaria penale che pure è destinataria di potere non di controllo generalizzato e indiscriminato ma sempre con riferimento ad indagini riferite a specifici reati ipotizzati;

- viola il diritto alla difesa ex art. 24, il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost e e l'art. 38 D.P.R. n. 600 del 1973 in quanto rende impossibile fornire la prova di aver speso di meno di quanto risultante dalle predette media Istat: ed, infatti, non si vede come si possa provare ciò che non si è fatto, ciò che non si è comprato, atteso che - anche a voler prevedere una grottesca conservazione di tutti gli scontrini e una altrettanto grottesca analitica contabilità domestica - è chiaro che tale documentazione non dimostrerà che non è stata sopportata altra concreta spesa; si arriva così all'irragionevole ricostruzione di spese artificialmente imposte dall'autorità governativa, mercé le quali si può di fatto intensificare il prelievo fiscale in violazione dell'art. 53, 1 e 2 comma Cost.; ed è pure rilevante osservare che la ipotesi di spese minori di quelle presuntivamente ancorate alle medie non sono improbabili ma, invece, assolutamente certe: ed, infatti, se vi è una media di spesa, significa che sono state registrate nella realtà economica fasce di oscillazione da un minimo a un massimo, sicché è certo che coloro i quali si ritroveranno al di sotto di tale media si vedranno attribuire automaticamente consumi non sostenuti

- accomuna situazioni territoriali differenti in quanto altro è la grande metropoli altro è il piccolo centro e altro ancora è vivere in questo o quel quartiere;

- viola i principi di eguaglianza, ragionevolezza e proporzionalità in quanto, a ben vedere, non è strumento idoneo a raggiungere in modo adeguato i prefissi obiettivi di repressione dell'evasione fiscale, pur sacrificando del tutto - come visto - il diritto alla dignità, alla autodeterminazione e alla privatezza della propria vita individuale, associativa, culturale e relazionale non solo del singolo contribuente ma di tutto il suo nucleo familiare; ed, infatti, lo strumento induttivo è tanto più severo quanto più il presunto evasore è economicamente meno robusto: al soggetto, infatti, meno abbiente di imperio si impone fittiziamente una spesa anche maggiore di quella reale presumendo, quindi, una evasione fiscale in caso di acquisto di taluni beni di valore eccedenti il range di tolleranza; il contribuente (rectius: il nucleo familiare) più economicamente benestante, invece, ne trae beneficio, in quanto sarà sufficiente evitare di acquistare la merce con sistemi tracciabili telematicamente e potrà, quindi, spendere nella realtà molto di più di quanto, invece, in assenza di costi tracciabili, gli sarà presuntivamente imputato: in definitiva, più è benestante l'evasore potenziale, più è agevolato nel sottrarsi a tale controllo, anche perché, anche a voler tracciare i pagamenti, proprio in ragione del suo benessere per cosi dire "ufficiale", potrà giustificare tutta una serie di spese che vanno oltre il range di tolleranza e continuare ad accumulare reddito non dichiarato; sotto altro profilo, è poi evidente che la evasione economicamente più significativa viene poi realizzata nell'ambito delle attività di impresa in specie societarie, così come è pacifico che i singoli contribuenti fortemente evasori normalmente si industriano al fine di creare soggetti giuridici fittizi intestatari e beneficiari delle maggiori ricchezze, di cui quindi possono godere indirettamente attraverso tali artifici giuridici e contabili;

- accentua le predette discriminazioni, anche in considerazione della insufficiente differenziazione geografica effettuata, anch'essa modellata - coerentemente con indagine di tipo statistico funzionali a riflessioni macroeconomiche e a ricostruzioni di tendenze di massima della società - su ampie categorie, posto che si è tenuto conto di cinque aree territoriali: ebbene, è noto che all'interno della medesima Regione e, anzi, della medesima Provincia vi sono fortissime oscillazioni del costo concreto della vita, cosi come altrettanto forti oscillazioni vi possono essere all'interno di una medesima area metropolitana a seconda del quartiere in cui si vive; ebbene, anche sotto tale profilo, lo strumento presuntivo approntato dal d.m. tende a pregiudicare fatalmente proprio la fascia della popolazione economicamente meno forte in favore di quella più forte; la media, infatti, come detto, è la risultante di valori opposti tra loro: ebbene, è noto che il costo della vita è inferiore nelle zone economicamente meno sviluppate, mentre, invece, è più alto nelle zone economicamente più robuste; se ciò è vero, allora i contribuenti delle zone più disagiate perderanno anche, per così dire, il vantaggio di poter usufruire di un costo della vita inferiore in quanto gli sarà imputato in ogni caso il valore medio ISTAT delle spese; i contribuenti agiati delle zone economiche più forti, invece, come già rilevato, potranno addirittura utilizzare il redditometro a proprio vantaggio, mentre il contribuente economicamente meno agiato che però vive nell'area economicamente più costosa, ove utilizzi mezzi di pagamento tracciabili, sarà quello fatalmente più esposto al controllo da parte della Agenzia delle entrate; situazione analoga si verificherà per il contribuente economicamente agiato che viva in zone col costo della vita inferiore alla media: ed, invero, in ragione di ciò egli potrà più agevolmente di altri accantonare i risparmi; ma - poiché la quota risparmio è anch'essa considerata ai fini della ricostruzione del reddito - tale risparmio, se non compatibile con la spesa media presunta, sarà inevitabilmente attribuito a reddito illecitamente sottratto al fisco;

- si pone - per quanto anche appena detto - in contrasto con l'art. 47 Cost. secondo cui la Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme: non v'è chi non veda che, per come impostato il c.d redditometro, sarà considerato lecito esclusivamente il risparmio che sia compatibile con tali criteri di spesa del tutto astratti e avulsi dalla realtà, in quanto scontano il fatto di aver mutuato elaborazioni statistiche nate per tutt'altri fini;

- è in contrasto coi principi fondamentali di imparzialità, buon andamento dell'amministrazione, nonché con i conseguenti corollari di cui alla L. n. 241 del 1990 dei principi di leale collaborazione procedimentale volta ad assicurare uno scambio di informazioni in una logica non di antitesi ma collaborativa, in quanto il diritto al contraddittorio assicurato al contribuente è in gran parte svuotato di effettività appena si ponga mente alla circostanza che: a) si è in presenza di un procedimento di tipo eminentemente inquisitorio e sanzionatorio; b) i soggetti a confronto (contribuente e Agenzia) si trovano in posizione di fortissima asimmetria, in quanto l'Agenzia delle entrate è anche socia della società di riscossione forzata, che gode di poteri di autotutela esecutiva anch'essi del tutto inusuali per la loro incisività sulla proprietà privata, asimmetria che potrebbe essere colmata solo in un confronto innanzi ad un organo terzo; c) la Agenzia si trova in situazione di oggettivo conflitto di interessi, poiché essa è normalmente vincolata al raggiungimento di obiettivi e di risultati, sicché ha filologicamente interesse alla conferma della propria ipotesi, anche in ragione della sua partecipazione alla società di riscossione; d) proprio in ragione di ciò, cioè della fisiologica previsione di obiettivi di evasione da recuperare, è evidente che l'accertamento presuntivo mercé il c.d. redditometro poiché non più ancorato - come nella vecchia disciplina - a dati certi ma sempre invece possibile porta seco il rischio che l'Agenzia delle entrate, anziehe intensificare i controlli sulla realtà ai fini della ricostruzione reale dei redditi, tenda invece a privilegiare l'accertamento mercé il redditometro: strumento meramente burocratico, meno dispendioso in tempo di costi e di energia e soprattutto strutturato in modo tale da rendere non sempre praticabile un reale ed efficace contraddittorio, tanto da escludere come visto, anzi, per certi aspetti e in una certa misura, la stessa possibilità di una prova liberatoria;

- pone in evidente pericolo l'integrità morale della sfera privata nella sua completezza con potenzialità pregiudizievoli irreparabili e imprevedibili nelle loro evidenti proiezioni in danno della dignità umana e della relativa liberta e vita privata;

visto, infine,

che l'art. 5, L. 20 marzo 1865, n. 2248, alleg. E impone al giudice di non applicare gli atti amministrativi e i regolamenti non conformi alla legge;

che il potere della Agenzia delle Entrate si fonda sul decreto ministeriale esaminato;

che l'istituto della disapplicazione, tuttavia, secondo la prevalente opinione, ha senso laddove il giudice ordinario debba incidentalmente e a meri fini endoprocessuali conoscere dell'efficacia di provvedimenti/regolamenti amministrativi, e quindi di atti amministrativi che, in quanto efficaci, devono essere caratterizzati dalla patologia della annullabilità e non già della nullità;

che, per quanto detto, il D.M. 24 dicembre 2012, n. 65648 deve considerarsi radicalmente nullo e quindi - sotto il profilo della efficacia - giuridicamente tam quam non esset, mancando, quindi, il presupposto previsto dall'art. 38 perché l'Agenzia delle entrate possa eseguire gli accertamenti sintetici mercé il c.d redditometro;

considerata, infine, per quanto attiene alle spese giudizio,

la evidente novità e peculiarità della questione trattata;

P.Q.M.

Ordina - con riferimento al ricorrente - alla Agenzia delle Entrate di non intraprendere alcuna ricognizione, archiviazione, o comunque attività di conoscenza e utilizzo dei dati relativi a quanto previsto dall'art. 38, 4 e 5 comma D.P.R. n. 600 del 1973 e di cessare, ove iniziata, ogni attività di accesso, analisi, raccolta dati di ogni genere relativi alla posizione del ricorrente;

ordina alla Agenzia delle entrate di comunicare formalmente al ricorrente se è in atto un'attività di raccolta dati nei suoi confronti ai fini dell'applicazione del redditometro e, in caso positivo, di distruggere tutti i relativi archivi previa specifica informazione a parte ricorrente;

compensa le spese di giudizio.

Si comunichi ai seguenti recapiti:

Avvocatura dello Stato:OMISSIS

Avv. OMISSIS: OMISSIS

Così deciso in Pozzuoli, il 21 febbraio 2013.

Depositata in Cancelleria il 21 febbraio 2013.

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