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Equo compenso per i diritti degli artisti - rigetto del TAR Lazio con sentenza n. 2159/2012

[Omissis]

FATTO

La società ricorrente premette di operare nel settore di produzione e distribuzione dell’elettronica di consumo, commercializzando prevalente prodotti di alta qualità tecnologica (telefoni cellulari, televisori LCD, videoproiettori lettori DVD-blue ray, decoder, lettori MP3, sistemi home theater, personal computer portatili, hard disck, letori ottici, stampatni e multifunzione etc.).

Essa lamenta di subire un pregiudizio diretto, attuale ed immediato come venditrice dei suddetti prodotti colpiti dal decreto ministeriale indicato in epigrafe – con il quale viene stabilito il cosiddetto “equo compenso” che deve essere corrisposto agli autori delle stesse opere, tramite la Società Italiana Autori ed Editori (S.I.A.E.) nel caso di riproduzione di opere protette da copyright su supporti audio e video (come le opere cinematografiche ed i brani musicali) effettuata direttamente dall’utente per uso personale, senza alcuna finalità commerciale o a scopo di lucro - in quanto destinataria di obblighi di comunicazione –riscossione-pagamento con possibilità di sanzioni pecuniarie per inadempimento e pertanto lo impugna deducendo i seguenti motivi di censura:

1) Violazione dell’art. 17 della L. 23/8/88 n. 400 e dell’art. 15 del DPR 1092/85.

Il provvedimento impugnato ha natura normativa: non sarebbe un atto generale e non avrebbe carattere meramente applicativo della legge, introducendo disposizioni innovative rispetto alla normativa di rango primario. Illegittimamente è perciò stato adottato senza l’acquisizione del parere del Consiglio di Stato e senza essere sottoposto al visto e alla registrazione da parte della Corte dei Conti.

2) Violazione dell’art. 23 Cost. e dell’art. 71 sexies e segg. della L. n. 633/41.

Il decreto sarebbe illegittimo in quanto estende l’ambito di applicabilità dell’equo compenso – che ha carattere di una prestazione patrimoniale imposta – in assenza di adeguata base normativa in violazione dell’art. 23 Cost.

3) Violazione e/o falsa applicazione degli art. 71 sexies e septies della L. n. 633/41, del dlvo n. 68/2003, della direttiva 2001/29/CE, dei principi comunitari di proporzionalità e ragionevolezza (art. 5 TUE), degli artt. 3, 41, 97, 117 Cost, dell’art. 1 della legge n. 241/90. Eccesso di potere per carenza dei presupposti ed ingiustizia manifesta.

La ricorrente denuncia l’indebita estensione del prelievo per l’equo compenso anche ai cd. prodotti “polifunzionali”, quelli cioè che possono essere utilizzati anche per la registrazione di contenuti diversi da fono-videogrammi (quali dispositivi di telefonia mobile e PC) - disposto sulla base di un’attività istruttoria inadeguata – in violazione della normativa comunitaria di riferimento, che impone di tener conto “della peculiarità di ciascun caso” e di escludere le situazioni in cui “il danno per il titolare dei diritti sarebbe minimo” – sia nazionale che presuppone un nesso di collegamento tra l’equo compenso e la destinazione dell’apparecchio o del supporto alla registrazione illegittimamente estendendo il prelievo anche apparecchi polifunzionali, nonché quelli destinati ad uso professionale senza effettuare le relative verifiche sulla sussistenza del presupposto predetto incorrendo altresì nella violazione dell’art. 71 sexties sia in via diretta sia per eccesso di delega in quanto detta norma attribuisce solo il potere di determinare il compenso e non invece di stabilire le tipologie di prodotto, né di estenderlo o calibrare tra diversi prodotti, nonché nella violazione del principio di proporzionalità, atteso che l’applicazione indiscriminata dell’equo compenso determina una serie di costi collaterali, in termini di gestione amministrativa degli obblighi, assistiti da sanzioni pecuniarie, nonché del principio di uguaglianza, vista la sottoposizione di prodotti radicalmente diversi tra loro (destinati e non destinati alla riproduzioni), e della libertà di iniziativa economica degli operatori di settore, in contrasto con gli artt. 3 e 41 Cost oltre che con la direttiva 2001/29.

4) Violazione e/o falsa applicazione, sotto altro profilo, degli art. 71 sexies e septies della L. n. 633/41, del dlvo n. 68/2003, della direttiva 2001/29/CE, dei principi comunitari di proporzionalità e ragionevolezza (art. 5 TUE), degli artt. 3, 41, 97, 117 Cost, dell’art. 1 della legge n. 241/90. Eccesso di potere per illogicità, perplessità ed ingiustizia manifesta.

Illegittimamente l’istruttoria sull’utilizzo dei prodotti da parte dei consumatori è stata affidata alla SIAE –parte coinvolte dal provvedimento – in violazione del principio di imparzialità; il decreto è affetto da difetto di istruttoria e travisamento dei presupposti dell’equo compenso anche sotto il profilo della mancata considerazione delle misure di protezione; nonché dell’esclusione di casi in cui i titolari abbiano già ricevuto un corrispettivo per l’utilizzazione dell’opera.

5) Violazione e/o falsa applicazione, sotto altro profilo, degli art. 71 sexies e septies della L. n. 633/41, del dlvo n. 68/2003, della direttiva 2001/29/CE, dei principi comunitari di proporzionalità e ragionevolezza (art. 5 TUE), degli artt. 3, 41, 97, 117 Cost, dell’art. 1 della legge n. 241/90. Eccesso di potere per illogicità, perplessità ed ingiustizia manifesta.

La ricorrente contesta i criteri di computo dell’equo compenso in quanto questi si discosterebbero dalle prescrizioni della fonte di rango primario.

6) Violazione degli artt. 28, 30, 36, 102 e 107 TFUE.

Il decreto non sarebbe conforme alla direttiva 2001/29/CE assoggettando a compenso gli apparecchi anche in caso di danno minimo, non prevedendo alcuna misura per evitare la doppia imposizione e non tenendo conto delle misure di protezione. Nonché in contrasto con i principi di proporzionalità, equo trattamento e divieto di discriminazione, libera iniziativa economica privata, tutela della concorrenza, ed in particolare, con i principi comunitari in materia di libera circolazione delle merci, concorrenza, divieto di aiuti di Stato e di abuso di posizione dominante.

Si chiede quindi il rinvio pregiudiziale della questione interpretativa della direttiva 2001/29/CE alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee per verificare la sua compatibilità con la normativa nazionale sull’equo compenso; in via ancor più gradata la rimessione degli atti alla Corte Costituzionale.

Si è costituito in giudizio il Ministero per i Beni e le Attività Culturali che ha puntualmente replicato sulle censure svolte e ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

Si è costituita in giudizio anche la S.IA.E. che dopo aver puntualmente replicato sulle censure proposte, ha chiesto il rigetto del ricorso per infondatezza.

L’Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive e Multimediale – A.N.I.C.A. – ha proposto intervento ad opponendum e ricorso incidentale avverso il decreto impugnato nella parte in cui ha pregiudicato i propri interessi essendo stata ridotta l’entità dell’equo compenso - determinato “in una cifra meramente simbolica e ancora una volta al di sotto dei minimi individuati dagli altri paesi di area euro” - rispetto a quello elaborato dalla Commissione speciale incaricata dell’istruttoria senza che il Ministero abbia fornito un’adeguata motivazione sul punto.

Sono intervenute ad opponendum anche l’IMAIE e l’A.P.T. (Associazione produttori televisivi) chiedendo la reiezione del ricorso, lamentando che il compenso, nella misura in contestazione, non pone rimedio in modo effettivo ed adeguato alla perdita economica subita da autori e produttori in conseguenza del sacrificio di esclusività del diritto di riproduzione.

In prossimità dell’udienza di discussione tutte le parti hanno depositato memorie e memorie di replica insistendo nelle già precisate conclusioni.

All’udienza pubblica del 12 luglio 2011 il ricorso è stato trattenuto in decisione.

DIRITTO

Preliminarmente ritiene il Collegio di dover esaminare le eccezioni di rito e, prima fra tutte, l’ eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, formulata dalla SIAE e dall’ANICA nelle proprie memorie.

L’eccezione è stata sollevata in relazione a due profili: in primo luogo perché il provvedimento impugnato costituisce espressione di discrezionalità tecnica, sindacabile unicamente per manifesta illogicità, di insufficiente motivazione o di errori fattuali, mentre tali censure non sarebbero state prospettate e comunque non sarebbero accoglibili; in secondo luogo perché il ricorso, ancorché costruito come impugnazione del provvedimento ministeriale mira in realtà ad ottenere una pronuncia di accertamento della insussistenza del diritto al compenso, pronuncia di competenza del giudice ordinario.

Essa è infondata con riferimento ad entrambe le prospettazioni.

Per quanto attiene al primo profilo, concernente i limiti entro i quali il giudice amministrativo può sindacare la discrezionalità tecnica ( e dunque un’ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione), osserva il Collegio che giurisprudenza amministrativa afferma che la discrezionalità tecnica è sindacabile in sede di legittimità nei limiti del corretto esercizio dei poteri affidati all'Amministrazione sotto il profilo della completezza dell'istruttoria, della sussistenza dei presupposti del provvedere, dell'osservanza di criteri di proporzionalità e ragionevolezza, ovvero quando risulti che il risultato raggiunto dall'Amministrazione, a prescindere dalla sua fisiologica opinabilità, si colloca comunque al di fuori dei quei limiti di naturale elasticità sottesi al concetto giuridico indeterminato che l'Amministrazione è chiamata ad applicare, risultando così, in tutto o in parte inattendibile (Cons. giust. amm. Sicilia, sez. Giurisd,. 10 Giugno 2011, n. 418 ).

Nel caso in esame, sono state appunto denunciate nel ricorso vizi di istruttoria, di illogicità, errori fattuali ed in genere censure di violazione della legge nazionale e di quella comunitaria, che sono perfettamente conoscibili dal giudice amministrativo, in quanto rientranti nell’ambito di cognizione che gli è riservato in sede di giurisdizione di legittimità, senza alcun travalicamento nel merito amministrativo. L’eccezione pertanto, in relazione a questi aspetti, non può essere accolta.

Per ciò che concerne, invece, il secondo profilo, relativo alla eccezione di difetto di giurisdizione a favore del giudice ordinario, osserva il Collegio che l’odierna controversia ha ad oggetto l’impugnativa di un atto amministrativo ad effetti generali, adottato nell’esercizio di un potere discrezionale, ancorché di natura tecnica, con il quale, dando attuazione alla normativa primaria (art. 71septies della L. 633/41), è stata determinata l’entità del compenso per copia privata per ciascuna delle singole tipologie di apparecchi e supporti per i quali deve essere erogato.

Non si tratta dunque , come vorrebbe la difesa della SIAE, di una controversia tra la SIAE ed un soggetto obbligato avente ad oggetto l’accertamento della sussistenza o meno, in concreto, del diritto soggettivo alla corresponsione del compenso per copia privata, bensì della impugnativa, per motivi di legittimità, del provvedimento, ad effetti generali, che ha determinato tale compenso, il che è sufficiente a radicare la giurisdizione del giudice amministrativo in base all’art. 7 comma 1 del c.p.a...

E’ noto che la Suprema Corte di Cassazione è monolitica nell’affermare che ai fini del riparto della giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo rileva non tanto la prospettazione compiuta dalle parti, quanto il petitum sostanziale, che va identificato soprattutto in funzione della causa petendi, ossia dell'intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio (ex multis da ultimo Cass. Sez. Unite, 11 ottobre 2011, n. 20902). Nel caso di specie, proprio in applicazione di tale principio, il petitum sostanziale non può essere identificato appunto nella richiesta di annullamento di un provvedimento amministrativo, e le situazioni soggettive dei ricorrenti non possono che essere qualificate come interessi legittimi.

Sempre in via preliminare, il Collegio ritiene ammissibili gli atti di intervento sia ad adiuvandum che ad opponendum; in particolare in relazione a questi ultimi va rilevato che i soggetti intervenienti dispongono tutti di un evidente interesse contrario all’annullamento dell’atto essendo deputati alla tutela dei diritti dei soggetti che beneficiano del compenso per copia privata ovvero direttamente interessati alla applicazione della disciplina dell’equo compenso (essendo l’IMAIE l’Istituto deputato alla tutela dei diritti degli artisti e degli interpreti esecutori, e dunque dei soggetti che beneficiano del compenso per copia privata, l’ANICA l’associazione confindustriale maggiormente rappresentativa dell’industria cinematografica, che tutela gli interessi degli operatori del settore, e l’A.P.T. l’Associazione che rappresenta i produttori televisivi e che riceve dalla SIAE i compensi per copia privata per ripartirli tra gli aventi diritto).

L’ANICA, in particolare, oltre ad aver proposto l’atto di intervento ad opponendum, ha proposto anche ricorso incidentale avverso il decreto impugnato invia principale dalle odierne ricorrenti, contestando la misura degli importi spettanti a titolo di compenso per la copia privata, in quanto troppo bassa e comunque considerevolmente inferiore rispetto alla proposta della commissione speciale istituita presso il comitato consultivo permanente per il diritto d’autore. L’ANICA tuttavia afferma di avere prioritariamente interesse a che le nuove tariffe, sia pure drasticamente ridotte, siamo comunque immediatamente applicate.

Deve ritenersi pertanto che il ricorso incidentale in esame sia stato proposto espressamente in via subordinata all’ipotesi di eventuale accoglimento del ricorso principale, per cui il suo esame può essere rimandato all’esito di quest’ultimo.

Superate le questioni preliminari è possibile passare ad esaminare le questioni di merito.

Va esaminato prioritariamente il secondo motivo di gravame.

Secondo la ricorrente con il decreto impugnato, il Ministero estendendo illegittimamente l’applicazione della disciplina dell’equo compenso in maniera generalizzata e del tutto sganciata dal presupposto stesso di ogni diritto all’indennizzo (e, cioè, la lesione della posizione giuridica del titolare del diritto di riproduzione, nel caso di specie rappresentata dallo sfruttamento della facoltà di copia privata), avrebbe distorto la nozione di equo compenso sino a farle assumere la natura di prestazione patrimoniale imposta coattivamente con conseguente violazione della riserva di legge di cui all’art. 23 Cost. non essendo tali categorie riconducibili all’ambito di applicazione dell’art. 71 septies.

Sostiene di contro la SIAE nella sua memoria che l’importo dovuto ai sensi dell’art. 71 septies deve invece essere qualificato come mera prestazione sinallagmatica, posto che esso non sarebbe altro che la corresponsione agli aventi diritto di una quota astrattamente remuneratoria della possibilità di utilizzo (mediante l’effettuazione di registrazioni, sia pure mediante copia privata) di opere tutelate dalla legge sul diritto di autore. Non si applicherebbe quindi l’art. 23 Cost. ovvero, quand’anche volesse ritenersi applicabile al caso di specie la riserva di legge prevista per le prestazioni patrimoniali imposte, essendo essa una riserva relativa, non vi sarebbe comunque violazione del citato art. 23 Cost.

La doglianza non è fondata.

La nozione di “prestazione patrimoniale imposta” di cui all’art. 23 Cost. è stata interpretata dalla giurisprudenza costituzionale in senso ampio estendendola anche alle prestazioni di natura non tributaria e aventi funzione di corrispettivo, quando, per i caratteri e il regime giuridico dell'attività resa, sia pure su richiesta del privato, a fronte della prestazione patrimoniale, è apparso prevalente l'elemento dell’imposizione legale (cfr. ad es. sentenze n. 55 del 1963, , n. 127 del 1988, n. 236 del 1994, n. 215 del 1998 e da ultimo C.Cost. 435 del 2001; nonché n. 72 del 1969 con riferimento alle tariffe telefoniche, all’epoca gestite in forma monopolistica, e attinenti ad un servizio pubblico essenziale, nel senso che il fatto che il servizio fosse richiesto dal privato non impedisce di affermare il carattere “imposto” del corrispettivo; C.Cost. 2 febbraio 1988, n. 127 che riconosce tale natura anche al pagamento del diritto di approdo da parte dell'utente di beni del demanio marittimo, nonché, C.ost. 10 giugno 1994, n. 236 al canone dovuto per l'estrazione di materiale sabbioso dal greto dei fiumi imposto autoritativamente per la fruizione di un bene pubblico; Corte Costituzionale, 19 giugno 1998, n. 215 in relazione alle tariffe che vengono inserite di diritto nei contratti di assicurazione obbligatoria per la responsabilità civile per la circolazione dei veicoli, tenuto conto che la determinazione da parte del C.I.P delle tariffe medesime costituisce atto formale autoritativo incidente sull'autonomia privata dell'utente, in riferimento ad un negozio -contratto di assicurazione - obbligatorio ex lege per il soddisfacimento di un rilevante bisogno di vita, qual è la libertà di circolazione mediante l'utilizzazione di veicoli; ed infine C.cost. 28 dicembre 2001, n. 435, relativamente alle tariffe dei c.d. diritti sanitari dovuti alle aziende sanitarie per le prestazioni effettuate per conto e nell'interesse di terzi richiedenti, specificando che quel che rileva, al fine di ritenere la prestazione in esame "imposta", non è il carattere di "servizio essenziale" ai bisogni della vita della prestazione patrimoniale quanto piuttosto di “imposizione legale” della prestazione, ancorché in funzione corrispettiva di altra controprestazione. Per converso, la Corte costituzionale con sentenza 29 gennaio 2005, n. 66 ha invece escluso che potesse qualificarsi come tale prestazione patrimoniale il pagamento di una tariffa per la sosta del veicolo imposta da parte dell’ente proprietario della strada, trattandosi piuttosto di mero corrispettivo per l’utilizzazione particolare della strada commisurato ai tempi e ai luoghi della sosta, rimessa ad una scelta dell'utente non priva di alternative). In tal modo la nozione è stata estesa oltre i casi in cui la fonte della prestazione è di tipo autoritativo, anche ai casi in cui sussistano profili autoritativi nella regolamentazione delle contrapposte prestazioni ed, in particolare, quando il corrispettivo è fissato unilateralmente dall’ente pubblico e il privato può solo decidere se richiedere o meno la prestazione ma non può ricorrere al libero mercato per soddisfare in modo diverso la sua esigenza, intendendo come prestazione imposta quella in cui l’unico modo che ha il privato per sottrarvisi è di rinunciare alla controprestazione da lui desiderata.

Sostiene la SIAE che se è vero che la Corte costituzionale ha effettivamente ampliato la nozione di prestazione patrimoniale imposta, lo ha fatto però solo in fattispecie nelle quali il profilo dell’imposizione legale si rivelava prevalente rispetto alla funzione di corrispettivo su base sinallagmatica, circostanza che non si ravviserebbe nel caso di specie. A questo proposito, la SIAE ha richiamato la citata sentenza Corte Costituzionale n. 435/2001, concernente le tariffe dei c.d. diritti sanitari dovuti alle aziende sanitarie sopracitata.

Osserva tuttavia il Collegio che proprio la lettura di tale sentenza offre invece spunti in senso contrario a quanto sostenuto dalla SIAE in quanto tale compenso, pur avendo una funzione sinallagmatica per lo svolgimento di una prestazione dell'azienda sanitaria, non si configura quale corrispettivo stabilito (e sia pure prestabilito) sulla base di una contrattazione tra l'azienda e il terzo richiedente, il quale liberamente si avvalga, in regime di mercato, di un servizio da quella reso; ma trova il suo fondamento in una imposizione legale, che grava sui terzi interessati all'attività dell'Amministrazione prevista per legge ai fini del compimento di atti che li riguardano, e che perciò viene da essi richiesta- (cfr. le ipotesi di cui alle sentenze n. 507 del 1988, n. 90 del 1994, n. 180 del 1996).

Così ricostruito il quadro della giurisprudenza costituzionale, dunque, non può che giungersi alla conclusione che il pagamento dell’equo compenso per copia privata, pur avendo una chiara funzione sinallagmatica e indennitaria dell’utilizzo (quanto meno potenziale) di opere tutelate dal diritto di autore, deve farsi rientrare nel novero delle prestazioni imposte, giacché la determinazione sia dell’an che del quantum è effettuata in via autoritativa e non vi è alcuna possibilità per i soggetti obbligati di sottrarsi al pagamento di tale prestazione fruendo di altre alternative. In questo senso, dunque, il profilo della imposizione è – per usare le parole della Corte – “prevalente”.

Tuttavia, come più volte affermato dalla giurisprudenza costituzionale, e riconosciuto dalle stesse ricorrenti, il principio costituzionale in discorso non pone una riserva di legge assoluta, ma relativa, limitandosi a porre al legislatore l'obbligo di determinare preventivamente sufficienti criteri direttivi di base e linee generali di disciplina della discrezionalità amministrativa (cfr.: C. Cost., 26.10.2007 n. 350, n. 190 del 2007; n. 125 e n. 105 del 2005; n. 323 e n. 7 del 2001; n. 157 del 1996; n. 507 del 1988); pertanto, il principio non esige che la prestazione sia imposta "per legge", ma "in base alla legge", cosicché è anche ammissibile il rinvio a provvedimenti amministrativi diretti a determinare elementi o presupposti della prestazione, purché risultino assicurate, mediante previsione di adeguati parametri, le garanzie in grado di escludere un uso arbitrario della discrezionalità amministrativa (cfr.: Cass. civ., 18.10.2006 n. 22322).

In particolare, la Corte Costituzionale ha avuto modo di precisare ripetutamente che la riserva di legge di cui all'art. 23 della Costituzione è soddisfatta purché la legge (anche regionale: sentenze n. 64 del 1965, n. 148 del 1979, n. 180 del 1996, n. 269 del 1997) stabilisca gli elementi fondamentali dell'imposizione, anche se demanda a fonti secondarie o al potere dell'Amministrazione la specificazione e l'integrazione di tale disciplina.

E' dunque sufficiente, per rispettare la riserva di legge, che idonei criteri e limiti, di natura oggettiva o tecnica, atti a vincolare la determinazione quantitativa dell'imposizione, si desumano dall'insieme della disciplina considerata (cfr. sentenze C.Cost. n. 72 del 1969, n. 507 del 1988, 435 del 2001).

A ciò si aggiunga che – sempre secondo la Corte costituzionale – un ulteriore elemento garantistico al fine di delimitare la discrezionalità della p.a. e di escludere la violazione dell’art. 23 Cost. è costituito dalla previsione di un modulo procedimentale (Corte costituzionale, 19 giugno 1998 , n. 215).

A questo proposito va rilevato che l’art. 71 septies comma 2 ha appunto previsto un articolato procedimento di approvazione del decreto ministeriale che deve determinare il compenso per copia privata, che prevede: il parere del comitato consultivo permanente sul diritto di autore di cui all'articolo 190 e la consultazione delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei produttori degli apparecchi e dei supporti di cui al comma 1.

Tanto premesso, occorre verificare se gli artt. 71 sexties e sss. della L. 633/1941 contengano delle indicazioni sufficientemente stringenti per poter ritenere rispettato l’art. 23 Cost.

Al riguardo va in primo luogo rilevato che gli artt. 71 sexies, septies e octies della L. n. 633/41, come novellati dal D.Lgs. n. 68/03, disciplinano compiutamente la materia, consentendo la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi apparecchio o supporto effettuato da una persona fisica per uso personale e senza scopo di lucro, e prevedendo – come contropartita – l’erogazione di un compenso diretto ad indennizzare il titolare del diritto di autore da parte di coloro i quali fabbricano o importano nel territorio dello Stato gli apparecchi o i supporti per trarne profitto. In sostanza,dunque, tutta la disciplina della materia è contenuta nel testo di legge. Infatti, la legge stessa indica la nozione di riproduzione privata per uso personale che dà diritto all’erogazione del compenso, l’identificazione dei soggetti beneficiari del compenso e di quelli tenuti al pagamento, l’indicazione degli apparecchi e dei supporti per i quali è dovuto il compenso, la distinzione tra apparecchi esclusivamente destinati alla riproduzione e tra quelli cosiddetti polifunzionali ed il diverso criterio per la quantificazione del compenso, la distinzione tra i diversi tipi di supporti, distinguendo ai fini della commisurazione del compenso tra supporti analogici, digitali, memorie fisse o trasferibili.

In particolare, con riferimento alla nozione di apparecchio polifunzionale, osserva il Collegio che l’art. 71 septies, al comma 1, sia pure indirettamente, contiene una definizione degli apparecchi polifunzionali, poiché in primo luogo li distingue da quelli esclusivamente destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi, evidentemente per il fatto di avere anche ulteriori funzioni oltre a queste; inoltre, la norma fa riferimento all’esistenza, nell’apparecchio polifunzionale, di una componente interna destinata alla registrazione.

La definizione che si trae dall’art. 71 septies degli apparecchi polifunzionali è dunque ampia ma precisa: si tratta di apparecchi che pur non essendo destinati in modo esclusivo alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi, tuttavia hanno al loro interno una componente destinata alla registrazione che gli consente di svolgere anche questa funzione.

L’art. 71 septies, inoltre, nella determinazione dell’entità del compenso per copia privata, tiene conto della possibilità che negli apparecchi polifunzionali la funzione di registrazione possa avere diversa rilevanza, tanto che indica come parametro sul quale calcolare il compenso il “ prezzo di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione”. E’ evidente, dunque, che il legislatore non abbia in alcun modo voluto escludere dall’ambito di applicazione del compenso per copia privata gli apparecchi polifunzionali nei quali la registrazione ha solo una minima rilevanza, quali i telefoni cellulari, ma ha solo voluto ancorare l’entità del compenso alla effettiva rilevanza della secondaria funzione di registrazione o riproduzione.

Pertanto, la definizione fornita dal decreto impugnato di “apparecchio polifunzionale” non si pone assolutamente in contrasto con l’art. 71 septies, né ne estende indebitamente l’ambito di applicazione, dal momento che non fa altro, in effetti, che esplicitarne il contenuto.

Per le stesse ragioni, non può dirsi in contrasto con la riserva relativa di legge imposta dall’art. 12 Cost. nemmeno l’art. 2 lett. W) del decreto ministeriale impugnato, il quale fissa in 0,90 euro il compenso dovuto per la memoria o l’hard disk integrato in dispositivo avente primario funzione di comunicazione e dotato di funzione di registrazione e riproduzione multimediale audio o video. Non si tratta dunque, a ben vedere, nemmeno di una forma di integrazione consentita nell’ambito della riserva di legge relativa di cui all’art. 23 Cost. ma semplicemente della chiarificazione di definizioni già integralmente contenute nel testo normativo, senza nessun apporto

Il secondo motivo di gravame deve essere quindi respinto.

Va del pari respinto il primo motivo di ricorso, con cui la società ricorrente lamenta la violazione del’art. 17 della L. n. 400/88 sostenendo che l’atto impugnato avrebbe natura regolamentare e che pertanto esso avrebbe dovuto essere adottato previo parere del Consiglio di Stato, essere comunicato al Presidente del Consiglio dei Ministri prima della sua emanazione, recare la denominazione di “regolamento”, nonché a registrazione della Corte dei conti e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

La censura è infondata.

Circa la distinzione tra un atto avente natura regolamentare e un mero atto amministrativo generale, la Corte Suprema di Cassazione afferma che a differenza degli atti e provvedimenti amministrativi generali - che sono espressione di una semplice potestà amministrativa e sono rivolti alla cura concreta d'interessi pubblici, con effetti diretti nei confronti di una pluralità di destinatari non necessariamente determinati nel provvedimento, ma determinabili -, i regolamenti sono espressione di una potestà normativa attribuita all'amministrazione, secondaria rispetto alla potestà legislativa, e disciplinano in astratto tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico esistente, con precetti aventi i caratteri della generalità e dell'astrattezza. (Cass. sez. un. 28.11.1994, n. 10124; Cassazione civile, sez. III, 22 febbraio 2000, n. 1972; Cassazione civile sez. III, 5 marzo 2007, n. 5062).

Il Consiglio di Stato, in termini non dissimili, sostiene che gli atti di natura regolamentare, in quanto espressione della potestà attribuita all'amministrazione di incidere, integrandola ed arricchendola, su una precedente disciplina legislativa, innovano l'ordinamento giuridico con precetti aventi i caratteri della generalità ed astrattezza, a differenza degli atti e provvedimenti amministrativi generali che sono espressione di una semplice potestà amministrativa di natura gestionale e sono rivolti alla cura concreta d'interessi pubblici, seppure a destinatari indeterminati. (Consiglio St. Atti norm., 11 luglio 2005, n. 911).

L’applicazione alle singole fattispecie concrete di tali principi non è agevole, tuttavia le considerazioni che si sono svolte sopra circa la completezza della disciplina dettata dalle norme di legge, e in particolare dall’art. 71 septies, depongono nel senso che nessun capacità di innovazione possa attribuirsi al decreto impugnato.

A ciò si aggiunga che esso ha essenzialmente la funzione di quantificare l’importo del compenso per copia privata , in applicazione di criteri determinati dalla legge e nell’esercizio di poteri di discrezionalità tecnica, per ciascuna delle singole tipologie di apparecchi e supporti per i quali deve essere erogato. Si tratta dunque sostanzialmente di un provvedimento assimilabile ai provvedimenti tariffari, i quali – secondo la giurisprudenza amministrativa - non costituiscono, almeno nella prevalenza dei casi, espressione di una potestà amministrativa regolamentare ma sono invece riconducibili alla categoria degli atti generali perché, pur rivolgendosi ad una categoria indeterminata di destinatari, non determinano alcuna rilevante innovazione dell'ordinamento giuridico, già conseguita nei suoi elementi sostanziali dalla norma primaria che li preveda. (Consiglio St. Atti norm., 19 febbraio 2007, n. 584).

Anche dal punto di vista procedimentale o formale, vi sono elementi indicativi della natura non regolamentare del decreto in questione.

In primo luogo, il procedimento di approvazione è disciplinato dal comma 2 dell’art. 71 septies in modo del tutto diverso da quanto prevede l’art. 17 della l. 400/1988. Detta norma infatti demanda al Ministero il compito di determinare il compenso con apposito decreto da emanarsi entro il 31 dicembre 2009 – tenendo conto sia della normativa comunitaria che dei diritti di riproduzione - dopo aver acquisito in sede istruttoria i pareri sia del comitato di cui all’art. 190 (Comitato consultivo permanente per il Diritto di Autore) che delle associazioni maggiormente rappresentative dei produttori degli apparecchi e dei supporti. Sarebbe dunque illogico sostenere, in contrasto con il procedimento espressamente delineato dal legislatore, l’applicazione del modulo procedurale di cui all’art. 17 l. 400/1988.

Inoltre, come ha sottolineato la difesa della SIAE, il procedimento di cui all’art. 71 septies, comma 2, è modellato appunto secondo lo schema tipico di quello degli atti non normativi e di determinazione delle tariffe, prevedendo una ampia partecipazione degli interessati. Risulta peraltro che il Ministero, nello svolgimento della istruttoria propedeutica all’adozione del decreto, abbia commissionato delle indagini di mercato e abbia effettuato una ricognizione della situazione normativa ed economica dei diritti di copia privata dei principali Paesi europei. E’ stata inoltre istituita in seno al Comitato consultivo permanente per il diritto di autore una apposita Commissione speciale per l’istruttoria del parere, che ha effettuato circa 30 audizioni di soggetti appartenenti ai comparti interessati.

In conclusione, sia dal punto di vista sostanziale che da quello procedurale, il quadro normativo è nel senso che il provvedimento impugnato debba essere qualificato come atto generale, di natura non regolamentare, assimilabile a quelli di determinazione – prezzi o tariffe, adottati dalla amministrazione esclusivamente facendo uso dei propri poteri di discrezionalità tecnica, nella mera attuazione del precetto legislativo.

La censura di violazione dell’art. 17 l. 400/1988, per tutti questi motivi, deve essere respinta.

Le considerazioni svolte sopra, in particolare in relazione al secondo mezzo di gravame, consentono di meglio inquadrare le censure di “merito”, dedotte con il terzo, quarto e quindo motivo di ricorso, in quanto hanno introdotto alcuni elementi essenziali della disciplina nazionale in materia, incentrata su una nozione funzionale e pertanto particolarmente ampia degli apparecchi assoggettabili al compenso in contestazione. Appare utile, tuttavia, a questo punto, aggiungere ulteriori elementi che consentono di comprendere ancor meglio l’effettiva portata di tale previsione normativa.

Come ha rilevato la SIAE nelle note di replica depositate per l’udienza, e sottolineato anche l’Anica nella sua memoria, le rapidissime innovazioni tecnologiche degli ultimi anni (c.d. rivoluzione digitale) hanno profondamente mutato il modo di fruizione della musica, video ecc., rendendo possibile la riproduzione gratuita ad uso privato delle opere dell’ingegno (in particolare, quelle musicali, cinematografiche ed audiovisive), determinando una notevolissima diminuzione dei proventi spettanti ai titolari delle opere dell’ingegno (nell’anno 2011, ad esempio, si è registrata una flessione del 50% nella vendita dei supporti fonografici, cfr. grafico prodotto in giudizio dalla SIAE pag. 3 note di replica depositate per l’udienza).

La crisi del settore ha indotto il Legislatore sia comunitario che nazionale – in sede di recepimento della direttiva – ad adottare le misure necessarie per poter garantire la remunerazione dei titolari delle opere dell’ingegno, imponendo il pagamento di un “equo compenso” per copia privata.

Tale facoltà è, come si è detto, prevista dalla direttiva comunitaria 2001/29, la quale prevede: “Gli Stati membri hanno la facoltà di disporre eccezioni o limitazioni al diritto di riproduzione di cui all'articolo 2 per quanto riguarda: (….) le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali a condizione che i titolari dei diritti ricevano un equo compenso che tenga conto dell'applicazione o meno delle misure tecnologiche di cui all'articolo 6 all'opera o agli altri materiali interessati” (art. 5, comma 2, lett. b).

Come chiarito dalla Corte di giustizia con una recente sentenza (III sez. 21 ottobre 2010 Padawan) gli Stati restano liberi di optare o meno per la introduzione di un’eccezione per copia privata, però una volta che essi l’abbiamo fatto, essi devono disciplinarlo in modo armonizzato e coerente con la disciplina comunitaria. La nozione di equo compenso di cui all’art. 5 comma 2 lett. b) della direttiva 2001/29 costituisce infatti, “una nozione autonoma del diritto dell’Unione, che deve essere interpretata in modo uniforme in tutti gli Stati membri che hanno introdotto l’eccezione per copia privata.”

Tuttavia, la forma, la modalità di finanziamento e di prelievo nonché l’entità di tale compenso è rimessa – come ha affermato sempre la sentenza sopracitata – alla discrezionalità ai singoli Stati membri, nel rispetto dei parametri posti dal legislatore comunitario (nonché dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario ivi compreso l’art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che sancisce solennemente la protezione della proprietà intellettuale).

A questo proposito occorre richiamare il 35° considerando della direttiva il quale prevede: “In taluni casi di eccezioni o limitazioni i titolari di diritti dovrebbero ricevere un equo compenso affinché siano adeguatamente indennizzati per l'uso delle loro opere o dei materiali protetti. Nel determinare la forma, le modalità e l'eventuale entità di detto equo compenso si dovrebbe tener conto delle peculiarità di ciascun caso. Nel valutare tali peculiarità, un valido criterio sarebbe quello dell'eventuale pregiudizio subito dai titolari dei diritti e derivante dall'atto in questione. Se i titolari dei diritti hanno già ricevuto un pagamento in altra forma, per esempio nell'ambito di un diritto di licenza, ciò non può comportare un pagamento specifico o a parte. Il livello dell'equo compenso deve tener pienamente conto della misura in cui ci si avvale delle misure tecnologiche di protezione contemplate dalla presente direttiva. In talune situazioni, allorché il danno per il titolare dei diritti sarebbe minimo, non può sussistere alcun obbligo di pagamento.”

Va inoltre tenuto in conto il 38° considerando, secondo il quale: “Si dovrebbe consentire agli Stati membri di prevedere un'eccezione o una limitazione al diritto di riproduzione per taluni tipi di riproduzione di materiale sonoro, visivo e audiovisivo ad uso privato con un equo compenso. Si potrebbe prevedere in questo contesto l'introduzione o il mantenimento di sistemi di remunerazione per indennizzare i titolari dei diritti del pregiudizio subito. (…)”

La sentenza in parola, nell’interpretare tale normativa comunitaria, ha quindi affermato che:

- “l’equo compenso deve essere necessariamente calcolato sulla base del criterio del pregiudizio causato agli autori per effetto dell’introduzione dell’eccezione per copia privata (secondo i Considerando da 35 a 38 il compenso deve “indennizzare adeguatamente” gli autori per l’uso delle loro opere protette effettuato senza autorizzazione);

- “la realizzazione della copia privata da parte di una persona fisica che agisce a titolo privato deve’essere considerata come atto idoneo ad arrecare un pregiudizio per il titolare del diritto di autore;”

- il compenso dovrebbe essere pagato da chi arreca il danno, e cioè dal soggetto che realizza, a fini di uso privato, la riproduzione di un’opera protetta senza chiedere l’autorizzazione;

- ciò nonostante, le difficoltà pratiche per individuare gli utenti privati e per obbligarli ad indennizzare i titolari del diritto per il pregiudizio loro arrecato nonché tenuto conto del fatto che il pregiudizio che può derivare da ogni utilizzazione privata, singolarmente considerata, può risultare minimo, consentono agli Stati membri di istituire un prelievo per copia privata a carico di coloro che dispongono di apparecchiature, dispositivi e supporti di riproduzione e che – di diritto o di fatto – mettono tali apparecchiature a disposizione dei soggetti privati ovvero rendono un servizio di riproduzione; secondo la Corte, infatti, la messa a disposizione degli utenti privati di apparecchiature idonee alla riproduzione costituisce la premessa di fatto affinché le persone fisiche possano ottenere copie private; i debitori del finanziamento, d’altro canto, potranno ripercuotere il costo del prelievo sugli utenti privati, perseguendosi in questo modo ugualmente il “giusto equilibrio tra gli interessi degli autori e quelli degli utenti degli oggetti protetti”;

- il sistema di finanziamento dell’equo compenso così strutturato si fonda unicamente sul presupposto che le apparecchiature, i dispositivi ed i supporti di riproduzione siano idonei ad essere utilizzati per la realizzazione di copie private potendo, quindi, causare un pregiudizio all’autore dell’opera protetta;

- non è invece necessario accertare che esse abbiano effettivamente realizzato delle copie private e quindi in concreto arrecato il pregiudizio, essendo sufficiente la loro potenzialità di riproduzione, potendo presumersi che le persone fisiche, disponendo di apparecchi idonei alla riproduzione, “ne usufruiscano integralmente, sfruttando tutte le funzioni associate alle apparecchiature e quindi arrecando un pregiudizio agli autori;”

- “la semplice capacità di tali apparecchiature e di tali dispositivi di realizzare copie è sufficiente a giustificare l’applicazione del prelievo per copie private” (il 35° Considerando della direttiva menziona, infatti, come criterio utile alla determinazione dell’equo compenso, quello del “pregiudizio eventuale”, che ricorre nella semplice messa a disposizione della persona fisica di apparecchiature idonee alla riproduzione per scopi privati;

- il compenso spetta per gli apparecchi, i dispositivi o i supporti messi a disposizione dei soli utenti privati e destinati ad un uso personale e non professionale.

Svolte queste brevi premesse, è possibile passare ad esaminare le censure di merito.

Con il terzo mezzo di gravame in sostanza la ricorrente denuncia l’indebita estensione del prelievo per l’equo compenso anche ai cd. apparecchi “polifunzionali”, cioè quelli che pur potendo essere utilizzati anche per la registrazione di contenuti diversi da fono-videogrammi (quali dispositivi di telefonia mobile e PC), avrebbero finalità principali ben diverse, in violazione della normativa di riferimento, sia di fonte comunitaria - che impone invece di tener conto “della peculiarità di ciascun caso” e di escludere le situazioni in cui “il danno per il titolare dei diritti sarebbe minimo” – sia nazionale che presuppone la “destinazione” del prodotto alla registrazione di fono-videogrammi, che è riferita alla “finalità di registrazione tipica” dell’apparecchio, che è qualcosa di più e di diverso della mera idoneità dello stesso di essere, eventualmente ed occasionalmente utilizzato per la registrazione di videogrammi e fotogrammi. Per le medesime ragioni sarebbe illegittimo l’assoggettamento a compenso di apparecchi destinati ad uso professionale in cui non vi è evidentemente alcuna corrispondenza tra l’equo compenso e l’effettuazione della copia privata che è il presupposto logico dell’imposizione.

Rileva il Collegio che, come si è già detto a proposito del rispetto della riserva di legge ex art. 23 Cost., l’assoggettamento degli apparecchi polifunzionali – compresi computers e cellulari – al compenso trova il proprio fondamento nella previsione contenuta nell’art. 5.2.b) della direttiva secondo cui sono assoggettate ad equo compenso “le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali” e, dunque, su qualunque apparecchio o supporto idoneo alla riproduzione di copie private.

A livello nazionale, l’assoggettamento degli apparecchi polifunzionali al compenso trova il suo fondamento nell’art. 71 septies della L. 633/41 che espressamente prevede tale fattispecie (apparecchi polifunzionali e, cioè, quegli apparecchi che pur non essendo dedicati in modo diretto alla riproduzione di fonogrammi o videogrammi, nondimeno lo consentono).

La Corte di Giustizia – nella sentenza sopra riportata - ha poi chiarito che per l’assoggettamento al compenso non occorre che i dispositivi vengano in concreto utilizzati per la riproduzione delle opere dell’ingegno, essendo sufficiente la loro “possibile utilizzazione”, essendo presumibile che le persone fisiche beneficino della messa a disposizione di tutte le funzioni associate alle apparecchiature, ivi comprese quelle di riproduzione. Ne consegue che la semplice capacità di tali apparecchiature o di tali dispositivi di realizzare copie è sufficiente a giustificare l’applicazione del prelievo per copie private, tenuto conto che il 35° Considerando della direttiva menziona quale criterio utile ai fini della determinazione dell’equo compenso, non il pregiudizio in quanto tale, bensì il pregiudizio eventuale. Dal punto di vista dell’autore, quindi, ciò che rileva è la semplice “possibilità” per l’utente finale di visionare le opere diffuse mediante apparecchi elettronici messi a loro disposizione e non l’effettivo accesso dello stesso alle opere (Corte di Giustizia, sent. 7 dicembre 2006, causa C-306/05, SGAE, Racc. pag. I-11519, punti 43 e 44).

Né può rilevare in questo quadro la circostanza, sottolineata dalla ricorrente, che alcuni apparecchi – tra cui quelli telefonici ed i computers - siano solo in via residuale e marginale utilizzati per la copia e riproduzione di materiali audio-video. Quello che conta, infatti, - come si è detto - per poter prevedere in questi casi il pagamento dell’equo compenso, è unicamente che il dispositivo sia idoneo alla riproduzione di fono e videogrammi, ma non anche che esso sia, in concreto, utilizzato a questi fini.

D’altra parte, nemmeno può ragionevolmente assumersi che la possibilità di visionare le opere diffuse in rete mediante tali apparecchi elettronici sia in grado di arrecare un “danno minimo” ai titolari dei diritti (Considerando 35) tale da non dover essere considerato indennizzabile. La sentenza Padawan (punto 46) ha, infatti, sia pure indirettamente affermato che solo la singola utilizzazione privata, individualmente considerata, potrebbe arrecare un pregiudizio minimo, ma non anche quando il fenomeno sia diffuso o reiterato e si tratti quindi di una pluralità di utilizzazioni private, per le quali si ravvisa appunto la necessità del pagamento di un equo compenso. Pertanto, il citato Considerando 35 della direttiva non consente, come vorrebbe la ricorrente, di escludere dal novero delle ipotesi atte a determinare l’insorge dell’indennizzo per copia privata gli apparecchi polifunzionali in base al loro effettivo utilizzo secondo le preferenze dei consumatori, in quanto quest’ultimo elemento non elimina l’attitudine di tali mezzi ad essere utilizzati a fine di riproduzione di copia privata.

Quanto alla questione del c.d. uso professionale, osserva il Collegio che nella sentenza “Padawan” la Corte di Giustizia ha chiaramente affermato che “è necessario un collegamento tra l’applicazione del prelievo destinato a finanziare l’equo compenso con riguardo alle apparecchiature, ai dispositivi nonché ai supporti di riproduzione digitale ed il presunto uso di questi ultimi a fini di riproduzione privata. Conseguentemente, l’applicazione indiscriminata del prelievo per copie private, segnatamente nei confronti di apparecchiature, dispositivi nonché di supporti di riproduzione digitale non messi a disposizione di utenti privati e manifestamente riservati ad uso diversi dalla realizzazione di copie ad uso privato, non risulta conforme con la direttiva 2001/29”.

Secondo la ricorrente il decreto impugnato, non contenendo l’espressa previsione dell’esclusione del compenso nel caso di apparecchi e supporti non destinati all’utenza privata, ma destinati ad uso professionale, sarebbe illegittimo per contrasto con la normativa comunitaria.

La doglianza non può essere condivisa.

L’art. 5, comma 2, della Direttiva stabilisce - con riferimento alle eccezioni o limitazioni al diritto di autore - che “Gli Stati membri hanno la facoltà di disporre eccezioni o limitazioni al diritto di riproduzione di cui all'articolo 2 per quanto riguarda: ….le riproduzioni su qualsiasi supporto effettuate da una persona fisica per uso privato e per fini né direttamente, né indirettamente commerciali a condizione che i titolari dei diritti ricevano un equo compenso che tenga conto dell'applicazione o meno delle misure tecnologiche di cui all'articolo 6 all'opera o agli altri materiali interessati” (art. 5, comma 2, lett. b).

La direttiva comunitaria n. 2001/09 è stata recepita in sede nazionale con l’emanazione del D.Lgs. 30 aprile 2003 n. 68 che novellato la L. n. 633/41 che disciplina il diritto di autore. Stabilisce l’art. 71-sexies, comma 1, che: “È consentita la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali, nel rispetto delle misure tecnologiche di cui all'articolo 102-quater”.

Dunque, i presupposti normativi in tema di equo compenso sono individuati dal legislatore nei seguenti caratteri: - riproduzione effettuata da una persona fisica; - per un uso privato; - per finalità non direttamente né indirettamente commerciali.

L'applicazione indiscriminata del prelievo per copie private anche con riferimento all'ipotesi in cui gli apparati siano stati acquistati da soggetti diversi da persone fisiche (ovvero anche da persone fisiche ma) a fini manifestamente estranei a quelli della realizzazione di copie private, risulterebbe in contrasto sia con quanto disposto dall'art. 5, n. 2, della direttiva 2001/29 che con la lettera dell’art. 71 septies.

Occorre rilevare, infatti, come risulti in ogni caso necessario un collegamento tra l'applicazione dell'equo compenso con riguardo alle apparecchiature, ai dispositivi nonché ai supporti di riproduzione digitale ed il presunto uso di questi ultimi a fini di riproduzione privata.

Sul punto, è stata chiara la sentenza Padawan della Corte di giustizia, la quale ha affermato che il compenso spetta per gli apparecchi, i dispositivi o i supporti messi a disposizione dei soli utenti privati e destinati ad un uso personale e non professionale.

Considerati tali presupposti, il Collegio ritiene non difforme dalla richiamata normativa il disposto di cui all’art. 4 del D.M. oggetto di impugnazione, che testualmente dispone che “La Società italiana degli Autori ed Editori (S.I.A.E.) promuove protocolli per una più efficace applicazione delle presenti disposizioni, anche al fine di praticare esenzioni oggettive o soggettive, come, a titolo esemplificativo, nei casi di uso professionale di apparecchi o supporti ovvero per taluni apparati per videogiochi. Detti protocolli applicativi sono adottati in accordo con i soggetti obbligati alla corresponsione del compenso per copia privata o con loro associazioni di categoria. Sino all’adozione dei protocolli di cui al comma 1, restano in vigore gli accordi previgenti alle presenti disposizioni”.

La disciplina contenuta nel decreto impugnato, infatti, in linea con le disposizioni del diritto comunitario e nazionale, non impone alcuna prestazione patrimoniale con riguardo all’uso professionale del prodotto ma, al contrario, stabilisce espressamente la necessità di prevedere esenzioni con riguardo all’uso professionale dell’apparecchio.

Sotto tale profilo, come si è già detto, il D.M. impugnato rinvia alla stipulazione di appositi protocolli l’intera disciplina delle esenzioni oggettive e soggettive prevedendo espressamente che “sino all’adozione dei protocolli di cui al comma 1, restano in vigore gli accordi previgenti alle presenti disposizioni” in ciò confermando l’applicabilità - alla fattispecie dell’uso professionale – della disciplina in vigore al momento dell’emanazione dell’impugnato decreto.

Pertanto, la mancata stipulazione dei protocolli non potrebbe in ogni caso comportare alcun pagamento dell’equo compenso relativamente all’uso professionale dovendosi comunque applicare – fino al momento della stipulazione dei protocolli – la disciplina concordata previgente all’emanazione del decreto oggetto di impugnazione.

Le disposizioni in tema di uso professionale, dunque, si pongono pienamente in linea con la normativa comunitaria e nazionale e, sotto tale profilo, così come rilevato nella nota del Ministero per i beni e le attività culturali, risultano sottoscritti già molti protocolli aventi ad oggetto le esenzioni oggettive e soggettive dal pagamento dell’equo compenso: - Protocollo applicativo del 28 febbraio 2011 con l’AESVI (Associazione Editori Software Videoludico Italiana) che ha rinnovato un precedente protocollo relativo alle “consolle da videogioco”; - Protocollo applicativo del 19 aprile 2011 con l’impresa REPLIC S.r.l. relativo alla categoria delle imprese distributrici di supporti vergini (CD-R e DVD-R) iscritte nel registro dei fabbricanti presso il Ministero della Salute per l’esenzione dei suddetti supporti dal pagamento dell’equo compenso attesa la natura professionale dell’attività cui sono destinati e la conseguente impossibilità di uso degli stessi supporti ai fini di una copia privata; - Protocollo applicativo del 18 aprile 2011 con l’impresa SIRI S.p.a. relativo alla categoria delle imprese distributrici di supporti vergini (CD-R e DVD-R) iscritte nel registro dei fabbricanti presso il Ministero della Salute per l’esenzione dei suddetti supporti dal pagamento dell’equo compenso attesa la natura professionale dell’attività cui sono destinati e la conseguente impossibilità di uso degli stessi supporti ai fini di una copia privata; - Protocollo applicativo del 15 aprile 2011 con l’impresa LINKVERSE S.r.l. relativo alla categoria delle imprese distributrici di supporti vergini (CD-R e DVD-R) iscritte nel registro dei fabbricanti presso il Ministero della Salute per l’esenzione dei suddetti supporti dal pagamento dell’equo compenso attesa la natura professionale dell’attività cui sono destinati e la conseguente impossibilità di uso degli stessi supporti ai fini di una copia privata.

Ne consegue che deve essere respinto sia il terzo motivo sia la correlata la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia non sussistendo dubbi sull’interpretazione della disciplina comunitaria, dopo la pubblicazione della sentenza “Padawan” sopra riportata.

Vanno del pari respinte le censure dedotte con il quarto mezzo di gravame ove si denunciano vizi procedimentali del decreto impugnato sotto il profilo dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria e travisamento dei presupposti conseguenti all’aver affidato l’individuazione del livello di utilizzo dei prodotti da parte dei consumatori proprio alla SIAE – che si troverebbe in un chiarissimo conflitto di interessi poiché essa rappresenta gli interessi di parti coinvolte dal provvedimento – in violazione del principio di imparzialità, che ha determinato anche un difetto di istruttoria nella determinazione del quantum dell’equo compenso, in quanto la SIAE ha ignorato le osservazioni delle associazioni dei produttori e dei consumatori nell’ambito del Comitato consultivo permanente, predisponendo un documento su cui il Ministero si sarebbe poi “appiattito”; ugualmente frutto di difetto di istruttoria e di travisamento dei presupposti la mancata considerazione, nella determinazione del compenso, delle misure di protezione; nonché dell’esclusione di casi in cui i titolari abbiano già ricevuto un corrispettivo per l’utilizzazione dell’opera.

La doglianza va disattesa.

Alcuna illegittimità può ravvisarsi nell’aver il Ministero affidato i compiti istruttori in questione all’Ente istituzionalmente competente in materia, che può svolgere, oltre che attività gestionali, ma anche di studio, direttamente o avvalendosi di consulenti esterni, ove richieste competenze tecniche specialistiche; né può condividersi la denunciata “mancanza di imparzialità” della SIAE – che, va ricordato, non è la precettrice finale delle somme corrisposte a titolo di compenso per copia privata, essendo invece tenuta ai sensi dell’art. 71 octies comma 2 solo a percepirlo per poi ripartirlo, al netto delle spese, tra gli autori ed i produttori delle opere protette – non essendo l’onerosità del predetto servizio, reso dall’istituto, una circostanza atta a qualificare la propria attività come svolta nel suo particolare “interesse” anziché nell’interesse pubblico istituzionalmente affidato alle sue cure. Tantomeno ciò ha determinato la carenza di istruttoria e l’appiattimento denunciate.

Come evidenziato dalla documentazione depositata in atti e, in particolare, dalla Relazione illustrativa al D.M. impugnato, la determinazione del quantum dell’equo compenso è stata preceduta da un’approfondita istruttoria, effettuata anche per il tramite del parere del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore e la consultazione dei rappresentanti delle associazioni dei titolari dei diritti e i rappresentanti delle associazioni dei produttori di supporti e apparecchi nonché dei consumatori, rappresentati dal Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti [si veda la Relazione illustrativa alle pagg. 4-5 “Nel corso dell’audizione del 10 dicembre 2009, svoltasi presso la sede del Ministero per i beni e le attività culturali, in particolare, i rappresentanti delle associazioni intervenute hanno ribadito le posizioni espresse già nel corso delle audizioni svolte dal Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore, nel periodo giugno/settembre 2009. Nello specifico, i titolari dei diritti (percettori del compenso) hanno evidenziato la necessità di adottare, quanto prima, il decreto ministeriale di determinazione del compenso per ‘copia privata’ anche alla luce del fatto che, a causa del protrarsi del regime transitorio introdotto dal decreto legislativo n. 68 del 2003, l’industria culturale del nostro Paese è stata costretta a subire, per circa cinque anni, un notevole pregiudizio economico. I rappresentanti delle associazioni di categoria maggiormente rappresentative dei produttori di supporti e di apparecchi hanno espresso una posizione di segno opposto, specie con riferimento all’inclusione tra gli apparati soggetti all’equo compenso di telefoni cellulari, di decoder, di computer e game console, ritenuti apparecchi non specificamente dedicati alla registrazione e memorizzazione di contenuti. Tali associazioni hanno, inoltre, criticato la proposta di adozione del criterio della capacità di memoria dei supporti per la determinazione del compenso (in quanto criterio ritenuto meno efficace rispetto a quello della percentuale sul prezzo di vendita) e hanno segnalato la necessità di escludere dal pagamento del compenso per copia privata prodotti ed apparecchi di uso strettamente professionale (cd. business use) da parte di privati e della Pubblica Amministrazione. Preoccupazione è stata espressa da tutte le imprese produttrici di supporti e apparecchi incisi dal compenso per copia privata per l’andamento economico del mercato e per la rilevante perdita di fatturato delle industrie del settore. Analoghe considerazioni sono state espresse dal rappresentante del Consiglio Nazionale dei Consumatori e degli Utenti, unitamente alla preoccupazione che tale compenso possa gravare indirettamente sui consumatori. Sulla base degli elementi informativi acquisiti nel corso dell’audizione del 10 dicembre 2009 e del parere reso dal Comitato permanente per il diritto d’autore in data 15 ottobre 2009, il Ministero per i beni e le attività culturali ha inteso, con il presente decreto, provvedere alla rideterminazione delle tariffe del compenso per copia privata, sulla base dei criteri dettati dalla legge e dell’esigenza di interesse pubblico di assicurare un equilibrato contemperamento tra le opposte esigenze rappresentate dagli esponenti delle categorie interessate, tenendo dunque conto, in particolare: 1) dell’apposizione, sulle opere protette dal diritto d’autore, delle misure tecnologiche di protezione di cui all’art. 102-quater della legge n. 633/1941; 2) della diversa incidenza della copia digitale rispetto alla copia analogica; 3) del confronto tra il sistema normativo-tariffario italiano e quelli dei principali Paesi e mercati europei ed, in particolare, di Francia, Germania, Spagna; 4) della capacità di memoria dei supporti di registrazione audio e video, che costituisce lo strumento di parametrazione del compenso più diffuso nei Paesi di area Euro; 5) della circostanza che il compenso in questione deve remunerare solo la successiva copia privata di un’opera e non la prima fissazione di contenuti, per i quali è stato corrisposto il diritto esclusivo di riproduzione; 6) del livello di utilizzo del prodotto da parte del consumatore finale per la copia privata di opere protette, sulla base degli studi commissionati dalla SIAE alle società G.P.F. e G.F.K.; 7) dell’onere che grava sul prezzo finale dei prodotti incisi in ragione della applicazione del compenso per ‘copia privata’; 8) più in generale, della necessità di realizzare un equo contemperamento di tutti gli interessi coinvolti e rappresentati dagli operatori dei settori interessati ed auditi”].

Dalla documentazione depositata pertanto emerge come l’istruttoria effettuata dall’Amministrazione risulti adeguatamente approfondita - essendo state effettuate tramite società esperte nel settore indagini di mercato per acquisire informazioni – necessarie per la fissazione del compenso per le singole categorie di prodotti - relative alle abitudini dei consumatori italiani in materia di riproduzione delle opere dell’ingegno protette, tenendo conto anche della singola tipologia di apparecchio o supporto del quale si avvalgono per la riproduzione (cfr. studio G.P.F. depositato in giudizio sia dalle ricorrenti che dalla SIAE), mentre la società G.F.K. ha provveduto alla rilevazione dei dati di vendita dei prodotti idonei alla riproduzione privata sia in termini quantitativi che economici; nonché analisi economiche ed indagini comparative delle diverse normative vigenti in altri paesi dell’Unione (analisi di mercato svolte dalla società G.P.F. e G.F.K., dati pubblicati dalla società olandese Thuiskopie e relative ai compensi fissati in diversi paesi europei, analisi economica svolta dalla società Econlaw per conto del GESAC – Groupement Europeen des Societes d’auteurs et compositeurs.

La determinazione dell’equo compenso è stata perciò effettuata a seguito di un’approfondita attività istruttoria sulle dimensioni e gli effetti del fenomeno oggetto di disciplina – tenendo conto peraltro del fatto che l’individuazione del pregiudizio non può che essere prognostica, in quanto non è possibile stabilire con certezza l’entità dell’effettivo danno derivante dalla copia privata, e che il pregiudizio per poter essere remunerato, non deve essere certo, ma anche meramente eventuale come chiarito nella sentenza “Padawan” sopra richiamata) - in un procedimento al quale hanno partecipato tutte le categorie interessate, comprese quelle incise dal provvedimento, e dopo un’adeguata ponderazione degli opposti interessi, tenendo conto anche dell’esigenza di uniformità della normativa nazionale con quella degli altri Pesi europei (al riguardo va ricordato che i compensi per l’utilizzo dei diritti d’autore in Italia sono notoriamente superiori rispetto a quelli stabiliti negli altri Stati membri, come evidenziato anche negli studi della Commissione la quale, in base all’orientamento della Corte di Giustizia, ritiene che l’aliquota elevata del compenso per l’utilizzo dell’opera d’ingegno possa trovare giustificazione nel livello tradizionalmente elevato della tutela assicurata dal diritto d’autore in uno Stato).

Ne consegue che dall’eventuale ripetizione del procedimento a seguito dell’eventuale accoglimento dei vizi procedimentali denunciati la ricorrente potrebbe addirittura conseguire uno svantaggio in quanto l’equo compenso potrebbe magari finire per essere determinato in misura maggiore rispetto a quella oggetto di contestazione, come ad esempio per i cellulari, tenuto conto che l’entità del compenso è contenuta in 0,90 centesimi (sostanzialmente pari al costo del download di una sola canzone, come precisato al punto p. 28 dell’ultima memoria della ricorrente), che è inferiore rispetto ad altri Paesi (es. alla Francia ove varia da un range da 1 a 20 euro a seconda della memoria).

Alla luce di quanto sopra evidenziato se ne deve concludere l’insussistenza dei denunciati vizi procedimentali, avendo il Ministero , prima di adottare il provvedimento impugnato, effettuato adeguata attività istruttoria, acquisito e valutato tutti gli interessi in gioco, giungendo, nell’esercizio dei propri poteri di discrezionalità tecnica, alla rideterminazione delle tariffe del compenso per copia privata, sulla base dei criteri dettati dalla legge e dell’esigenza di interesse pubblico di assicurare un equilibrato contemperamento tra le opposte esigenze rappresentate dagli esponenti delle categorie interessate, fissando il livello di compenso, per le diverse categorie, secondo una misura che, relativamente a quelle contestate dalla ricorrente, non appare irragionevole.

Ugualmente va disattesa la censura in esame nella parte in cui denuncia l’omessa considerazione delle misure di protezione (DRM - Digital Rights Management- "gestione dei diritti digitali" ).

L’art. 102 quater le definisce come: “misure tecnologiche di protezione efficaci che comprendono tutte le tecnologie, i dispositivi o i componenti che, nel normale corso del loro funzionamento, sono destinati a impedire o limitare atti non autorizzati dai titolari dei diritti”, precisando tuttavia che “sono considerate efficaci nel caso in cui l'uso dell' opera o del materiale protetto sia controllato dai titolari tramite l' applicazione di un dispositivo di accesso o di un procedimento di protezione, quale la cifratura, la distorsione o qualsiasi altra trasformazione dell' opera o del materiale protetto, ovvero sia limitato mediante un meccanismo di controllo delle copie che realizzi l' obiettivo di protezione.”

L’art. 71 septies, comma 1, espressamente prevede che la copia privata è consentita “nel rispetto delle misure tecnologiche di cui all' articolo 102-quater”; il comma 3, inoltre, ribadisce la limitazione, disponendo che il diritto di copia privata “non si applica alle opere o ai materiali protetti messi a disposizione del pubblico in modo che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente, quando l'opera è protetta dalle misure tecnologiche di cui all' articolo 102-quater ovvero quando l'accesso è consentito sulla base di accordi contrattuali.”

Al riguardo va rilevato che in tali circostanze o la riproduzione è impossibile o se la misura di protezione non è efficace e viene ad essere violata, si incorre nell’illecita elusione delle misure tecniche di protezione. Tuttavia va per completezza riferito che, ai sensi del comma 4 dello stesso articolo, la presenza di misure tecniche di protezione non è di ostacolo alla legittima riproduzione per una copia priva, anche solo analogica, per uso personale, qualora la persona fisica abbia acquisito il possesso legittimo di esemplari dell'opera o del materiale protetto, ovvero vi abbia avuto accesso legittimo. In sostanza, dunque, è esclusa dall’ambito di applicazione dell’equo compenso l’ipotesi in cui l’opera sia protetta da misure tecniche di protezione, salvo che non si tratti della effettuazione di una sola copia privata, da parte una persona fisica, su esemplari dell'opera o del materiale protetto, dei quali abbia acquisito il possesso legittimo ovvero ai quali abbia avuto accesso legittimo.

Ora è evidente che, essendo, laddove efficace, la misura tecnica di protezione un ostacolo alla riproduzione dell’opera protetta dal diritto di autore, della diffusione e dell’efficacia di tali misure debba tenersi conto nella quantificazione dell’equo compenso. A questo proposito occorre rilevare che l’art. 5 n. 2 lett. b) della direttiva n. 2011/29/CE impone agli Stati membri che consentano la copia privata di tener conto dell’apposizione o meno delle misure tecniche di protezione, lasciando però ai singoli Stati la massima discrezionalità nello stabilire in che modo si debba tener conto delle misure tecniche stesse. Il principio è ribadito dal comma 2 dell’art. 71 septies in base al quale: “Per la determinazione del compenso si tiene conto dell'apposizione o meno delle misure tecnologiche di cui all' articolo 102-quater , (..)”.

Sostiene la ricorrente che il Ministero resistente non avrebbe ottemperato a tali prescrizioni, non avendo tenuto in sufficiente considerazione l’apposizione di misure tecniche di protezione.

La doglianza non può essere condivisa.

Dalla lettura della relazione illustrativa si evince infatti che il ministero ha tenuto in conto dell’apposizione, sulle opere protette dal diritto d’autore, delle misure tecnologiche di protezione di cui all’art. 102-quater della legge n. 633/1941, ma ha anche dato importanza alla circostanza che esse nel tempo hanno perso sostanziale rilevanza, poiché gli aventi diritto hanno rinunciato a servirsene in quanto rivelatesi sostanzialmente inefficaci ai fini della protezione delle opere e per di più foriere di ulteriori problematiche superiori a quelle per le quali erano stati predisposte (cfr. Relazione al decreto, nota a pag. 5).

Nella propria memoria la SIAE ha ribadito che l’incidenza delle misure tecniche di protezione è minima perché soltanto una piccola parte dei fotogrammi e videogrammi recano misure tecniche di protezione che impediscano la duplicazione delle opere, tenuto anche conto che dette opere vengono trasmesse via radio e via televisione e possono quindi essere facilmente riprodotte.

Pertanto, l’incidenza delle misure tecniche di protezione è talmente irrisoria da non poter incidere in modo significativo sulla riproduzione delle cosiddette copie private. In questo quadro i documenti menzionati dalla ricorrente (ad es. le risultanze delle consultazioni della Commissione europea del 2006), essendo piuttosto risalenti nel tempo, non paiono dirimenti e comunque idonei a sconfessare le conclusioni cui è giunto il Ministero circa la sempre minore rilevanza delle misure tecniche di protezione.

Pertanto, può ritenersi che, nella determinazione dell’equo compenso, l’apposizione delle misure tecniche di protezione, è stata valutata, anche se la loro incidenza è stata poi reputata solo marginale.

Il motivo di ricorso in esame va del pari disatteso nella parte ove si lamenta l’estensione del prelievo anche in ipotesi in cui i titolari dei diritti abbiano già ricevuto un corrispettivo, ad altro titolo, per una licenza (in particolare nel caso di acquisto di files audio-video tramite piattaforme telematiche o fornitura di servizi di TV satellitare o di intrattenimento via internet come Alice o Fastweb) che finirebbe per comportare una doppia imposizione per un’unica attività di riproduzione, in violazione del punto 35 del Considerando della direttiva; senza neppure considerare la rilevante presenza di networks in cui gli stessi autori immettono le loro opere a fini promozionali consentendone di effettuare gratuitamente una copia privata.

Anche relativamente a tale profilo non può ritenersi che la determinazione del quantum dell’equo compenso sia frutto di un’omessa considerazione dell’incidenza di tali licenze, solo che questa, anche alla luce dei volumi complessivi indicati nei documenti sopra richiamati, è stata ritenuta di limitata incidenza, proprio in relazione alle possibilità di duplicazione di opere protette offerte dall’evoluzione tecnologica dei sistemi di comunicazione e dalla circostanza – evidenziata dalla difesa della SIAE – che non è affatto certo che i files “scaricati” dalla rete internet abbiano già scontato la corresponsione dei diritti spettanti agli autori, essendo notorio che la maggior parte dei files vengono scaricati dalla rete gratuitamente (anche a prescindere da quelli immessi con finalità promozionali).

Si passa ad esaminare il quinto mezzo di gravame con cui si contesta il parametro adottato per la determinazione del compenso indicato dalla legge che si assume disatteso per gli apparecchi polifunzionali in quanto l’avrebbe commisurato alla capacità di memoria anziché al prezzo di un apparecchio di capacità equivalente.

La doglianza va disattesa.

L’art. 71 septies al comma 1 indica tre distinti parametri per la commisurazione del compenso correlate alla diverse categorie di prodotti soprammenzionati, prescrivendo che questo debba essere costituito: a) da “una quota del prezzo pagato dall'acquirente finale al rivenditore” per gli apparecchi esclusivamente destinati alla registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi; b) calcolato sul prezzo di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della “componente interna destinata alla registrazione” – ovvero, qualora ciò non fosse possibile, da un importo fisso - per gli apparecchi polifunzionali; c) ugualmente commisurato alla “capacità di registrazione” per i vari tipi di supporti di registrazione audio e video.

A ciò è stata data attuazione dall’impugnato DM del 30/12/09, che all’allegato tecnico riproduce la suddetta ripartizione, specificando all’art. 1 cosa debba intendersi per apparecchio monofunzionale o dedicato (lett.a); polifunzionale (lett.c), supporti (lett.f), in quest’ultimo caso precisando che sono tali tutte le tipologie di supporto (ottico, magnetico, digitale) “idoneo alla funzione di registrazione analogica o digitale di fonogrammi o videogrammi”, ivi incluse memorie ed hard disk, siano esse di tipo “fisso” (cioè costituiscano parte integrata nell’apparecchio di riproduzione) oppure di tipo “mobile” (cioè siano rimovibili e utilizzabili su altro dispositivo).

Nel successivo art. 2 stabilisce la misura del compenso in contestazione nel rispetto della tripartizione indicata dalla fonte di livello primario sopramenzionata, che viene così determinato:

a) per gli apparecchi idonei alla registrazione analogica o digitale, audio e video ed ai masterizzatori di supporti il compenso è pari al 5% del prezzo indicato nella documentazione fiscale; per i masterizzatori inseriti in apparecchi polifunzionali il compenso è invece pari al 5% del prezzo commerciale di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti (art. 2, comma 1, lett. n) dell’Allegato tecnico al decreto);

b) per gli apparecchi polifunzionali idonei alla registrazione analogica o digitale audio e video con funzioni ulteriori rispetto a quella di registrazione, il compenso è del 5% del prezzo commerciale di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione (art. 2, comma 1, lett. n-bis dell’Allegato Tecnico);

Secondo la ricorrente con la previsione di cui alla lett. b) in tal modo il criterio di determinazione del compenso previsto dalla legge per gli apparecchi polifunzionali - e cioè quello basato sulla percentuale del prezzo di un apparecchio con pari capacità di registrazione – è stato disapplicato e sostituito dal criterio per la determinazione del compenso relativo ai supporti (che costituisce invece oggetto di un’analitica specificazione operata dall’art. 2, comma 1, dell’Allegato Tecnico).

La prospettazione attorea, sebbene abilmente prospettata, non può essere condivisa.

Va innanzitutto rilevato che l’art.71 septies L. n. 633/1941 con riferimento agli apparecchi polifunzionali indica due tipi di parametri, uno principale, consistente nella “quota del prezzo ….di un apparecchio avente caratteristiche equivalenti a quelle della componente interna destinata alla registrazione” e uno secondario, prevedendo che “qualora ciò non fosse possibile, da un importo fisso”. Come rappresentato nella Relazione illustrativa al D.M. impugnato pag. 8 “Taluni scostamenti degli importi stabiliti nell’Allegato tecnico di cui al presente decreto, rispetto alle indicazioni contenute nella suddetta istruttoria del Comitato permanente, si giustificano, in linea generale, sia in una logica di equo contemperamento dei diversi interessi in campo, sia alla luce delle considerazioni svolte dalle associazioni di categoria in data 10 dicembre 2009 (…) Si è altresì provveduto, sempre in quest’ottica, più in particolare, a riconsiderare per alcune tipologie di prodotti – come i dispositivi di telefonia mobile e i computer – in ragione delle peculiari caratteristiche (cd. ‘ibride’) che li connotano, le modalità di determinazione del compenso proposto dal Comitato, con la previsione di un importo fisso in luogo del criterio inizialmente previsto della capacità di registrazione (trattandosi, deve evidenziarsi, di prodotti che possono essere qualificati, agli effetti della presente normativa, tanto come apparecchi, quanto come supporti)”].

Per quanto riguarda la commisurazione del compenso alla capacità di registrazione della memoria fissa contenuta negli altri apparecchi polifunzionali che presentano tutta una serie di funzioni diverse non direttamente connesse alla riproduzione di opere protette dal diritto di autore (macchina fotografica, videocamera, e così via) il riferimento alla capacità di memoria trova adeguato fondamento nella ratio della normativa in esame – che è chiara nella finalità sebbene questa non si rifletta adeguatamente nella formulazione testuale della disposizione in esame – e scaturita da considerazioni di carattere oggettivo ricollegabili alla natura del prodotto (oltre che dalle esigenza di uniformità della normativa nazionale con quella degli altri Pesi europei).

Da un lato l’assoggettamento a compenso in proporzione della capacità di memoria , sebbene l’ampiezza della memoria dipenda anche dalla possibilità della fruizione di funzioni che nulla hanno a che vedere con la copia privata, parrebbe non trovare fondamento normativo nell’art. 71 citato, dall’altro lato, tuttavia, il parametro in contestazione non è del tutto illogico ove si consideri che, soprattutto i prodotti più evoluti vengono utilizzati per la riproduzione di audio e videogrammi in maniera significativa e pertanto l’adozione della capacità di memoria quale parametro di determinazione del quantum risponde a quell’esigenza di commisurazione del compenso al fine del ristoro per il pregiudizio arrecato ai titolari dei diritti di autore che costituisce appunto la ratio della normativa in esame. Tanto più ove si consideri che l’adozione dell’opposto criterio del prezzo di prodotto avente medesima capacità avrebbe comportato, esso sì, risultati incongrui, in quanto, a parità di memoria, il prezzo degli apparecchi monofunzionali può variare in misura più o meno ampia in ragione di diversi fattori (marca, estetica, etc.) che non hanno attinenza con la minore o maggiore possibilità di utilizzo a fini di copia privata, che invece aumenta, anche nei prodotti polifunzionali, in modo proporzionale con l’aumentare della capacità di memoria.

Né meritano condivisione le preoccupazioni che in tale modo possa essere ostacolata l’evoluzione tecnologia del settore, in quanto proprio con riferimento ai supporti non ancora esistenti sul mercato di cui alla lett. x) dell’Allegato tecnico, sono stati previsti – a parità di memoria con riferimento alle precedenti categorie – compensi più bassi.

Deve essere infine esaminato l’ultimo motivo di ricorso con il quale la ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione dei principi comunitari in materia di libera circolazione delle merci, concorrenza e divieto di aiuti di stato.

Occorre innanzitutto rilevare che le considerazioni svolge in precedenza consentono di respingere il primo profilo del sesto motivo, diretto a sostenere la non conformità del decreto impugnato alla Direttiva 2001/29/CE per quanto concerne “i danni minimi” (lett. a), “la doppia imposizione” (lett. b) e “le misure tecniche di protezione” (lett. c) (pag. 37 del ricorso).

Deve essere preventivamente esaminato il profilo relativo all’ostacolo alla libera circolazione delle merci e all’abuso di posizione dominante.

Com’è noto la proprietà industriale e intellettuale, tra cui anche la tutela del diritto d’autore, rientra nel campo di applicazione delle disposizioni relative alla libera concorrenza di cui agli artt. 85 e 86 TCEE, nella misura in cui può dar luogo a intese o allo sfruttamento abusivo di una posizione dominante.

L’art. 106 TFUE (ex 86 Tcee), prevede che “1. Gli Stati membri non emanano né mantengono, nei confronti delle imprese pubbliche e delle imprese cui riconoscono diritti speciali o esclusivi, alcuna misura contraria alle norme dei trattati, specialmente a quelle contemplate dagli articoli 18 e da 101 a 109 inclusi” ribadendo la necessità che anche detti istituti rispettino i principi di libertà di circolazione (lavoratori, merci, servizi, capitali) oltre che le regole di concorrenza.

La violazione di detta disposizione viene solitamente dedotta in combinato disposto con altre norme comunitarie, in particolare con l’art. 102.

La mera attribuzione da parte del legislatore italiano di un monopolio legale alla SIAE cui è attribuita in via esclusiva l'attività di gestione collettiva dei diritti d’autore non è di per sé incompatibile con l'art. 86 del trattato Ce (ora 102 TFUE), in quanto quel che determina l’incompatibilità non è tanto il fatto di creare una posizione dominante in capo ad un soggetto mediante la concessione di diritti speciali o esclusivi, piuttosto il fatto che esso possa, in virtù di dette prerogative, sfruttare abusivamente la sua posizione dominante sul mercato, consentendo l’imposizione di condizioni senza che queste risultino “l'unico comprovato e possibile mezzo per conseguire le finalità istituzionali dell'ente”, secondo l’orientamento ormai consolidato dei giudici comunitari.

Il decreto impugnato, nella parte in cui fissa la misura del compenso oggetto di contestazione estendendolo anche a prodotti non destinati prevalentemente alla riproduzione di opere protette, con la conseguenza, tra l’altro, di avvantaggiare un settore produttivo (impresa audiovisiva) in danno al comparto ad esso collegato (produttori di supporti e apparecchi destinati alla fruizione di contenuti protetti da diritto di autore), non costituisce un comportamento qualificabile in termini di abuso di posizione dominante.

Al riguardo la SIAE eccepisce che la ricorrente non ha allegato né comprovato gli elementi di fatto per dimostrare la ricorrenza della fattispecie contestata. Non è infatti stato adeguatamente comprovato che le “tariffe” applicate a prodotti con diverse caratteristiche riproduttive – che a dire delle ricorrenti determinerebbero un indebito svantaggio del settore dei produttori di tali strumenti rispetto a quello degli autori e dei produttori delle opere – costituiscano compensi eccessivamente gravosi e “non equi” rispetto alla perdita subita dai titolari dei diritti d’autore e quindi esorbitanti rispetto alla necessità di compensare questi ultimi, almeno in parte, per la copia privata effettuata di tali opere. Non risulta infatti dimostrato che la misura di detto compenso sia superiore a quello spettante ai suoi associati e possa in tal modo costituire un vantaggio non dovuto, mentre, come già ricordato in precedenza, la resistente e soprattutto l’ANICA hanno rappresentato che si tratta di cifre ben al di sotto di quelle fissate da altri Paesi europei, quest’ultima denunciando la misura meramente simbolica del compenso che comprometterebbe addirittura eccessivamente gli interessi degli imprenditori nel settore cinematografico ed audiovisivo associate.

Va peraltro ribadito che tale compenso non è riservato ai soli associati nazionali, atteso che la S.I.A.E. ha concluso accordi con le società di gestione degli altri paesi aderenti all’Unione Europea per il coordinamento delle attività sul territorio di rispettiva competenza al fine del perseguimento di tali fini istituzionali. In conclusione, non risulta che le condizioni imposte dalla SIAE siano diverse ed estranee rispetto a quelle necessarie “per conseguire le finalità istituzionali dell'ente” oppure vadano oltre quanto necessario per il raggiungimento di questo, tanto più considerato il rilievo prioritario attribuito dal legislatore comunitario all’esigenza di un elevato grado di protezione dei destinatari dei servizi gestiti dalla SIAE, tutelati appunto mediante il riconoscimento dell’equo compenso in questione, né può sussistere da parte della SIAE l’abuso di posizione dominante tenuto conto che la SIAE non agisce in qualità di rappresentante degli associati, bensì secondo una funzione pubblicistica di raccolta e ripartizione del compenso, il quale è stato predeterminato negli elementi essenziali dallo stesso Legislatore.

Ritiene il Collegio che anche le censure con cui si lamenta il contrasto della misura in esame con i principi di libertà di circolazione delle merci posti a fondamento del diritto del mercato comunitario siano infondate.

Nella memoria del 10 giugno 2011 la ricorrente invoca, a sostegno della censura, una risalente decisione della Corte di Giustizia contro una società di gestione dei diritti di autori tedesca (Corte giustizia CE, 20 gennaio 1981 , n. 55), ove afferma che i supporti di suono anche se incorporano opere musicali protette, costituiscono dei prodotti ai quali si applica il regime di libera circolazione delle merci previsto dal Trattato di Roma di cui agli artt. 30 e 36 trattato C.E.E, che ostano all'applicazione di una legge nazionale che consenta ad una società per la gestione di diritti d'autore di invocare tali diritti per riscuotere un prelievo sui prodotti importati da altro Stato membro in cui siano stati messi in circolazione dai titolari dei diritti d'autore col loro consenso “e di porre in essere, in tal modo, una compartimentazione del mercato comune”, evidenziando che una legge nazionale “che abbia il risultato di impedire il commercio dei supporti del suono va considerata come misura d’effetto equivalente ad una restrizione quantitativa ex art. 30 TUE”.

Problematiche analoghe a quelle prospettate dalla ricorrente sono state analizzate e risolte sin dalla prima introduzione dell’equo compenso ad opera della legge n. 93 del 1992, proprio tenendo conto dell’apposita previsione dell’art. 36 in questione, che, appunto, include la "tutela della proprietà industriale e commerciale" – nozione che si estende a tutti i diritti di proprietà industriale o intellettuale e segnatamente ai diritti d'autore, ai brevetti, ai marchi, ai disegni e ai modelli, nonché alle denominazioni d'origine - tra i motivi per cui è possibile derogare alla libera circolazione delle merci.

In tale prospettiva, e già prima dei timidi tentativi di parziale armonizzazione, era già stato ritenuto che gli artt. 30 e 36 del trattato CEE dovessero essere interpretati nel senso di non essere di ostacolo all'applicazione di una legislazione nazionale che permetta ad una società nazionale di gestione di diritti di autore di percepire un “compenso complementare” rispetto al diritto di esecuzione anche quando tale diritto complementare non sia previsto nello Stato membro i relativi prodotti sono commercializzati. E’ stato perciò ritenuta ammissibile la riscossione di un compenso complementare di riproduzione meccanica: “anche supponendo che possa avere un effetto restrittivo sulle importazioni, non rientra nell’ambito delle misure di effetto equivalente vietate dall’art. 30 del trattato, in quanto va considerata come lo sfruttamento normale di un diritto d’autore” (Corte giustizia CE, 09 aprile 1987 su causa C 402/85).

E la particolare esigenza di tutela del diritto d’autore ha costituito oggetto di studio e di valutazione nel Libro verde del Giugno 1988 in cui si disegnava un’evoluzione del diritto comunitario nel senso dell’armonizzazione, anziché dell’eliminazione, delle legislazioni nazionali di protezione di opere soggette a copyright, azione culminata, tra l’altro, nella direttiva 92/100 del 19 novembre 1992, concernente il diritto di noleggio, il diritto di prestito; n. 93/83 del 27 settembre 1993, in materia di radiodiffusione via satellite e di ritrasmissione via cavo; n. 93/98 del Consiglio, del 29 ottobre 1993, concernente l'armonizzazione della durata di protezione del diritto d'autore e di alcuni diritti connessi; nonché nella direttiva che ha determinato l’adozione del decreto in contestazione.

In tale ottica, anche con riguardo alla legge n. 92/93 la giurisprudenza allora aveva già escluso che il prelievo in questione potesse essere inteso come una misura di effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all'importazione, e quindi in contrasto con l'art. 30 del trattato Ce, in quanto tale compenso ha natura corrispettiva per il sacrificio o la lesione dell'esclusività del diritto di sfruttamento dell'opera di creazione intellettuale (Corte appello Milano, 29 dicembre 1998 Philips).

In tale decisione è stato escluso il contrasto tra la l. n. 93 del 1992 e l'art. 95 del trattato Ce - secondo cui nessuno Stato membro può applicare direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne di qualsivoglia natura superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari – proprio in considerazione della sua finalità, che è di tutela del diritto d'autore e non di surrettizia sovvenzione di prodotti nazionali.

Tali considerazioni valgono ancor più nel caso in cui la misura non sia prevista unilateralmente, ma imposta dalla necessità di attuare la normativa comunitaria, come in relazione al decreto impugnato.

Le censure in esame vanno quindi respinte alla luce della natura e della funzione dell’equo compenso (così come chiarite in precedenza), evidenziando altresì il difetto di quel carattere di “unilateralità” che è indefettibilmente richiesto per considerare la misura in contestazione come tassa o misura “di effetto equivalente” ai sensi dell’art. 30 TFUE e cioè che questa si configuri “come un diritto imposto unilateralmente, sia all' atto dell' importazione, sia in un successivo momento e che, colpendo specialmente una merce importata da un paese membro ad esclusione del corrispondente prodotto nazionale, produca il risultato di alterarne il prezzo e di incidere così sulla libera circolazione delle merci alla stessa stregua di un dazio doganale » (Corte di Giustizia del 14.12.62, su CC 2 e 3/62). Si tratta, piuttosto, come già ripetutamente chiarito, di un prelievo che ha natura di “compenso” per il mancato guadagno che non costituisce una scelta arbitraria ed unilaterale dello Stato italiano, ma una misura adottata in attuazione di una direttiva comunitaria, nella quale è previsto che il quantum del compenso deve essere determinato dai singoli Stati, sulla base delle specifiche differenze culturali e giuridiche, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità che, nella fattispecie, appaiono pienamente rispettati tenuto conto che la misura del compenso è estremamente ridotta rispetto a quella fissata in provvedimenti analoghi adottati da altri Stati membri e “non altera le dinamiche di formazione del prezzo finale”, secondo quanto risulta dall’analisi economica effettuata in apposito studio (doc. SIAE 7), attenuando quindi i paventati effetti sul funzionamento del mercato.

Né, per le medesime ragioni, può ritenersi che detto prelievo possa essere inquadrato ai sensi dell’art. 34 TFUE come misura “di effetto equivalente” che colpisce il prodotto in ragione della sua importazione o esportazione rendendole più onerose, in quanto il compenso in contestazione deve essere corrisposto, piuttosto, al momento della vendita del bene o supporto atto alla riproduzione dell’opera tutelata da copyright. E deve essere corrisposto in ugual misura da tutte le case di produzione dei supporti e degli apparecchi interessati a prescindere dalla loro nazionalità. Vero è che – come controdedotto - tale rilievo non è sufficiente ad escludere l’illiceità della misura che sia indistintamente applicabile alle merci nazionali e a quelle importate (Corte di Giustizia 20.2.1979 C 120/78 Cassis de Dijon), ma affinchè questa possa essere considerata misura d’effetto equivalente ad una restrizione quantitativa all’importazione occorre comunque che essa produca l’effetto paventato di incidere negativamente sugli scambi creando una discriminazione in base all’origine, come chiarito dalla successiva giurisprudenza comunitaria, che nega l’automatica applicabilità del divieto di cui all’art. 30 TUE alle misure applicabili indiscriminatamente ai prodotti nazionali ed importati, essendo necessario verificare nella specifica fattispecie la sussistenza di tale discriminazione (Corte di Giustizia 24.11.93 CC. 267/91 e 268/91 Keck Mithouard). Ed appunto, che nella fattispecie in esame, la misura del compenso in questione costituisca “un mezzo di discriminazione arbitraria o una restrizione dissimulata al commercio tra gli stati membri” in violazione del divieto sancito dall’art. 36 TUEF non risulta dimostrato. Al contrario, deriva dalla consapevole scelta dello stesso legislatore comunitario e dalla natura e finalità del compenso da questo delineata, come chiaramente indicate nei considerando della direttiva, che presuppone una differenza nei livelli di protezione dei diritti di proprietà intellettuale nei diversi Paesi ai quali riconosce ampia discrezionalità (attinente appunto a scelte di politica di protezione oltre che alle specifiche abitudini di consumo) nella fissazione del margine di compenso.

Non sussiste pertanto neppure la violazione dell’art. 29 TFUE, per il quale “sono considerati in libera pratica in uno Stato membro i prodotti provenienti da paesi terzi per i quali siano state adempiute in tale Stato le formalità di importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili e che non abbiano beneficiato di un ristorno totale o parziale di tali dazi e tasse”. Al riguardo le ricorrenti lamentano che l’ordinamento italiano non disciplina in alcun modo il fenomeno del doppio prelievo e quindi neppure le modalità per ottenere eventuali rimborsi, demandando il tutto alla SIAE, la quale si limita a chiedere il pagamento del compenso in contestazione all’importatore senza curarsi del fatto che questi abbia già assolto l’onere di versare altro importo, al medesimo titolo, nel proprio Paese di origine, compromettendo in tal modo la libera circolazione dei prodotti nel mercato interno e determinando disparità di trattamento tra le imprese situate in diversi Stati membri (a seconda dell’entità ed estensione del prelievo di volta in volta applicabile). Sicchè anche ove il prodotto sia già soggetto a tale compenso nel Paese d’origine sarà lo stesso assoggettato ad ulteriore imposizione anche in Italia con conseguente incremento del prezzo finale del prodotto, in violazione dell’art. 29 e degli artt. 30 e 34 operando come tassa di effetto equivalente a dazio, ovvero come misura d’effetto equivalente ad una restrizione quantitativa, in contrasto con quanto sancito nella sentenza della Corte di giustizia 20.1.1982. Quanto denunciato dalle ricorrenti, tuttavia, non corrisponde al vero alla luce dei chiarimenti al riguardo forniti dalla resistente nei propri scritti difensivi ove precisa che il sistema italiano, al contrario di quanto affermato dalla ricorrente, prevede appositi meccanismi di esenzione e rimborso - favorevolmente valutati dalla Commissione nell’ambito delle relative consultazioni – appunto per evitare la possibilità di una doppia imposizione ed atti a ridurre l’incidenza dell’equo compenso sul funzionamento del mercato interno (cfr. documentazione concernente i “criteri applicativi” dell’equo compenso del novembre 2003, tutt’ora applicabili, in particolare i punti ove si prevede che questo, se già pagato dall’importatore, sia rimborsato in caso di riesportazione (sez 5.1.) e la specifica esenzione che esclude i prodotti esportati verso altri stati membri o terzi (sez 4.1) volti proprio per evitare che il prodotto esportato in altro Stato sia assoggettato due volte al compenso in esame).

Resta da esaminare la censura relativa alla violazione e/o falsa applicazione dei principi comunitari in materia di divieto di aiuti di Stato.

Al riguardo si evidenzia nel ricorso che il flusso reddituale che il decreto assicura ai titolari dei diritti di riproduzione sarebbe indipendente dall’ipotetico pregiudizio che questi ultimi potrebbero ricevere dall’esercizio della facoltà di copia privata e costituirebbe un chiaro vantaggio economico rispetto ad una situazione in cui il diritto alla riproduzione in forma privata non fosse stato concesso per decisione del legislatore nazionale; il vantaggio, peraltro, sarebbe selettivo perché non riguarderebbe tutti gli operatori economici ma unicamente quelli operanti nel settore audio-video iscritti alla SIAE mediante sfruttamento dei diritti economici di autore.

La censura va disattesa.

L’art. 107 TUE (già 87) così recita: “1. Salvo deroghe contemplate dal presente trattato, sono incompatibili con il mercato comune, nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza”. L’interpretazione e l’applicazione della disposizione in parola, com’è noto, è particolarmente complessa, in quanto la nozione di “aiuto di Stato” è tutt’altro che neutra, riflettendo le diverse concezioni ideologiche del rapporto Stato/mercato e della necessità di politiche pubbliche di intervento compensative. Quel che è chiaro è che la qualificazione di una misura in termini di aiuto di Stato implica un trasferimento di risorse pubbliche ed un indebito vantaggio economico per le imprese interessate, oltre che la “selettività” della misura, gli effetti sulla concorrenza e sugli scambi.

Orbene, nessun dubbio in merito all’insussistenza del primo presupposto, atteso che, come chiarito nel vademecum della Commissione per le Autorità antitrust nazionali, “le norme relative agli aiuti di Stato riguardano solo le misure che comportano un trasferimento di risorse statali” , anche se erogate da enti diversi dallo Stato (la SIAE appunto); ma qui non si tratta di risorse pubbliche erogate dalla SIAE ai suoi associati, bensì di somme pagate dai privati a titolo di “controprestazione” per la copia privata che sono dalla SIAE solo raccolte in virtù del rapporto di mandato con i privati e poi ad essi redistribuite.

Manca, pertanto, soprattutto l’ulteriore fondamentale presupposto e, cioè, che tali somme devono consentire un vantaggio (riduzione di costi, aumento di entrate) del tutto privo di giustificazione sotto il profilo economico - e che quindi si colloca fuori dal funzionamento del mercato e di conseguenza produce un effetto distorsivo della concorrenza e degli scambi - mentre nella fattispecie in esame si verifica un trasferimento di risorse tra privati a titolo di “compenso” per la fruizione individuale di un prodotto coperto da copyright e che pertanto trova la sua giustificazione proprio nello scambio avvenuto tra privati (autorizzazione “implicita” del titolare del diritto di sfruttamento dell’opera e corresponsione di un “compenso” per il godimento della copia privata) in cui il compenso ha funzione ripartiva del “mancato guadagno” ed è quindi riconosciuto in un’ottica di mercato e non d’ausilio.

Non sussiste infatti il requisito del “vantaggio economico” che il destinatario non avrebbe ottenuto nel corso normale della sua attività in quanto, come sopra ricordato, si tratta, appunto, di un compenso dovuto dall’utente di un prodotto multimediale per la riproduzione di copia privata; compenso che, peraltro, come rilevato dalla resistente non solo non è superiore al mancato guadagno da questi subiti per effetto della copia privata, ma è addirittura particolarmente ridotto rispetto a quello fissato da altri Stati membri.

Va pertanto esclusa la condizione che si tratti di un vantaggio economico che l'impresa beneficiaria non avrebbe ottenuto in condizioni normali di mercato. Né la ricorrente ha dimostrato che la misura di detto compenso sia superiore e quindi possa costituire un vantaggio non dovuto, mentre la resistente e soprattutto l’ANICA hanno rappresentato che si tratta di cifre ben al di sotto di quelle fissate da altri Paesi europei, quest’ultima denunciando la misura meramente simbolica del compenso che comprometterebbe addirittura eccessivamente gli interessi degli imprenditori nel settore cinematografico ed audiovisivo associate. La natura e lo scopo dell’equo compenso pertanto valgono ad escludere in radice la configurabilità nella fattispecie dell’aiuto di Stato – atteso che, secondo una costante giurisprudenza, la qualificazione di “aiuto” richiede che sussistano tutti i presupposti previsti da tale disposizione-, anche a prescindere dall’ovvio rilievo – evidenziato dalla SIAE - che la ricorrente non ha allegato né comprovato gli elementi di fatto per dimostrare la ricorrenza di tale aiuto.

Per completezza, tuttavia, il Collegio ritiene opportuno precisare che non sussistono nemmeno le ulteriori condizioni per la configurabilità dell’aiuto.

Quanto al carattere di selettività, si tratta di un elemento inconferente, che rende evidente l’inapplicabilità della nozione alla fattispecie in esame, in quanto non si tratta di una misura arbitrariamente adottata dallo Stato italiano per favorire le proprie imprese o i propri autori, ma si tratta, piuttosto, di un atto doveroso di adempimento di impegni comunitari, che obbligano lo Stato membro che decida di consentire la copia privata di rendere indenni autori e produttori dal danno per la mancata percezione dei relativi diritti e ciò avviene mediante la corresponsione di questo in misura ridotta, appunto, a titolo di equo compenso, che si applica in ragione della tipologia ed attitudine riproduttiva del supporto o del dispositivo, indipendentemente dalla sua origine nazionale, ed è quindi previsto a favore dell’intera categoria di operatori, senza discriminare in base alla nazionalità degli stessi.

Infine, per quanto attiene agli effetti sulla concorrenza e sugli scambi fra Stati membri si tratta di un aspetto già considerato dal legislatore comunitario ed appunto oggetto di armonizzazione delle legislazioni nazionali, in attesa di una possibile, futura “tariffa unica” stabilita a livello comunitario, sicchè la lamentata conseguenza costituisce, appunto, uno degli inconvenienti che la direttiva tende ad attenuare, non ad eliminare.

Ne discende che, non ricorrendo la natura di aiuto di Stato, viene altresì a cadere anche il profilo di censura con cui si denuncia che il decreto impugnato sarebbe illegittimo già per il solo fatto di non essere stato notificato alla Commissione (e da questa autorizzato), non essendo la relativa procedura richiamata dalla direttiva in esame, appunto a conferma della qualificazione operata.

Alla luce delle considerazioni sopra svolte va disattesa la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea non sussistendo dubbi sull’interpretazione della disciplina comunitaria, tenuto conto di quanto già espresso dalla Corte stessa con la sentenza “Padawan” del 21 ottobre 2010 e con la successiva sentenza “Opus Supplies” del 16 giugno 2011”, e considerato altresì quanto già rilevato in precedenza con riferimento alle misure tecniche di protezione, alla questione relativa alla “doppia imposizione” e al potere della SIAE di stipulare protocolli integrativi al fine di prevedere l’esenzione dal pagamento del compenso.

Il ricorso in esame va pertanto respinto.

Ne conseguente la declaratoria di improcedibilità del ricorso incidentale proposto in via subordinata per difetto di interesse, alla stregua del recente arresto del Consiglio di Stato, sez. III, 5 maggio 2011, n. 2695, secondo cui le parti resistenti e i controinteressati possono proporre ricorsi incidentali quando l'interesse sorge in dipendenza del ricorso presentato in via principale, al quale sono accessori e subordinati e alle cui sorti perciò gli stessi sono strettamente collegati.

D’altro canto, che nel caso in esame il ricorso incidentale sia da intendersi in via subordinata risulta dalla stessa espressa formulazione testuale dello stesso.

Sussistono tuttavia giusti motivi, attesa la complessità della controversia, per compensare integralmente tra le parti le spese di giudizi, ivi compresi diritti ed onorari..

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Seconda Quater) respinge il ricorso principale e dichiara improcedibile il ricorso incidentale.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

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