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Chiamata in correità non ha valore di prova, ma di mero indizio

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Con decreto ex art. 429 c.p.p. emesso in data 8.10.2007, Be.Di. e Za.An. erano rinviati a giudizio per essersi impossessati della borsa di proprietà di Ba.Or., strappandogliela dalle mani, come meglio specificato nel capo d'imputazione.

Nel corso dell'istruttoria veniva acquisita documentazione e venivano esaminati sia testi (Ba.Or., Sc.Fa., Ra.Pa., Ba.Pi. e Mi.Ma.) sia l'imputato Za.An.

All'udienza del 25.5.2009, le parti prestavano consenso all'utilizzo delle prove assunte da parte di altro giudice.

Dalle risultanze processuali è emerso quanto segue.

In data (...) Ba.Or., mentre si trovava a Casalecchio di Reno lungo via (...), subiva il furto della propria borsetta, che le veniva strappata di mano ad opera di un individuo che la stessa non riusciva a vedere, né ad identificare, poiché - provenendo dalle spalle - la coglieva di sorpresa.

L'autore del furto si dirigeva, quindi, lungo la vicina via (...), vicolo cieco per la presenza del fiume Reno, per tentare di raggiungere un'automobile, con a bordo due persone (un uomo ed una donna), che lo attendevano.

Sul luogo del reato erano presenti altre persone ed in particolare un automobilista che, a bordo di una vettura di grosse dimensioni (fuoristrada), reso edotto dello "scippo" subito dalla persona offesa, si poneva all'ingresso della strada per impedire l'uscita ai veicoli presenti.

Gli individui a bordo dell'auto, pertanto, si vedevano costretti ad allontanarsi a piedi, lasciando il veicolo in sosta ed abbandonando la borsa appena sottratta lungo la stessa via (...).

I fatti sono così ricostruibili, in specie, sulla base delle dichiarazioni della teste Ba.Or. e di Ba.Pi. Quest'ultimo - pur non ricordando di aver visto gli individui usare un'auto - ricordava di aver visto un'auto parcheggiata, di aver sentito gridare che c'era stato uno scippo, di essersi posto con il proprio autoveicolo all'ingresso della strada, bloccandone l'accesso, e di aver visto un ragazzo scappare.

Ai fini dell'identificazione dei prevenuti, è stato dirimente il successivo comportamento dell'imputato Za.An., il quale - per quanto emerso dall'esame dello stesso, nonché dalle deposizioni dei testi Ra.Pa. e Sc.Fa., entrambi Carabinieri in servizio presso la Stazione di Borgo Panigale ed accorsi sul luogo del reato - è ritornato entro breve tempo presso la sua autovettura parcheggiata lungo via (...), dopo avere contattato i Carabinieri e riferito loro quanto accaduto.

In particolare, i testi Ra.Pa. e Sc.Fa. concordavano nell'indicare Za.An. come colui che, nell'immediatezza, aveva contattato i Carabinieri dopo la commissione del reato e si era recato presso via (...), ove risultava in effetti parcheggiata l'autovettura (...) di colore verde targata (...), intestata alla madre di Za.An. ed in uso a quest'ultimo.

Il teste Ra.Pa., poi, dichiarava che Za.An., giunto sul posto, aveva indicato Be.Di. e Mi.Ma., come coloro che viaggiavano sull'autovettura insieme a lui, fornendo anche le utenze dei telefoni mobili e rappresentava come la collaborazione prestata dall'imputato era stata determinante ai fini dello svolgimento delle indagini.

L'imputato Za.An., esaminato in udienza, rendeva una versione dei fatti coerente con le deposizioni testimoniali sopra riportate e certamente credibile alla luce anche della successiva testimonianza della teste Mi.Ma.

Ed invero, Za.An. riferiva che responsabile del furto con strappo era il solo Be.Di., il quale - mentre viaggiava con lui e Mi.Ma. - alla vista di Ba.Or., chiedeva di fermare l'auto e scendeva dicendo "fermati, questa non mi scappa, questa è mia quindi s'impossessava della borsetta di Ba.Or. La borsetta veniva poi subito abbandonata da Be.Di. a causa delle reazioni di forte disappunto dello stesso Za.An. e di Mi.Ma., preoccupati delle possibili conseguenze.

La teste Mi.Ma., nei confronti della quale'è stata pronunciata sentenza di non doversi procedere dal giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Bologna, sentita in giudizio ai sensi dell'art. 197 bis, confermava sostanzialmente la versione di Za.An.

Sulla base del compendio probatorio sopra delineato deve affermarsi la penale responsabilità di Be.Di. per i fatti di cui all'imputazione, essendo emerso che costui si è impossessato, al fine di profitto, della borsa di Ba.Or., strappandogliela dalle mani (non facendo venir meno la sussistenza del reato il fatto che la borsa sia stata subito rilasciata).

Va qui evidenziato che sono in assoluto significative le dichiarazioni rese da Za.An., il quale risulta pienamente credibile sia in ragione del comportamento dallo stesso tenuto nell'immediatezza dei fatti (avendo egli subito contattato i Carabinieri, descrivendo quanto accaduto), sia delle molteplici conferme che le sue dichiarazioni hanno trovato nelle deposizioni di tutti i testimoni escussi.

Sussistono, pertanto, tutti gli elementi richiesti dalla giurisprudenza (credibilità del chiamante in correità, intrinseca consistenza delle sue dichiarazioni e riscontri esterni: cfr. Cass. Pen., Sez. II, 12.12.2002, n. 15756; Cass. Pen., Sez. II, 21.12.2004, n. 2350) per ritenere il pieno valore probatorio della chiamata in correità di Za.An.

Al riguardo, va qui osservato che la giurisprudenza di legittimità è pacifica nell'affermare che i riscontri alle chiamate in correità possono essere costituiti da qualsiasi elemento (Cass. Pen., Sez. I, 21.11.2006, n. 1560, secondo cui "in tema di valutazione della chiamata in reità, i necessari riscontri individualizzanti possono essere offerti anche da elementi di natura logica e da un'altra dichiarazione, sia pure "de relato", purché sottoposta ad un pregnante vaglio critico e purché consenta di collegare l'imputato ai fatti a lui attribuiti dal chiamante in reità, non necessariamente con specifico riferimento al frammento di fatto a cui quest'ultimo ha assistito"; sostanzialmente conf. Cass. Pen., Sez. IV, 10.12.2004, n. 5821; Cass. Pen., Sez. I, 20.10.2006, n. 1263) e che, nel caso di specie, le dichiarazioni di Za.An. hanno trovato positivo riscontro nelle deposizioni di tutti i testimoni esaminati.

Così affermata la penale responsabilità di Be.Di., va rilevato che la condotta da costui posta in essere integra la fattispecie del furto consumato (e non del tentativo di furto), avendo lo stesso compiutamente realizzato l'intera condotta criminosa, giacché il bene era ormai uscito dalla sfera di vigilanza e di controllo diretto della vittima, la quale ha potuto recuperarlo solo con l'intervento di terzi (ad iter criminoso già esaurito).

La giurisprudenza, infatti, ha chiarito che non si configura il tentativo di furto allorquando il reo si sia già "assicurato la refurtiva, sottraendola alla vigilanza dei titolari" (Cass. Pen., Sez. V, 2.12.2005, n. 44011) e che "il momento consumativo del furto è costituito dalla sottrazione della cosa, passata, anche se per breve tempo e nello stesso luogo in cui è stata sottratta, sotto il dominio esclusivo dell'agente" (Cass. Pen., Sez. IV, 7.5.2004, n. 21757).

Né vi è dubbio circa la volontarietà della condotta (nonché del fine di profitto perseguito), stante la dinamica dei fatti e l'assenza di elementi che depongano in senso diverso.

Sussistono le circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis c.p., in considerazione della condotta posta in essere da Be.Di. subito dopo la commissione del reato (avendo egli "rilasciato" la borsa), seppure presumibilmente su sollecitazione di terzi. In ordine al trattamento sanzionatorio, si ritiene congrua la pena di mesi otto di reclusione ed Euro 300,00 di multa, avuto riguardo - nell'ambito dell'applicazione anche di tutti gli altri parametri di cui all'art. 133 c.p. - in particolare alla non elevata gravità del ,fatto quale si desume dalle modalità in cui è stata realizzata la condotta (d'impeto) ed alla personalità dell'imputato quale si evince dai suoi precedenti penali (che, seppure risalenti, sono specifici ed impediscono di attestarsi sul minimo edittale almeno per la pena pecuniaria). Tale pena è così calcolata: pena base di anni uno di reclusione ed Euro 450,00 di multa, ridotta di un terzo per il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche di cui all'art. 62 bis.

Dalla condanna deriva l'obbligo, per l'imputato, di provvedere al pagamento delle spese processuali.

Inoltre, in applicazione del disposto degli artt. 174 c.p. e 1 l. 241/2006, la predetta pena deve dichiarasi interamente condonata, in quanto - da un lato - tale pena è relativa a fattispecie di reato commessa prima del (...) e non sottratta ratione materiae all'ambito di applicazione del citato art. 1 e - d'altro lato - dal certificato penale in atti (in data 10.10.2011) risulta che l'imputato può ancora usufruire dell'indulto (il che rende opportuno non riservare l'applicazione dello stesso alla fase esecutiva).

Dal compendio probatorio sopra esposto discende l'assoluzione dell'imputato Za.An., giacché risulta che egli non ha contribuito - nemmeno sul piano morale - alla realizzazione dell'azione criminosa.

Emerge, infatti, dalle dichiarazioni dello stesso Za.An., nonché dalle deposizioni dei testi già richiamate (ed in specie da quelle di Mi.Ma. e Ra.Pa.), che dapprima il predetto ha "subito" la condotta delittuosa di Be.Di. (condotta posta in essere repentinamente ed in modo del tutto autonomo) e successivamente si è attivato al fine di consentire l'individuazione del colpevole, cooperando con i Carabinieri.

Za.An. deve, pertanto, essere assolto con la formula di cui al dispositivo.

P.Q.M.

visti gli artt. 533 - 535 c.p.p.,

dichiara Be.Di. responsabile del reato ascrittogli e, riconosciute le attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p., lo condanna alla pena di mesi otto di reclusione ed Euro 300,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali;

visto l'art. 1 l. 241/2006, dichiara condonata la predetta pena: visto l'art. 530 c.p.p.,

assolve Za.An. dal reato ascrittogli per non aver commesso il fatto.

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