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IRAP ED ISTITUTI BANCARI - CASS. SENT. N. 5403 DEL 04.04.2012

Svolgimento del processo

La B., in data 26.3.2007, chiese il rimborso di una quota parte dell'Irap versata a saldo per l'anno 2005 e in acconto per l'anno 2006, sul rilievo della persistente possibilità di dedurre dalla base imponibile le quote di svalutazione sui crediti verificatisi negli anteriori nove esercizi, per la parte eccedente la percentuale ammessa in deduzione in ogni singolo periodo ai sensi dell'art. 106 del Tuir.

Invocò, al riguardo, il disposto ex D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, comma 1, nella versione antecedente alle modifiche introdotte dal D.L. n. 168 del 2004, art. 2, conv. con modificazioni in L. n. 191 del 2004.

Formatosi il silenzio-rifiuto sull'istanza detta, la banca lo impugnò dinanzi alla commissione tributaria provinciale di Milano, sostenendo la stessa tesi. La commissione accolse il ricorso e la relativa decisione appellata dall'agenzia delle entrate in base all'affermazione che, a partire dall'anno 2005, la deduzione invocata non era più ammessa in quanto, agli effetti della base imponibile dell'Irap, era stata eliminata, dal D.L. n. 168 del 2004, la rilevanza della svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio degli enti creditizi - fu confermata dalla commissione tributaria regionale della Lombardia con sentenza n. 9/33/2010.

Contro la sentenza di secondo grado l'agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione sulla scorta di un motivo.

L'intimata ha resistito con controricorso e con ricorso incidentale condizionato sorretto da due motivi.

Al detto ricorso incidentale l'agenzia delle entrate a sua volta ha replicato con controricorso.

Motivi della decisione

1. - I ricorsi principale e incidentale vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c..

2. - Con l'unico motivo del ricorso principale, la ricorrente deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 7, (come modificato dal D.L. n. 168 del 2004, e relativa legge di conversione) e L. n. 212 del 2000, art. 3.

Premette che la deducibilità dalla base imponibile dell'Irap delle quote di svalutazione dei crediti è stata eliminata dal citato D.L. n. 168 del 2004, a mezzo della modifica del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 7. E dunque assume che la deduzione delle quote di svalutazione non era più consentita, a partire dall'anno 2005, neppure per i c.d. noni pregressi (di cui all'art. 106, comma 3, del Tuir). Censura la sentenza in quanto una simile interpretazione non era tale da attribuire all'art. 7, del citato D.Lgs. inammissibili effetti retroattivi - come invece sostenuto dalla commissione regionale - in quanto il diritto alla deduzione in nove quote costanti (i c.d. noni) non possedeva un ambito di operatività pluriennale, sì da potersi considerare "acquisito" al momento di entrata in vigore della modifica normativa.

3. - Osserva preliminarmente la Corte che l'agenzia delle entrate erroneamente riferisce la doglianza al testo del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 7, anzichè - come dovevasi - a quello dell'art. 6 del medesimo D.Lgs. Invero l'art. 7 concerne la determinazione del valore della produzione netta, ai fini dell'Irap, delle imprese di assicurazione, mentre è nell'art. 6 che trovasi la disciplina della determinazione del corrispondente valore quanto alle banche e alle società finanziarie. Trattandosi peraltro di refuso immediatamente riconoscibile come tale, non ne resta inficiata l'ammissibilità della censura.

4. - Il profilo giuridico controverso - che per la prima volta viene all'esame di questa Corte - attiene al regime tributario, agli effetti dell'Irap, delle svalutazioni su crediti di banche (e imprese di assicurazioni) risultanti dal bilancio di esercizio.

Tale regime tributario - originariamente dettato dall'art. 71 del Tuir (poi art. 106) e D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, nonchè, limitatamente alle imprese assicurative, dal D.Lgs. n. 173 del 1997, art. 16, - è mutato a partire dall'esercizio 2005 per effetto, rispettivamente, del D.L. 12 luglio 2004, n. 168, art. 2, (conv. in L. 30 luglio 2004, n. 191), quanto agli enti creditizi (che qui interessano), e del D.L. 30 settembre 2005, n. 203 (conv. in L. 2 dicembre 2005, n. 248), quanto agli enti assicurativi.

Nella fattispecie la banca contribuente, avendo calcolato la base imponibile dell'Irap, quanto agli anni 2005 e 2006, senza considerare la deduzione delle quote derivanti dalla svalutazione dei crediti anteriormente iscritti in bilancio, aveva proposto l'azione di rimborso dell'eccedenza in applicazione giustappunto dell'art. 106 del Tuir e del citato D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, affermando che l'esclusione della deducibilità, conseguente al D.L. n. 168 del 2004, art. 6, doveva intendersi riferita solo alle svalutazioni iscritte in contabilità a partire dall'esercizio 2005, e non anche alle residue rate (appunto i c.d. "noni" pregressi) delle svalutazioni effettuate negli esercizi anteriori.

I giudici di merito, facendo proprie le conclusioni assunte al riguardo dalla prevalante dottrina, hanno accolto siffatta tesi con la duplice considerazione (1) che "l'art. 3 dello statuto del contribuente (..) afferma testualmente che le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo"; e (2) che "la deduzione per "noni" della svalutazione dei crediti costituiva semplicemente un rinvio di un componente negativo già fiscalmente riconosciuto (..)".

Ora la ricorrente addebita a codesta impostazione di non aver tenuto conto "che le svalutazioni complessive sono solo il dato contabile in base al quale determinare la, deduzione da riportare nel conto economico", e che "le deduzioni da apportare sono solo quelle consentite dalle norme in vigore nel momento di determinazione del reddito tassabile", giacchè - afferma - il principio fondamentale, nella redazione del bilancio fiscale, "è che il reddito va determinato secondo la normativa applicabile all'anno in cui si è prodotto". Per cui, ad avviso della ricorrente, la negazione della deducibilità delle svalutazioni, imposta dalla normativa sopravvenuta D.L. n. 168 del 2004, ex art. 2, non sarebbe sorretta da un'applicazione retroattiva di tale disposizione.

5. - La soluzione del problema trova base normativa - come detto - nell'art. 106 del Tuir, ai sensi del quale, ai fini dell'Irpeg (e ora dell'Ires), per gli enti creditizi e finanziari (di cui al D.Lgs. n. 87 del 1992), "le svalutazioni dei crediti risultanti in bilancio (..), che derivano dalle operazioni di erogazione del credito alla clientela (..), sono deducibili in ciascun esercizio nel limite dello 0,40 per cento del valore dei crediti risultanti in bilancio, aumentato delle svalutazioni dell'esercizio". (Tale limite risulta così stabilito dal D.L. n. 203 del 2005, conv. in L. n. 248 del 2005, a partire dal periodo d'imposta in corso al 2005, in luogo di quello originariamente fissato nella percentuale dello 0,60 per cento.) La disposizione fissa inoltre la regola che "L'ammontare complessivo delle svalutazioni che supera lo 0,40 per cento è deducibile in quote costanti nei nove esercizi successivi" (per effetto della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 23, comma 1, che ha così definito le citate quote costanti di deducibilità, in luogo degli antecedenti settimi di cui all'art. 71, comma 3, del vecchio Tuir).

Fino all'esercizio 2004 compreso, una simile disciplina ha trovato compiuto riscontro anche ai fini dell'Irap, in virtù del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, comma 1, lett. n), che, quanto al settore creditizio, ha specificamente tradotto la regola dell'individuazione della base imponibile (il valore aggiunto della produzione) per sottrazione delle c.d. voci di costo dalla sommatoria delle voci identificative del valore produttivo, secondo la classificazione adottata nel conto economico dell'impresa (art. 2425 c.c.).

Il dianzi detto quadro normativo è mutato, con riferimento all'impresa bancaria (che qui interessa) a seguito del D.L. n. 168 del 2004, art. 2, convertito in L. n. 191 del 2004. (Al mutamento ha fatto riscontro il D.L. n. 203 del 2005, art. 6, convertito in L. n. 248 del 2005, quanto alle imprese assicurative). In particolare è stata abrogata, in seno al D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, comma 1, la lett. n), id est la norma che, ai fini della determinazione del valore della produzione netta, imponeva di tener conto, nell'ottica sopra mentovata, delle rettifiche di valore su crediti della clientela e degli accantonamenti per rischi su crediti.

Consegue che, a far data dall'esercizio 2005, le perdite su crediti delle banche non sono più deducibili ai fini dell'Irap per quanto concerne le svalutazioni realizzate a partire da tale esercizio.

Conclusione, questa, oltre tutto nettamente evincìbile dall'omologa disposizione introdotta nel D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 7, per gli enti assicurativi, a mezzo della frase che "non si tiene conto delle svalutazioni, delle riprese di valore e degli accantonamenti effettuati ai sensi del D.Lgs. 26 maggio 1997, n. 173, art. 16, comma 9, ultimo periodo". 6. - Ciò fermo stante, il punto attiene alla sorte delle quote di svalutazione già realizzate negli anteriori esercizi, in base alla tesi per cui l'abrogazione de qua avrebbe avuto l'effetto di determinarne la sopravvenuta immediata irrilevanza per il valore della produzione ai fini dell'Irap in virtù del principio generale secondo cui le deduzioni rilevano in base alle norme in vigore nel momento di determinazione del reddito tassabile, e visto che il reddito - quanto al bilancio fiscale - va determinato secondo la normativa applicabile all'anno in cui si è prodotto.

A giudizio della Corte la tesi dell'agenzia delle entrate, che su codeste considerazioni si regge, non è sorretta dal dato normativo, e va disattesa per le ragioni che seguono.

7. - Così come evidenziato della Relazione ministeriale di accompagnamento del D.Lgs. n. 446 del 1997, la chiave interpretativa delle disposizioni attinenti all'imponìbile Irap va rinvenuta nelle sistematica delle imposte sui redditi.

I componenti positivi e negativi, ai fini dell'Irap, vengono in generale assunti in conformità della disciplina del Tuir, in particolare tenendo conto delle regole poste per le variazioni contabili, in aumento e in diminuzione, ai detti fini. Il tutto fino a quando, ovviamente, disposizioni speciali non risultino assunte nella disciplina dell'Irap in deroga rispetto alle regole concernenti le imposte sui redditi.

Partendo dalla indicata considerazione, è possibile cogliere, per le imprese bancarie, la ratìo della deducibilita delle svalutazioni - ai fini delle imposte sul reddito, in base all'art. 106, comma 3, Tuir, e ai fini dell'Irap, in base al correlato previgente D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, comma 1, lett. n), - in ciò: che la deducibilità riflette l'istituito parallelismo tra la valutazione civilistica della svalutazione medesima (sui crediti alla clientela) e la valenza della stessa ai fini fiscali. La deducibilita difatti risale alla L. n. 549 del 1995, di modifica dell'art. 71, comma 3, del vecchio Tuir (ora art. 106), che rinvenne la funzione di rendere la disciplina fiscale più adeguata alle esigenze del mercato bancario, in quel periodo interessato da un crescente andamento delle "sofferenze" su crediti e da correlate perdite di bilancio quantificate in maniera superiore all'importo massimo ammesso in deduzione ai fini tributari.

In tal senso la relazione governativa alla legge detta precisava in modo puntuale la suddetta ratio, nel rilievo che la modifica (dell'art. 71, comma 3, del Tuir) era stata funzionale ad assicurare un "pieno riconoscimento alle svalutazioni imputate al conto economico onde allineare il valore fiscale del credito a quello risultante in bilancio, senza con ciò eliminare la previsione del limite massimo di deducibilità in ciascun esercizio, che viene mantenuta (..)".

A partire dunque dalle indicate modifiche, le svalutazioni dirette dei crediti operate in bilancio hanno assunto, quanto all'impresa bancaria, una specifica rilevanza anche fiscale, essendo i valori dei crediti (così come risultanti in bilancio) riconosciuti in sede fiscale per la misurazione delle successive vicende reddituali.

Se tanto è, non ha fondamento, per le conseguenze che ne vanno tratte, l'obiezione dell'amministrazione finanziaria incentrata sulla diversità del criterio di determinazione del reddito nel contesto delle norme di redazione del bilancio fiscale. Non ha fondamento per lo meno per quanto attiene alle classificazioni adottate nel conto economico dei bilanci formati fino all'entrata in vigore del ripetuto D.L. n. 168 del 2004, che ha reso sul punto asimmetrica la determinazione dell'imponibile Irap rispetto alla sistematica del Tuir.

Il principio del riconoscimento agli effetti fiscali delle svalutazioni imputate al conto economico, sin dall'epoca di applicazione dell'art. 71 del vecchio Tuir, ha infatti comportato quale logica conseguenza che la deduzione per noni agli esercizi successivi è stata considerata solo una modalità di deduzione di valori già riconosciuti come fiscalmente rilevanti a far data dall'esposizione nel bilancio di esercizio. E tale conseguenza non può dirsi di per sè inficiata dall'essere (stato) il reddito poi disciplinato dalle disposizioni in vigore nel periodo di relativa formazione. Appare in tal senso significativa la notazione che le modifiche apportate, nel 2004, al citato D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 6, non sono state accompagnate da una disciplina intesa a regolare il trattamento ai fini dell'Irap delle (quote delle) svalutazioni anteriormente iscritte in bilancio. E, in mancanza di una specifica previsione al riguardo, è di tutta evidenza che la tesi sostenuta dall'amministrazione finanziaria supporrebbe comunque un' interpretazione in chiave retroattiva delle disposizioni recate dal D.L. n. 168 del 2004, citato art. 2, comma 2, con applicazione ai "noni" rivenienti dagli esercizi pregressi, così da porsi in contrasto con il canone interpretativo di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 3.

A questo proposito va detto che le previsioni dello statuto non possiedono (come questa Corte ha più volte affermato: v. da ultimo Cass. n. 637/2012 e n. 640/2012) rango superiore a quelle proprie della legge ordinaria, e dunque non impediscono al legislatore di regolare in termini retroattivi un istituto fiscale. Purtuttavia le medesime, in quanto espressione di principi generali dell'ordinamento tributario, si impongono in sede di interpretazione delle norme tributarie equiordinate; sicchè a quelle occorre fare riferimento per la soluzione di eventuali dubbi esegetici, comunque prediligendo, infine, in caso di dubbio, un'interpretazione conforme ai principi dalle stesse espressi (v. Cass. n. 4760/2000; n. 17576/2002; n. 7080/2004; n. 9407/2005).

8. - Da quanto precede può trarsi la conclusione che la sopravvenuta irrilevanza, a partire dall'esercizio 2005, delle rettifiche di valore sui crediti alla clientela, quanto alla determinazione della base imponibile dell'Irap per gli enti creditizi, non intacca (salvo affermarne un'applicazione retroattiva, non giustificata dal testo della legge soppressiva) la deducibilità dei noni correlabili a svalutazioni già riconosciute per effetto dell'appostazione in un bilancio anteriore.

9. - Non appare condivisibile il dubbio di costituzionalità in proposito avanzato dall'agenzia delle entrate quanto alla disparità di trattamento delle svalutazioni sol perchè contabilizzate in tempi diversi. Il mutamento normativo rileva in rapporto a esercizi diversi rispetto a quello di consolidamento della svalutazione iscritta in bilancio. Mentre il principio costituzionale di uguaglianza (art. 3 Cost.) - all'uopo evocato dall'agenzia unitamente al criterio generale di cui all'art. 53 Cost. - presuppone l'esistenza di situazioni uguali riferibili a uno stesso periodo di tempo, si da non poter essere richiamato quando si ha il succedersi nel tempo di situazioni diversamente regolate (v. per spunti sez. un. n. 12137/2004).

E' semmai la diversa interpretazione, propugnata dall'agenzia medesima, a rivelarsi foriera di non pochi problemi in punto di compatibilità col principio di affidamento nella legislazione statale. Principio che da più parti si assume presidiato da garanzia costituzionale ex art. 3 Cost., quale corollario del principio di ragionevolezza (v. per tutte C. cost. n. 74/2008; n. 156/2007; n. 416/2002; n. 327/2001; n. 525/2000), e che suppone che la norma successiva non possa tradire l'affidamento del privato sull'avvenuto consolidamento di situazioni sostanziali pur se dettata dalla necessità di un contenimento della spesa pubblica (v. C. cost. n. 374/2002).

Sicchè, in conclusione, può essere fissato il seguente principio di diritto: "in materia di Irap, e in relazione alle imprese bancarie, la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio possiede valenza giuridica immediata, nel senso che determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale della produzione;

la relativa deduzione viene soltanto rinviata, per noni, agli esercizi successivi, secondo il criterio di cui all'art. 106, comma 3, del Tuir; pertanto l'indeducibilità ai fini dell'Irap, introdotta dal D.L. n. 168 del 2004, art. 2, comma 2, a partire dall'esercizio 2005, non attinge le quote (c.d. noni pregressi) che, in quanto di competenza degli esercizi anteriori, perchè relative a svalutazioni di crediti operate nei corrispondenti bilanci, sono oggetto di una situazione giuridica sostanziale già consolidata in forza della normativa antecedente".

Poichè a tale principio appare conformata la statuizione di merito, consegue il rigetto del ricorso principale.

L'incidentale condizionato resta assorbito.

La mancanza di precedenti sul tema, unitamente all'intrinseca difficoltà della questione di diritto, conduce alla compensazione delle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito l'incidentale condizionato; compensa le spese.