La Tassa di Concessione Governativa consiste nella tassa che i beneficiari di determinati provvedimenti amministrativi devono corrispondere allo Stato.
In particolare, ci si è posti il problema, a seguito della liberalizzazione dei servizi di telefonia e dei cellulari, se la tassa di concessione governativa fosse legittima in riferimento ai cellulari.
Alcuni Giudici (ad esempio la Commissione Tributaria della Provincia di Macerata, sentenza n. 76/2/12 del 17 maggio 2012) avevano ritenuto, proprio sulla scorta del suddetto principio di liberalizzazione, che la tassa di concessione governativa fosse non dovuta e, addirittura, anacronistica.
Chiude la vicenda, la Cassazione che, con sentenza n. 23052 del 14.12.2012 (che segue) osserva che, almeno per i servizi in abbonamento, la tassa di concessione governativa è legittima e, quindi, dovuta.
In particolare, ci si è posti il problema, a seguito della liberalizzazione dei servizi di telefonia e dei cellulari, se la tassa di concessione governativa fosse legittima in riferimento ai cellulari.
Alcuni Giudici (ad esempio la Commissione Tributaria della Provincia di Macerata, sentenza n. 76/2/12 del 17 maggio 2012) avevano ritenuto, proprio sulla scorta del suddetto principio di liberalizzazione, che la tassa di concessione governativa fosse non dovuta e, addirittura, anacronistica.
Chiude la vicenda, la Cassazione che, con sentenza n. 23052 del 14.12.2012 (che segue) osserva che, almeno per i servizi in abbonamento, la tassa di concessione governativa è legittima e, quindi, dovuta.
OMISSIS
Svolgimento del processo
La controversia attiene alla richiesta, formulata dai Comuni indicati in rubrica, di rimborso della tassa di concessione governativa sugli abbonamenti telefonici cellulari posseduti.
La Commissione tributaria provinciale di Treviso con sentenza 19/06/210 ha respinto il ricorso presentato dai comuni interessati.
La Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l'appello dei Comuni contribuenti, così motivando:
- l'art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, prevede il pagamento della tassa di concessione governativa in relazione all'utilizzo di licenza o di documento sostitutivo per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione;
- il nuovo Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259 del 2003) ha disposto, con l'art. 3, la liberalizzazione della fornitura di servizi di comunicazione elettrica e, con l'art. 218, ha abrogato il D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, che, nello stabilire che presso ogni singola stazione radioelettrica di cui fosse stato concesso l'esercizio doveva essere conservata l'apposita licenza rilasciata dall'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni e nel disporre che oggetto della tassazione sarebbe stato il contratto di abbonamento sostitutivo della licenza, costituiva la fonte normativa del citato art. 21 della tariffa e presupposto oggettivo della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile;
- era irrilevante la circostanza che l'art. 1, comma 203, della legge finanziaria 2007/244 avesse esteso anche ai non udenti i benefici previsti dall'art. 21 della tariffa, non potendo tale disposizione comportare la reviviscenza di una norma già abrogata;
- il TUIR aveva escluso i Comuni dalTassoggettamento alle imposte dirette e la riformulazione dell'art. 114 della Costituzione aveva posto sullo stesso piano i Comuni, le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato.
Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l'Agenzia delle entrate sulla base di quattro motivi.
Resistono con controricorso e memoria i Comuni intimati.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell'art. 74 cit. T.U.I.R. e deduce che non è pertinente il riferimento a tale norma, operato dalla sentenza impugnata, per giustificare l'esenzione dei Comuni dalla tassa di cui trattasi.
Con il secondo motivo si denuncia violazione dell'art. 114 Cost., e si deduce che tale norma non implica l'uguaglianza del Comune e dello Stato sul piano fiscale, ma più semplicemente la coordinazione dei vari enti e dei relativi poteri in un unico risultato, con la conseguenza che i Comuni non sono esclusi dall'assoggettamento all'imposizione fiscale da parte dello Stato.
Con il terzo motivo si denuncia altresì violazione dell'art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, nonchè del D.M. 24 maggio 2005, art. 2, e L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 203.
L'Agenzia deduce al riguardo che il legislatore ha modificato l'art. 21 citato con le disposizioni da ultimo richiamate, emanate successivamente all'abrogazione del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, e in particolare con la L. n. 244 del 2007, art. 1, comma 203, che ha esteso ai non udenti l'esenzione dalla tassa di concessione governativa già riconosciuta a invalidi e non vedenti, restando così dimostrata la persistente vigenza dello stesso art. 21.
Con il quarto e ultimo motivo la ricorrente denunciando la violazione dell'art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, nonchè del D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, e D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 218, deduce che:
- malgrado le liberalizzazioni introdotte dal D.Lgs. n. 259 del 2003, l'attuale regime degli operatori radiotelefonici continua a essere sottoposto al controllo della pubblica amministrazione attraverso l'autorizzazione generale prevista dall'arT. 25 dello stesso D.Lgs.;
- il D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, - che, nello stabilire che presso ogni singola stazione radioelettrica di cui fosse stato concesso l'esercizio doveva essere conservata l'apposita licenza rilasciata dal l'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, costituiva la fonte normativa dell'art. 21 citato e il presupposto oggettivo della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile - sebbene abrogato dal D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 218, è stato reiterato nel suo contenuto precettivo dall'art. 160 della stesso D.Lgs., che ha disposto che "presso ogni singola stazione radioelettrica per la quale sia stata consegnata l'autorizzazione generale deve essere conservata l'apposita licenza rilasciata dal Ministero. Per le stazioni riceventi del servizio il titolo di abbonamento tiene luogo della licenza"; di conseguenza anche attualmente il proprietario di un apparecchio di telefonia mobile è autorizzato a farne uso in l'orza del proprio abbonamento e, nello stesso tempo, l'art. 160 citato, riproducendo il contenuto dell'art. 318 abrogato, ha modificato l'art. 21 della tariffa nella parte in cui in precedenza richiamava l'art. 318 stesso.
2. Preliminarmente va disattesa l'eccezione d'inammissibilità del quarto motivo del ricorso, sollevata dai controricorrenti sul presupposto che la censura proposta riguardava questione nuova dedotta per la prima volta in sede di giudizio di legittimità. Va osservato al riguardo che la censura solleva una questione di mero diritto, che non implica accertamenti di fatto, e che pertanto può essere legittimante proposta per la prima volta in sede di legittimità (Cass. 2005/20005; 2007/9297).
3. Nel merito, esaminati congiuntamente i motivi di ricorso, in quanto attinenti a questioni strettamente connesse, ritiene il collegio che il ricorso sia fondato nei termini qui di seguito precisati.
Il D.P.R. n. 641 del 1972, ("Disciplina delle tasse sulle concessioni governative), nel suo primo articolo stabilisce che sono soggetti alle tasse sulle concessioni governative: "I provvedimenti amministrativi e gli altri atti elencati nell'annessa tariffa".
Per quanto concerne l'utilizzo dei cellulari, si deve fare riferimento all'art. 21 di detta tariffa, il quale indica quale oggetto di tassazione: "Licenza o documento sostitutivo per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione (D.P.R. 29 marzo 1973, n. 156, art. 318, e D.L. 13 maggio 1973, n. 151, art. 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 12 luglio 1991, n. 202).
In merito all'utilizzo della licenza, con il D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, (Codice postale e delle telecomunicazioni), si precisava che: "Presso ogni singola stazione radioelettrica di cui sia stato concesso l'esercizio deve essere conservata l'apposita licenza rilasciata dall'Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni".
Successivamente, a seguito dell'entrata in vigore del Codice delle comunicazioni elettroniche (D.Lgs. n. 259 del 2003), il settore delle comunicazioni è stato privatizzato, al fine di tutelare i diritti inderogabili di libertà delle persone nell'utilizzo dei mezzi di comunicazione elettronica, nonchè il diritto di iniziativa economica e il suo esercizio in regime, non più di concessione, ma di concorrenza.
La fornitura di servizi di comunicazione elettronica è stata qualificata come attività libera dal citato D.Lgs. n. 259 del 2003, art. 3, comma 2, in ragione della sua natura di preminente interesse generale, ma nel rispetto delle condizioni stabilite nel capo 2^ dello stesso decreto legislativo e in particolare dell'art. 25, comma 3, in forza del quale detta fornitura è soggetta ad un'autorizzazione generale, che consegue alla presentazione della dichiarazione, resa dall'interessato, di voler iniziare la fornitura e costituente denuncia di inizio di attività, l'ermo restando il potere del Ministero, entro e non oltre sessanta giorni dalla presentazione della dichiarazione, di verificare d'ufficio la sussistenza dei presupposti e dei requisiti richiesti e disporre, se del caso, con provvedimento motivato da notificare agli interessati entro il medesimo termine, il divieto di prosecuzione dell'attività.
Nello stesso tempo l'art. 160 dello stesso Codice delle comunicazioni elettroniche ha reiterato il contenuto dell'abrogato D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, stabilendo che presso ogni singola stazione radioelettrica per la quale sia stata consegnata l'autorizzazione generale deve essere conservata l'apposita licenza rilasciata da Ministero, fermo restando che per le stazioni riceventi del servizio il titolo di abbonamento sostituisce la licenza.
4. Dal quadro normativo delineato dal Codice delle comunicazioni elettroniche emerge che l'attività di fornitura di servizi di comunicazione elettronica, pur caratterizzata da una maggiore libertà rispetto alla normativa precedente, resta comunque assoggettata ad un regime autorizzatorio da parte della Pubblica amministrazione, con la particolarità che il contratto di abbonamento con il gestore dei servizio radiomobile si sostituisce alla licenza di stazione radio, e che tale permanente regime autorizzatorio, pur contrassegnato da maggiori spazi di libertà rispetto al passato, giustifica il mantenimento della tassa di concessione governativa prevista per l'utilizzo degli apparecchi di telefonia nobile, costituendo oggetto di tassazione, ai sensi dell'art. 21 della tariffa allegata al D.P.R. n. 641 del 1972, la "Licenza o documento sostitutivo per l'impiego di apparecchiature terminali per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione". Non rileva l'argomentazione dei controricorrenti, secondo cui il citato art. 160 del Codice delle comunicazioni elettroniche riguarderebbe soltanto gli impianti radioelettrici e non gli apparecchi di telefonia mobile, che non costituiscono un impianto radioelettrico. Invero tale articolo ha riprodotto esattamente il contenuto normativo dell'abrogato D.P.R. n. 156 del 1973, art. 318, che costituiva in precedenza il presupposto oggettivo della tassa di concessione governativa sulla telefonia mobile.
La delineata interpretazione del quadro normativo di riferimento trova conferma nel disposto della L. finanziaria n. 244 del 2007, art. 1, comma 203, che. intervenuta successivamente alla ritenuta abrogazione dell'art. 21 della tariffa per effetto del disposto del 0D.Lgs. n. 159 del 2003, art. 268, ha esteso ai non udenti l'esenzione dalla tassa di concessione governativa già prevista dallo stesso art. 21 per invalidi e non vedenti, restando così dimostrata la persistente vigenza di tale disposizione tariffaria anche dopo l'abrogazione del D.P.R. n. 196 del 1973, art. 318.
Non rilevano, infine, neppure i riferimenti compiuti dai giudici di appello alle disposizioni del TUIR, che riguardano soltanto l'imposizione diretta, e all'art. 114 Cost., da cui non è dato ricavare alcun elemento che giustifichi una generale esenzione dei Comuni dall'imposizione fiscale dello Stato.
5. Il ricorso merita pertanto accoglimento nei termini fin qui precisati e la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata in ordine alle censure accolte.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con il rigetto dell'originario ricorso dei Comuni contribuenti.
La novità della questioni affrontate giustifica la totale compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione. Cassa la sentenza impugnata in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, rigetta l'originario ricorso introduttivo. Compensa integralmente le spese processuali dell'intero giudizio.
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