Chiunque istiga i militari a disobbedire alle leggi o a violare il giuramento dato o i doveri della disciplina militare o altri doveri inerenti al proprio stato, ovvero fa a militari l'apologia di fatti contrari alle leggi, al giuramento, alla disciplina o ad altri doveri militari, è punito, per ciò solo, se il fatto non costituisce un più grave delitto, con la reclusione da uno a tre anni.
La pena è della reclusione da due a cinque anni se il fatto è commesso pubblicamente.
Le pene sono aumentate se il fatto è commesso in tempo di guerra.
Agli effetti della legge penale, il reato si considera avvenuto pubblicamente quando il fatto è commesso:
1. col mezzo della stampa, o con altro mezzo di propaganda;
2. in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone;
3. in una riunione che, per il luogo in cui è tenuta, o per il numero degli intervenuti, o per lo scopo od oggetto di essa, abbia carattere di riunione non privata.
Giurisprudenza sull'art. 266 c.p.
Cassazione, massima sent. n. 1061 del 30.04.1988
In tema di istigazione di militari a disobbedire alle leggi, di cui all'art. 266 del c.p., per la compressione del diritto alla manifestazione del pensiero ed alla critica non può essere genericamente invocata la tutela di un interesse di rilievo costituzionale, quale l'obbligo della fedeltà alle leggi che tutelano la disciplina militare, giacché è necessario che la condotta vietata presenti anche un contenuto immediatamente offensivo per il bene tutelato, in quanto solo il requisito di una concreta offensività per tale interesse riesce a superare e neutralizzare le garanzie poste dal sistema di libertà costituzionale. Infatti, il dolo richiesto dall'art. 266 del c.p. non si concreta nella sola coscienza e volontà dell'azione, ma si richiede che la stessa sia idonea a determinare il pericolo della disobbedienza alle leggi. Ne deriva che non ogni manifestazione di pensiero o di critica che può essere valutata sfavorevolmente costituisce reato di istigazione - giacché in tal caso potrebbe ravvisarsi una repressione della diffusione di ideologie politiche e sociali - bensì il solo diretto o indiretto incitamento all'azione, la quale leda l'interesse che la norma intende proteggere (in quanto suscettibile di provocare uno di quei comportamenti, che la predetta norma vuole impedire, attraverso l'azione sulla psiche dei destinatari).
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