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Provocazione da parte del privato a pubblico ufficiale - Sentenza Cassazione 11419/1995

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con sentenza deliberata il 9 novembre 1994 e depositata il 14 novembre 1994 la Corte d'Appello di Roma riduceva a ventidue giorni di reclusione la pena detentiva, che sostituiva con quella della multa di lire 1.650.000, inflitta ad A. S., che il pretore di Roma aveva riconosciuto colpevole del delitto di oltraggio al vigile urbano S. L. e della contravvenzione ex art. 651 c.p., commessi in Roma il giorno 30 ottobre 1990.

Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, il quale deduce i seguenti motivi:

1. inosservanza dell'art. 530, commi 1 e 2, c.p.p., per omessa indicazione delle prove circa la pronuncia da parte sua dell'epiteto "c*******", che, comunque, il vigile urbano non poteva avere colto, in quanto era assente dal posto in cui proseguiva la discussione con altro vigile urbano;

2. inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 4 del D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944 per mancato riconoscimento della scriminante della reazione all'atto arbitrario del P.M. in rapporto alla deteriore disparità di trattamento a lui riservata rispetto ad altri automobilisti, ugualmente in sosta vietata; al fatto che il vigile Ebano, alla richiesta di spiegazioni, si era limitato a dichiarare che la contravvenzione era stata da lui contestata, senza altro aggiungere; al comportamento scorretto del vigile urbano L.; nonché per avere la corte territoriale escluso la scriminante medesima, giacché al comportamento scorretto del p.m. aveva dato causa la provocazione di esso imputato;

3. inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 651 c.p., per non avere esso imputato rifiutato di fornire le generalità;

4. erronea applicazione dell'art. 135 c.p. per avvenuto computo della pena pecuniaria convertita non in relazione al parametro più favorevole riferito alla disciplina previgente del "tempus commissi delicti".

Alla udienza odierna il P.G. ha concluso per l'annullamento della sentenza quanto al reato di cui all'art. 651 c.p., estinto per intervenuta prescrizione, e quanto alla misura della pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva, da calcolare secondo il parametro più favorevole di lire venticinquemila per ogni giorno di reclusione inflitta, nonché per il rigetto nel resto.

Giusta richiesta del P.G., deve, innanzitutto, questa Suprema Corte annullare senza rinvio la sentenza impugnata, quanto alla condanna del S. per la contravvenzione di cui all'art. 651 c.p., commessa in data 30 ottobre 1990 e contestata alla udienza del processo pretorile del 17 novembre 1992, poiché, nelle more del presente giudizio, è maturato il termine massimo di quattro anni e sei mesi stabilito per la prescrizione del reato (artt. 157 c.p., comma 1, n. 5 e art. 160, comma 2, c.p.), per cui la contravvenzione medesima si è estinta e, in difetto di cause prevalenti di proscioglimento rilevabili dagli atti ai sensi dell'art. 129 c.p.p., sussiste obbligo di immediata declaratoria in proposito, senza che possa venire in rilievo il dedotto vizio di motivazione sul punto, poiché l'inevitabile rinvio al giudice di merito, in ipotesi di fondatezza della censura, sarebbe incompatibile con il suddetto obbligo.

Manifestamente infondato, invece, è il motivo di ricorso di cui sub 1. in narrativa, relativo alla omessa indicazione delle prove circa la pronuncia ad opera dell'imputato dell'epiteto oltraggioso, giacché trattasi di censura in fatto, volta ad ottenere una inammissibile rivalutazione delle risultanze probatorie in base alle quali il giudice del merito ha in modo logico e congruo apprezzato le precise e circostanziate dichiarazioni nel senso di piena conferma del fatto ascritto all'imputato, nella indiscutibile sua valenza di elemento oggettivo e soggettivo del delitto ex art. 341 c.p.

Con espresso motivo di gravame in appello l'imputato aveva lamentato il mancato riconoscimento a suo favore della scriminante della reazione all'atto arbitrario del pubblico ufficiale, ma la corte territoriale non ha ritenuto di fare applicazione dell'art. 4 del D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944, pur ravvisando un fatto di sostanziale abuso nella condotta (definita "sconcertante") del vigile urbano, poi oltraggiato, che, alla richiesta del S. di spiegazioni circa la mancata contestazione dell'infrazione stradale per veicoli, a suo dire, nella medesima posizione di sosta vietata del proprio, aveva replicato dicendogli che "loro non gli dovevano un c**** di spiegazione".

A riguardo la medesima sentenza ha precisato che, con il comportamento suddetto, "il vigile mostrò indubbiamente di essere scarsamente meritevole della tutela alla onorabilità della funzione che ricopre", ma che ciò fece in condizione determinata dalla iniziale inurbanità dell'imputato, il quale, pertanto, "non può invocare a su a discolpa uno stato di cose da lui medesimo originato", giacché, ad avviso della corte romana, il fatto che ad iniziare le provocazioni e a dar vita alla sconcertante condotta del vigile sia stato proprio l'imputato, non consente la applicabilità della invocata scriminante, la quale "presuppone una gratuita arbitrarietà ed antigiuridicità" del comportamento del pubblico ufficiale.

Con il secondo motivo di ricorso il S. ripropone la doglianza, già del gravame, della violazione e falsa applicazione dell'art. 4 del D.Lgs.Lgt. n. 288 del 1944, per avere, tra l'altro, la corte territoriale affermato che la provocazione del soggetto oltraggiante nei confronti del pubblico ufficiale, che in questo abbia indotto uno stato d'ira conseguente al fatto ingiusto altrui, in tal modo cagionando una reazione arbitraria ed antigiuridica dello stesso pubblico ufficiale, esclude la gratuità della reazione e non concreta, perciò, la scriminante di legge.

Questo Supremo Collegio giudica il motivo di impugnazione fondato.

La legge non prevede affatto la provocazione quale causa di esclusione della arbitrarietà dell'atto del pubblico ufficiale, che valga, perciò, a rendere inapplicabile la scriminante, di cui al predetto articolo.

Il che, del resto, è perfettamente coerente con la "ratio" dell'istituto, che, giustificato dalla considerazione che sarebbe iniquo punire comportamenti che costituiscono una naturale reazione psicologica a gravi scorrettezze commesse da chi è preposto all'esercizio di pubbliche funzioni, rafforza, per altro verso, l'obbligo del pubblico ufficiale ad improntare sempre il suo comportamento a modalità di correttezza, rispetto, convenienza ed urbanità, nelle quali si realizzano e si evidenziano la dignità e l'autorità della pubblica amministrazione, beni e valori dei quali non è dato al singolo funzionario indirettamente disporre e che a detto pericolo sarebbero esposti, ove si consentisse che l'abuso tale non debba essere considerato quando ad esso abbia dato causa il fatto ingiusto altrui.

Di conseguenza, in relazione alla erronea motivazione della provocazione quale evento che fa venire meno l'effetto scriminante dell'atto arbitrario nella sua oggettività, la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte d'appello di Roma, che, nel procedere a nuova valutazione circa la sussistenza della scriminante medesima, ne accerterà la ipotizzabilità o meno nel caso di specie indipendentemente dal fatto che al comportamento del pubblico ufficiale, a tal fine dedotto dall'imputato, abbia potuto dare causa il fatto ingiusto dello stesso imputato.

Resta allo stato assorbito il motivo di ricorso relativo alla entità della pena sostitutiva, che, per la ipotesi di esclusione della scriminante in virtù di nuova motivazione rispettosa del principio enunciato, dovrà essere determinata secondo il parametro più favorevole, trattandosi di applicazione di norma sostanziale, secondo preciso indirizzo espresso dal giudice di legittimità, senza riferimento al reato prescritto.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la impugnata sentenza limitatamente alla contravvenzione di cui all'art. 651 c.p. perché il reato è estinto per sopravvenuta prescrizione. Annulla, altresì, la impugnata sentenza sul punto concernente la scriminante dell'atto arbitrario in relazione alla imputazione di cui all'art. 341 c.p. e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Roma per nuovo esame sul punto. Rigetta nel resto.

Così deciso in Roma alla udienza pubblica del giorno 26 settembre 1995.

DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 25 NOVEMBRE 1995.

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