Il
giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di
essa; e non può pronunciare d'ufficio su eccezioni, che possono essere
proposte soltanto dalle parti.
__________________
Giurisprudenza sull'art. 112 c.p.c.
Cass., massima sent. n. 455 del 11.01.2011
Il giudice di merito ha il potere-dovere di inquadrare nella esatta
disciplina giuridica i fatti e gli atti che formano oggetto della
contestazione; tale potere incontra peraltro il limite del rispetto
dell'ambito delle questioni proposte in modo che siano lasciati immutati
il "petitum" e la "causa petendi", senza l'introduzione nel tema
controverso di nuovi elementi di fatto. Pertanto, il vizio di
ultrapetizione o extrapetizione ricorre quando il giudice del merito,
interferendo nel potere dispositivo delle parti, alteri gli elementi
obiettivi dell'azione ("petitum" e "causa petendi") e, sostituendo i
fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da
quello richiesto ("petitum" immediato), ovvero attribuisca o neghi un
bene della vita diverso da quello conteso ("petitum" mediato). Ne
consegue che il vizio in questione si verifica quando il giudice
pronuncia oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere
dai contraddittori, attribuendo alla parte un bene della vita non
richiesto o diverso da quello domandato.
Cass., massima sent. n. n. 25516 del 16.12.2010
Sussiste violazione dell'art. 112 c.p.c. allorché il giudice, a fronte della domanda di nullità, proposta dal fideiussore opponente, di una clausola del contratto di fideiussione e di inefficacia dello stesso, abbia, invece, rilevato d'ufficio la mancanza di prova circa la forma scritta del contratto di conto corrente concluso dal debitore principale e la conseguente nullità del medesimo, ai sensi dell'art. 1421 c.c., posto che, essendo onere del convenuto (nel caso di decreto ingiuntivo, dell'opponente) quello di prendere posizione sui fatti posti a fondamento della domanda, dal mancato assolvimento di tale onere discende che i fatti non contestati devono ritenersi non controversi e non richiedenti specifiche dimostrazioni.
Cass., massima sent. n. n. 443 del 11.01.2011
A norma dell'art. 342 c.p.c., il giudizio di appello, pur essendo limitato all'esame delle sole questioni oggetto di specifici motivi di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati; ne consegue che non viola il principio del "tantum devolutum quantum appellatum" il giudice di appello che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall'appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte le quali appaiono, nell'ambito della censura proposta, in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi, costituendone un necessario antecedente logico e giuridico.
Cass., massima sent. n. 8071 del 28.03.2008
In tema di clausola penale, il potere di riduzione ad equità, attribuito al giudice dall'art. 1384 cod. civ. a tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, può essere esercitato d'ufficio, ma l'esercizio di tale potere è subordinato all'assolvimento degli oneri di allegazione e prova, incombenti sulla parte, circa le circostanze rilevanti per la valutazione dell'eccessività della penale, che deve risultare "ex actis", ossia dal materiale probatorio legittimamente acquisito al processo, senza che il giudice possa ricercarlo d'ufficio.
Cass., massima sent. n. 22665 del 02.12.2004
Il giudice di merito, nell'indagine diretta all'individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non è tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultino contenute, dovendo, per converso, aver riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, sì come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia in relazione alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell'effettivo suo contenuto sostanziale. In particolare il giudice non può prescindere dal considerare che anche un'istanza non espressa può ritenersi implicitamente formulata se in rapporto di connessione con il "petitum" e la "causa petendi".
Cass., massima sent. n. 15345 del 01.12.2000
Un'istanza non espressamente e formalmente proposta può ritenersi implicitamente introdotta e virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio quando si trovi in rapporto di connessione necessaria con il "petitum" e la "causa petendi", senza estenderne l'ambito soggettivo di riferimento. Ne consegue che nella domanda di inefficacia della misura del sequestro giudiziario avanzata dal sequestrato non è tacitamente sussumibile altresì la domanda di liquidazione dei compensi al custode, diversi essendone sia i soggetti sia l'oggetto, nel senso che la seconda investe un terzo estraneo al rapporto principale dedotto in giudizio ed è affatto distinta, quanto agli elementi essenziali, dalla prima, potendo risultare indipendente anche dallo stesso procedimento in cui venga emessa la statuizione richiesta in materia cautelare.
Cass., massima sent. n. 13512 del 08.06.2007
L'art. 36 c.p.c. consente lo svolgimento del processo simultaneo sulla domanda principale e sulla domanda riconvenzionale avanti al giudice adito con la prima, ma ove il giudice adito con la domanda principale dichiari la propria incompetenza per territorio sulla domanda principale, e comunque si pronunci sulla riconvenzionale rigettandola, così, di fatto, separando le cause, al giudice d'appello investito del gravame sulla sola decisione attinente la riconvenzionale è preclusa ogni determinazione, anche di carattere processuale, sulla prima, della quale non è investito, spettandogli pronunciarsi sull'appello concernente la decisione in ordine alla riconvenzionale.
Cass., massima sent. n. sent. n. 8379 del 07.04.2009
Il vincolo derivante dal giudicato, partecipando della natura dei comandi giuridici, non costituisce patrimonio esclusivo delle parti, ma, mirando ad evitare la formazione di giudicati contrastanti, conformemente al principio "ne bis in idem", corrisponde ad un preciso interesse pubblico, sotteso alla funzione primaria del processo, e consistente nell'eliminazione dell'incertezza delle situazioni giuridiche, attraverso la stabilità della decisione; pertanto, l'esistenza del giudicato esterno è, al pari di quella del giudicato interno, rilevabile d'ufficio, anche se il giudicato si sia formato in seguito ad una sentenza della Corte di cassazione, e la relativa preclusione opera, in riferimento ai rapporti di durata, anche nel caso in cui il giudicato si sia formato in relazione ad un diverso periodo, qualora esso abbia ad oggetto il medesimo fatto costitutivo dell'intero rapporto giuridico in relazione alla stessa questione giuridica.