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VALORE DELLA CAUSA E DOMANDA RICONVENZIONALE - CASS. SENTENZA N. 19065 DEL 05.09.2006

Svolgimento del processo

Con processo verbale ai sensi dell'art. 316 c.p.c., comma 2, S. L. conveniva in giudizio dinanzi al giudice di pace di Bracciano l'I. s.p.a. per sentire dichiarare che egli nulla doveva alla società convenuta, avendo provveduto al pagamento del consumo del gas, eseguendo la lettura del contatore ad ogni scadenza bimestrale, autofatturando l'ammontare dovuto.

Il S. chiedeva che fosse dichiarato illegittimo il comportamento tenuto dalla società erogatrice del gas, che procedeva alla lettura dei contatori ed alla fatturazione del consumo a propria discrezione, secondo criteri che gli utenti ignoravano. L'attore chiedeva, infine, che la società fosse condannata al pagamento dei danni, da liquidarsi secondo equità.

La società convenuta si costituiva in giudizio contestando la pretesa attrice e spiegava domanda riconvenzionale per ottenere il pagamento della residua somma di L. 667.000 (poi ridotta in sede di precisazione delle conclusioni a L. 586.000).

Con sentenza 22 novembre 2001 il giudice di pace di Bracciano accoglieva parzialmente la domanda attrice, riconoscendo illegittimo il comportamento della società erogatrice del gas, per il fatto che la stessa si era riservato il diritto di accertare il consumo e di pretendere il pagamento non secondo scadenze e tempi convenuti, ma a sua discrezione, secondo una autonoma interpretazione del contratto.

Il giudice accoglieva, in parte, anche la domanda riconvenzionale della società convenuta, dando atto che dai conteggi effettuati, attraverso un raffronto tra le somme corrisposte dal S. e quelle pretese dalla società, risultava una differenza negativa per l'attore di L. 104.000.

Avverso tale decisione la I. s.p.a. (già I. s.p.a.) ha proposto ricorso per Cassazione sorretto da quattro motivi, illustrati da memoria.

L'intimato non ha svolto difese.

Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

La domanda di accertamento negativo proposta dal S. esauriva tutta la competenza del giudice di pace, nei limiti della pronuncia secondo equità, quindi entro L. 2,000.000, di cui all'art. 113 c.p.c., comma 2.

La società convenuta non si è limitata a chiedere il rigetto della domanda, ma, a sua volta, ha proposto domanda riconvenzionale chiedendo la condanna del S. al pagamento di L. 667.000.

La tematica posta al giudice di pace era unica, e consisteva nell'esaminare le due tesi contrapposte.

Sicchè non era possibile procedere alla separazione delle due domande, che dovevano essere decise congiuntamente.

Costituisce principio consolidato, nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo il quale, ai fini della determinazione della competenza per valore, la domanda riconvenzionale non deve essere sommata a quella principale, in quanto il cumulo è previsto dall'art. 10 c.p.c. per le sole domande contro la medesima parte (Cass. 27 gennaio 2003 n. 1202, 21 marzo 1977 n. 1085, 30 gennaio 1974 n. 252, 15 marzo 1974 n. 736).

Tale principio, tuttavia, non riguarda il caso, di cui si discute nella specie, nel quale il giudice di pace, anche a seguito della domanda riconvenzionale, conserva comunque la competenza a decidere sulla controversia, ai sensi dell'art. 7 c.p.c., comma 1.

Ciò in applicazione dell'art. 36 c.p.c., secondo il quale il giudice competente per la causa principale conosce anche della domande riconvenzionali, che dipendono dal titolo dedotto dall'attore o da quello che già appartiene alla causa "purchè non eccedano la sua competenza per materia o per valore".

In tale caso, tuttavia, deve tenersi conto del cumulo delle diverse domande, ai fini della individuazione del mezzo di impugnazione esperibile, tenendo conto che la pronuncia del giudice non poteva considerarsi come resa secondo equità, ai sensi dell'art. 113 c.p.c. (per qualche riferimento cfr. Cass. 21 marzo 2005 n. 6107, 7 gennaio 2004 n. 455).

Alla luce di tali principi, deve concludersi che nel caso di specie la società avrebbe dovuto proporre appello e non direttamente ricorso per Cassazione avverso la decisione del giudice di pace (art. 339 c.p.c.), perchè il valore complessivo della controversia superava il limite di L. due milioni, rientrando peraltro nella competenza per valore del giudice di pace.

Il ricorso per Cassazione deve pertanto essere dichiarato inammissibile.

Nessuna pronuncia in ordine alle spese del presente giudizio di Cassazione, non avendo l'intimato svolto difese in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara il ricorso inammissibile. Nulla per le spese del giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 7 giugno 2006.