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L' obbligo di restituzione conseguente all'accoglimento della revocatoria fallimentare comporta la riconsegna del bene nelle condizioni in cui si trovava all'atto della cessione - Cass. sent. n. 1411 del 14.02.1997

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 18.6.1990, il curatore del fallimento della s.p.a. R., premesso che detta società, ammessa alla procedura di concordato preventivo in data 20 luglio 1989, era stata dichiarata fallita con sentenza 16.2.1990, conveniva dinanzi al Tribunale di T. Angelo, Umberto, Giuseppe e Francesca G., chiedendo che fossero dichiarati inefficaci, ai sensi dell'art. 64 L.F., gli atti di trasferimento a titolo gratuito di quattro autovetture, disposti nei loro confronti con delibera assembleare 11.12.1987.

A seguito dell'eccezione dei convenuti, che negavano il carattere gratuito degli atti, per essere state le autovetture loro attribuite a compenso dell'attività svolta a favore della società, il curatore del fallimento notificava in data 15 aprile 1991 una seconda citazione, con la quale chiedeva la revoca dei trasferimenti ai sensi dell'art. 67, 1° comma, n. 2 L.F., quali atti estintivi di debiti pecuniari effettuati con mezzi non normali di pagamento.

Riunite le causa, il Tribunale di T., con sentenza 7.4-13.5.1992, accoglieva la domanda sotto il profilo dell'art. 64 L.F. e per l'effetto condannava: a) Angelo, Umberto e Giuseppe G. (che non avevano più la disponibilità delle autovetture) al pagamento del controvalore delle stesse, pari alle somme rispettivamente indicate nelle fatture, rivalutate dalla data della delibera assembleare (11.12.1987) e maggiorate degli interessi legali dalla domanda al saldo; b) Francesca G. alla restituzione dell'autovettura, tuttora in suo possesso, oltre al risarcimento del danno per la perdita di valore del bene (pari alla differenza tra la somma indicata nella fattura ed il valore dell'auto alla data della decisione), con rivalutazione monetaria dall'11.12.1987 ed interessi dalla domanda al saldo.

La decisione era confermata, con sentenza 11.2-8.4.1994, dalla Corte d'appello di T., la quale - rilevato preliminarmente che gli atti impugnati ricadevano nel periodo sospetto, da computarsi a ritroso dalla data di ammissione al concordato preventivo, contenendo già detto provvedimento l'accertamento della situazione di dissesto, poi sfociata nel fallimento - osservava in particolare: a) che l'accoglimento della domanda formulata in via principale ai sensi dell'art. 64 L.F. precludeva evidentemente l'esame della domanda avanzata invia subordinata ai sensi dell'art. 67 L.F.; b) che le fatture esibite (emesse per esigenze contabili della società) erano prive di rilevanza probatoria per contrastare la gratuità dei trasferimenti, emergente senza possibilità di dubbio dalla delibera assembleare 11.12.1987, mentre la mera apposizione di un timbro con la dicitura "pagato" (senza alcuna firma o sigla di riscontro) era del tutto inidonea a dimostrare l'effettiva corresponsione di un prezzo, smentita anzi positivamente dalla richiesta di pagamento successivamente avanzata dal curatore del fallimento; c) che i capitoli di prova articolati dai G., nell'intento di dimostrare il carattere non gratuito dei trasferimenti, erano inammissibili per varie ragioni (genericità, contrasto con documento, necessità di prova scritta); d) che la donazione remuneratoria (nell'ipotesi che in tale fattispecie dovessero inquadrarsi gli atti di trasferimento in parola) era ricompresa nella previsione dell'art. 64 L.F., per la sua natura di elargizione discrezionale, resa in assenza di vincolo giuridico; e) che la rivalutazione ISTAT, se anche fosse stata calcolata (e di ciò non v'era prova) in base al prezzo delle auto nuove, e non al valore delle stesse al momento della cessione, sarebbe stata comunque corretta, in quanto avrebbe tenuto conto del depauperamento effettivo subito dalla società all'atto dell'affidamento delle autovetture.

Avverso tale sentenza i G. propongono ricorso, corredato da memoria.

Resiste con controricorso il curatore del fallimento.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo i ricorrenti, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 64 L.F. e 770 C.C., censurano la statuizione dei giudici di merito che ha qualificato donazioni remuneratorie gli atti di trasferimento impugnati. Sostengono che l'approfondita valutazione degli elementi della fattispecie (anche in base al'esito delle prove richieste e non ammesse) avrebbe invece dimostrato la prevalenza della "datio in solutum", volta a compensare l'attività prestata a favore della società: la prova era fornita dalle stesse argomentazioni addotte nella seconda citazione, ove la curatela aveva chiesto la revocatoria dei trasferimenti ai sensi dell'art. 67, 1° comma, n. 2 L.F., quali atti estintivi di debiti pecuniari effettuati con mezzi non normali di pagamento.

La censura è infondata.

I giudici di merito hanno motivato il loro convincimento circa l'attribuzione delle autovetture senza corrispettivo sulla base della delibera assembleare 11.12.1987, che non lasciava "alcun dubbio in ordine alla gratuità della cessione". La contestazione dei ricorrenti non si rivolge contro questa motivazione, ma si riferisce ad altri elementi, che la corte d'appello avrebbe trascurato, e che avrebbero dimostrato la prevalenza dell'onerosità sulla gratuità: elementi che troverebbero la migliore conferma nella seconda citazione della curatela, impostata sulla corrispettività delle cessioni.

E' palese tuttavia come tale contestazione sia inidonea a scalfire la validità e correttezza della motivazione della sentenza impugnata, non attingendo il punto focale posto a base del convincimento, cioé la deliberazione dell'assemblea dei soci, atto dal quale trae origine l'attribuzione patrimoniale. Lo svolgimento di prestazioni da parte dei ricorrenti a favore della società non è stato trascurato dai giudici di merito, i quali peraltro hanno giustamente rilevato come - ferma retando la fondamentale gratuità dell'operazione - la cessione potesse al più inquadrarsi nell'ambito della donazione remuneratoria, sempre comunque soggetta alla revocatoria fallimentare ex art. 64 L.F. (v. Cass. 4394/87).

La figura della donazione remuneratoria, prevista dall'art. 770, 1° comma, c.c., è caratterizzata dalla rilevanza giuridica che assume il "motivo" dell'attribuzione patrimoniale, correlata specificamente ad un precedente comportamento dei donatori, nei cui confronti la liberalità si pone come riconoscenza, apprezzamento di meriti o "speciale rimunerazione" di attività svolta. Ancorché dominata da tale "motivo", l'attribuzione non cessa peraltro di essere spontanea, e l'atto conserva la "causa" di liberalità, perché discrezionale nell'an, nel quomodo e nel quantum, non essendovi il donante tenuto né in base ad un vincolo giuridico, né in adempimento di un dovere morale o di una consuetudine sociale, con la conseguenza che in nessun caso l'attribuzione patrimoniale può assumere la qualificazione giuridica di corrispettivo, neppure per la parte corrispondente al valore del servizio reso (Cass. 4394/87 cit.).

Va sottolineato, a questo punto, che i ricorrenti non hanno mai eccepito che l'attribuzione patrimoniale disposta nei loro confronti rivestisse il carattere di liberalità in occasione di servizi resi, che l'art. 770, 2° comma, c.c. esclude dal novero delle donazioni, essendosi sempre difesi adducendo il carattere non di "liberalità", ma di "corrispettività" dell'attribuzione, in quanto compenso delle prestazioni lavorative da loro effettuate a favore della società, e facendo riferimento all'assolvimento di un obbligo giuridico e non alla spontanea elargizione, sia pure d'uso ed occasionata da servizi resi.

Correttamente dunque i giudici di merito hanno ritenuto gli atti di cessione revocabili ai sensi dell'art. 64 L.F., avendo ravvisato la gratuità dell'attribuzione patrimoniale nella delibera dell'assemblea dei soci ed essendo gli elementi addotti dalla difesa dei convenuti al più idonei a configurare una donazione remuneratoria, ugualmente assoggettabile alla revocatoria di cui all'art. 64 L.F.

Tale assoggettabilità - del resto non espressamente discussa dai ricorrenti che basano, come s'é visto, la loro difesa sulla causa onerosa dell'attribuzione - deriva dall'inquadramento della donazione remuneratoria nella categoria delle donazioni, come fatto palese dalla stessa definizione legislativa dell'istituto, e dalla considerazione che nella nozione di atto gratuito, agli effetti dell'art. 64 L.F., rientrano tutte le attribuzioni effettuate dal fallito a titolo non oneroso, esclusi soltanto i regali d'uso e gli atti compiuti in adempimento di un dovere morale o a scopo di pubblica utilità.

Quanto infine agli argomenti che i ricorrenti vorrebbero trarre dalla seconda citazione della curatela, ne è manifesta l'irrilevanza, trattandosi (come correttamente posto in evidenza nella sentenza impugnata, in altra parte della motivazione) di domanda introdotta a scopo cautelativo ed invia subordinata rispetto alla domanda principale di revocatoria ex art. 64 L.F., perl'ipotesi che i giudici avessero ravvisato, secondo la prospettazione avanzata dagli stessi convenuti, una causa onerosa nell'attribuzione patrimoniale, peraltro mai ammessa dalla curatela.

2. Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando violazione degli artt. 1224 e 2697 c.c., lamentano che la Corte d'appello abbia ritenuto corretto, e confermato, il calcolo del valore delle autovetture come effettuato dai giudici di primo grado. Affermano che, essendo stato da loro contestato il prezzo indicato nelle fatture, sarebbe stato da loro contestato il prezzo indicato nelle fatture, sarebbe stato onere della curatela dimostrare che detto prezzo corrispondeva al valore delle autovetture al tempo dell'assegnazione (e non dell'affidamento, poiché fino al momento della cessione le auto erano state utilizzate dai G. per lo svolgimento dell'attività prestata a favore della società, e la perdita di valore restava quindi a carico della società stessa).

I ricorrenti deducono inoltre che non sarebbe dovuta la rivalutazione monetaria, per mancanza di prova del danno ulteriore, non fornita dalla curatela, e segnalano infine la diversa posizione di Francesca G., che aveva sempre manifestato la propria disponibilità alla restituzione dell'autovettura, ancora in suo possesso.

Contrariamente a quanto asserito dai ricorrenti, la contestazione circa la corrispondenza tra le cifre riportate nelle singole fatture e l'effettivo valore delle auto all'epoca della cessione non è stata mai avanzata finora e non ha pertanto formato oggetto di dibattito nel corso del giudizio di merito, durante il quale, anzi, gli attuali ricorrenti hanno sostenuto una tesi incompatibile con tale contestazione, affermando che le auto, già da loro utilizzate per lo svolgimento dell'attività prestata a favore della società, erano state loro trasferite in proprietà, all'atto della cessione dell'intero pacchetto azionario ai nuovi acquirenti, a titolo di compenso per le prestazioni rese. Tale tesi, evidentemente, presuppone la corrispondenza tra l'attribuzione patrimoniale ed il valore delle autovetture all'epoca, essendo state le auto materialmente trasferite nelle condizioni in cui si trovavano: con la conseguenza che le fatture, emesse in coincidenza con la cessione, non potevano che riflettere il valore delle autovetture a quella data. Tale circostanza dunque, non contestata dai convenuti, non necessitava di specifica prova da parte della curatela, e quindi correttamente il tribunale ha preso a base per il calcolo del controvalore delle autovetture le somme rispettivamente indicate nelle singole fatture.

Né tale criterio ha formato oggetto di specifico motivo d'appello, per contestare la corrispondenza tra le cifre indicate nelle fatture ed il valore delle autovetture all'epoca, limitandosi gli appellanti ad affermare (v. sesto motivo, come riportato nella sentenza impugnata) che la rivalutazione era stata erroneamente calcolata sul valore delle autovetture nuove.

In questa sede, i ricorrenti partono dal presupposto che i valori riportati nelle fatture corrispondessero a quelli delle vetture nuove, e comunque che sarebbe spettato alla curatela provare che riflettevano invece i valori all'epoca della cessione.

Appare palese la novità della tesi, che rovescia la posizione difensiva tenuta nel corso del giudizio di merito e, con l'affermazione che i valori riportati nelle fatture corrispondevano ai prezzi delle auto nuove, introduce un tema di contestazione mai dibattuto in precedenza.

Questo profilo di doglianza risulta pertanto inammissibile. Sotto altro aspetto, perla parte cioé che riguarda l'applicazione della rivalutazione, la censura è infondata. Poiché infatti l'obbligo di restituzione conseguente all'accoglimento della revocatoria comporta la riconsegna del bene nelle condizioni in cui si trovava all'atto della cessione, ove ciò non sia possibile l'"accipiens" è tenuto a corrispondere l'equivalente pecuniario del valore del bene al momento dell'atto, adeguato alla stregua del deprezzamento della moneta fino alla decisione (Cass. 2912/94; 12091/92; 3297/88; 3227/87; 347/83).

Trattasi, cioé, di debito tipicamente di valore, sorgendo la relativa obbligazione da fatto illecito, soggetto quindi alla rivalutazione monetaria per sua stessa natura, senza alcun riferimento alla diversa disciplina dettata per i debiti di valuta.

Con riguardo, infine, alla posizione di Francesca G., la pronuncia dei giudici di merito si sottrae a censura, avendo correttamente tenuto conto, nella quantificazione della somma dovuta, della restituzione dell'autovettura e del valore della medesima.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli artt. 112 e 183 c.p.c., censurano l'affermazione dei giudici d'appello, secondo cui l'accoglimento della domanda principale ex art. 64 L.F. precludeva l'esame della subordinata, avanzata ai sensi dell'art. 67, 1° comma, n. 2 L.F. Assumono che, essendo stata nella specie la domanda ex art. 67 L.F. formulata invia principale nel secondo giudizio, poi riunito al primo, i giudici di merito non avrebbero potuto esimersi dall'esaminarla, ed avrebbero comunque dovuto spiegare perché, dopo la riunione, la domanda principale della seconda causa era divenuta subordinata nella prima.

La doglianza non ha pregio.

Le due domande di revocatoria, oggetto della prima e della seconda citazione della curatela, sono tra di loro in rapporto logicamente alternativo, avendo per presupposto un diverso inquadramento giuridico delle medesime circostanze di fatto. Una volta individuata la corretta qualificazione del rapporto causale all'origine degli atti impugnati in revocatoria, la difforme qualificazione dello stesso rapporto resta automaticamente esclusa: nella specie, una volta definite le cessioni come atti a titolo gratuito, ricadenti nell'ambito di applicazione dell'art. 64 L.F., resta logicamente esclusa la possibilità di definire le medesime cessioni come atti a titolo oneroso, assoggettabili alla revocatoria ex art. 67 L.F. Nessuna violazione di legge è quindi ravvisabile nella sentenza impugnata, per non aver pronunciato sulla revocatoria ex art. 67 L.F., la cui configurabilità era esclusa dal riconoscimento dei presupposti della revocatoria ex art. 64 L.F. 4. Con il quarto motivo i ricorrenti, denunciando omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, censurano la sentenza impugnata per aver definito prive di valore le fatture emesse.

Sostengono al contrario chele dette fatture, trovando conferma nelle scritture contabili, ove era annotata la cessione, e nel bilancio, ove il valore delle autovetture non risultava più iscritto tra le poste attive, ed essendo corredate dalla dicitura "pagato", fornivano la completa dimostrazione, trascurata dalla Corte d'appello, della natura non gratuita dei trasferimenti, attuati a compenso delle prestazioni lavorative rese dai G..

La censura è priva di fondamento.

Gli stessi convenuti, attuali ricorrenti, non hanno mai affermato

- quanto meno dopo l'instaurazione del giudizio - chele fatture costituivano la prova di un "acquisto" da parte loro delle autovetture in parola, avendo sempre sostenuto di aver ricevuto le autovetture stesse a compenso delle prestazioni rese a favore della società, cioé di avere anticipatamente "pagato" le auto con la loro attività lavorativa.

In tale prospettiva, le fatture non assolvono alla normale funzione di documenti comprovanti rispettivamente una vendita ed un acquisto, neppure secondo la tesi degli stessi convenuti: in tal senso, quindi, esse sono state correttamente definite dai giudici di merito prive di valore probatorio, ed emesse solo per giustificare contabilmente il trasferimento dei beni attraverso l'apparente vendita e l'apparente corresponsione del prezzo.

La motivazione dei giudici di merito circa la gratuità del trasferimento si basa, come s'é visto, sul tenore della delibera assembleare, a fronte della quale le fatture, così come le altre scritturazioni contabili, sono state giustamente ritenute irrilevanti, perché smentite dagli stessi convenuti nel loro ordinario significato di documentazione di compravendita, ed inidonee a contrastare le inequivoche risultanze della delibera assembleare.

5. Con il quinto motivo i ricorrenti, deducendo violazione degli artt. 244 c.p.c. e 2722 c.c., nonché omessa motivazione, lamentano la mancata ammissione della prova testimoniale richiesta. Contestano in proposito gli addebiti di genericità della formulazione, di contrasto con documenti e di necessità della prova scritta, affermando che i capitoli articolati miravano a provare la specifica circostanza - che ben poteva essere dimostrata per testimoni e non era smentita da alcun documento - dell'attività svolta dai G. a favore della società. Tale finalità della prova rende, secondo la stessa prospettazione dei ricorrenti, inammissibile il motivo di ricorso per difetto di interesse.

La circostanza, infatti, dello svolgimento di attività a favore della società (di cui i G. erano soci e - due di essi - amministratori) è stata già presa in considerazione dai giudici di merito, chel'hanno ritenuta, anche se rispondente al vero, insufficiente a dimostrare (a fronte, come già rilevato, del tenore inequivoco della delibera assembleare) l'asserita onerosità degli atti di cessione, potendo al più fornire elementi a sostegno della configurabilità della donazione remuneratoria, comunque soggetta alla revocatoria ex art. 64 L.F.

I ricorrenti, quindi, difettano di interesse a censurare la mancata ammissione delle prove testimoniali, volte a dimostrare l'attività da loro svolta a favore della società, poiché tali prove, anche se positivamente espletate, non sarebbero idonee a contrastare la revocabilità degli atti ai sensi dell'art. 64 L.F. I motivi - infatti - di ricorso per cassazione che attengono alla reiezione di istanze probatorie sono ammissibili, sotto il profilo dell'interesse all'impugnazione, soltanto se le prove controverse ineriscono a punti della decisione impugnata suscettibili di essere influenzati e diversamente risolti dall'esito di esse (Cass. 7372/96; 3386/95; 10951/94).

Il ricorso deve dunque essere rigettato, con la condanna dei ricorrenti alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna i ricorrenti in solido al pagamento delle spese del giudizio di cassazione in L. 2.802.450, di cui L. 2.000.000 per onorari.

Così deciso in Roma il 6 novembre 1996.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 14 FEBBRAIO 1997