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Eccezione propria e mera difesa - Cass. sent. n. 30599 del 30.12.2011

Svolgimento del processo

C.F., falegname, ordinava alla F. s.n.c la fornitura di serramenti per la sua abitazione, nonchè l'esecuzione di lavori di controsoffittatura che il proprio cliente V.G.B. gli aveva commissionato presso la sua abitazione; finiti i lavori, il C. non aveva saldato il prezzo.

Il C. con atto di citazione notificato il 19-7-1997 proponeva opposizione presso il Pretore di Mestre avverso il decreto emesso nei suoi confronti avente ad oggetto il pagamento di L. 8.581.830 in favore della società Martignon a saldo del prezzo della suddetta fornitura; in via riconvenzionale inoltre chiedeva, accertato il ritardo nella consegna degli infissi presso la propria abitazione ed accertati i vizi dei lavori eseguiti in casa V., la condanna della controparte al risarcimento dei danni nella misura di L. 25.000.000.

Il Tribunale di Venezia con sentenza del 27-2-2002, in accoglimento dell'opposizione, condannava la società opposta a titolo di risarcimento dei danni al pagamento di Euro 2574,54 oltre accessori.

Proposto gravame da parte del C. cui resisteva la società F. che proponeva altresì appello incidentale,la Corte di Appello di Venezia con sentenza del 12 5-2006 ha rigettato l'appello principale, ed in parziale accoglimento dell'appello incidentale ha condannato il C. al pagamento in favore della società appellata della somma di Euro 3318,14 oltre interessi legali dalla data del ricorso per decreto ingiuntivo al saldo ed alla restituzione in favore della stessa società della somma di Euro 10313,41 oltre interessi legali dalla data del versamento (ovvero dal 29-7-2002) al saldo.

Per la cassazione di tale sentenza il C. ha proposto ricorso articolato in tre motivi cui la F. s.n.c. ha resistito con controricorso depositando successivamente una memoria.

Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione, assume che erroneamente il giudice di appello ha ritenuto infondata la domanda di risarcimento danni proposta dall'esponente per il ritardo con cui era stata eseguita la fornitura per cui è causa.

Il C. afferma che sulla base della documentazione in atti e delle prove testimoniali espletate erano stati provati sia la pattuizione del termine di consegna per il mese di febbraio 1996, sia i danni conseguenti al ritardo: sotto il primo profilo il ricorrente sostiene che i testi avevano riferito che dal marzo-aprile 1996 erano iniziati i solleciti ad adempiere, una volta constatato che la fornitura di serramenti non era stata puntualmente eseguita; inoltre evidenzia che, sempre sulla base delle deposizioni dei testi escussi, era emerso che era stato necessario applicare uno strato di "primer" sul "parquet" di casa C. per preservare lo stesso dai danni dell'umidità presente nell'abitazione a causa della mancanza di serramenti; il ricorrente sostiene poi che, contrariamente all'assunto della Corte territoriale, la prova testimoniale aveva consentito di accertare che la posa del "parquet" era iniziata nel periodo estivo, a distanza di diversi mesi dalla scadenza del termine pattuito, ed aveva richiesto, in ragione della forte umidità assorbita dall'ambiente e dal pavimento nel periodo invernale, l'applicazione di uno strato di "primer".

La censura è infondata.

Il giudice di appello ha anzitutto escluso, sulla base della valutazione della prova testimoniale espletata, l'asserita pattuizione di un termine per la fornitura di serramenti nell'abitazione del C., posto che alcuni testi avevano semplicemente confermato i solleciti all'esecuzione di tale fornitura, circostanza che non dimostrava affatto la scadenza di un termine fissato dalle parti, ben potendo i solleciti essere stati effettuati anche in via preventiva, al solo fine di far accelerare i lavori.

La Corte territoriale ha aggiunto che comunque una eventuale inosservanza del termine inizialmente pattuito avrebbe configurato un inadempimento provvisorio e non definitivo, avendo il C. mantenuto l'interesse a ricevere la prestazione offertagli in ritardo, ed avendo la società F. sanato l'iniziale mancata esecuzione del rapporto obbligatorio attraverso un adempimento sia pure tardivo; in particolare ha poi escluso che tale tardivo adempimento della fornitura avesse causato dei danni alla posa in opera del "parquet", asserendo che l'eccesso di umidità per tale posa in opera è circostanza comune a tutti i nuovi edifici, perfino nei mesi estivi, e quindi a maggior ragione nei mesi invernali, cosicchè spesso, prima della posa in opera, si ricorre comunemente al riscaldamento artificiale per asciugare i locali e/o alla deumidificazione degli ambienti con idonei apparecchi; il giudice di appello al riguardo ha precisato che il teste Salvador, incaricato della posa in opera del "parquet", aveva dichiarato di essere stato ben consapevole dell'impossibilità di posare il "parquet" in ragione dell'umidità ambientale (senza quindi attribuire tale fenomeno alla mancanza di infissi), cosicchè doveva escludersi che la mancata presenza delle finestre fosse stata causa di per sè dei danni al pavimento, ugualmente posato; infatti l'eventuale sollevamento del pavimento avrebbe trovato come causa unica il fatto colposo del C. che, contro il parere del parchettista S., avrebbe ordinato la posa in opera del "parquet" pur in presenza della rilevata umidità ambientale.

Orbene, avendo la sentenza impugnata espresso esaurientemente le fonti del proprio convincimento, si è in presenza di un accertamento di fatto sorretto da congrua e logica motivazione, come tale incensurabile in questa sede, dove il ricorrente con il motivo in esame si limita a prospettare inammissibilmente una alutazione a sè più favorevole delle risultanze istruttorie, trascurando i poteri in proposito riservati al giudice di merito.

Con il secondo motivo il ricorrente, deducendo violazione o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., comma 2, assume che erroneamente la sentenza impugnata ha ritenuto che l'asserzione della società F. secondo cui il C. non sarebbe stato legittimato a far valere il danno eventualmente subito dal V. non configurerebbe una eccezione propria, come tale inammissibile in appello, ma una mera difesa, pertanto ammissibile; invero la contestazione circa l'effettiva appartenenza alla parte del diritto controverso non solleva una questione di legittimazione "ad causam", ma una questione che attiene alla fondatezza della domanda nel merito e quindi una eccezione in senso proprio, inammissibile se proposta per la prima volta in appello; inoltre il convincimento del giudice di appello era infondato sotto un ulteriore profilo, laddove ha affermato che il danno lamentato relativo alla controsoffittatura in casa V., incidendo sul patrimonio del V., costituiva solo un danno temuto per il C., il quale quindi aveva l'onere di provare che il V. non gli aveva corrisposto il prezzo pattuito oppure l'aveva citato per danni; invero con atto di citazione del 23- 5-2005 (allegato in copia al ricorso ex art. 372 c.p.c.) i coniugi V.G.B. e Ca.Ma. avevano citato in giudizio dinanzi al Tribunale di Venezia l'esponente e la società F. chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti a seguito della cattiva esecuzione dell'opera commissionata; di qui quindi la piena legittimazione dell'esponente a chiedere la condanna della suddetta società al risarcimento dei danni nella misura corrispondente alla spesa necessaria per l'eliminazione dei vizi.

La censura è infondata.

La Corte territoriale ha correttamente ritenuto che il difetto di legittimazione del C. a far valere il danno che aveva eventualmente colpito il patrimonio del V., come dedotto da parte della F., non configurava un'eccezione in senso proprio, come tale inammissibile in appello, ma una mera argomentazione difensiva, quindi ammissibile anche nel secondo grado di giudizio.

Invero la pretesa del C. riguardo ai danni asseritamente subiti nel proprio appartamento dal V., ovvero da soggetto diverso dal primo, postulava necessariamente un accertamento riguardo alla coincidenza, dal lato attivo, da chi propone la domanda ed il soggetto che nella domanda è affermato titolare del diritto; tale accertamento, quindi, riguarda la legittimazione ad agire, e deve essere effettuato in relazione non alla sua sussistenza effettiva, ma alla sua affermazione con l'atto introduttivo del giudizio, nell'ambito di una preliminare valutazione formale dell'ipotetica accoglibilità della domanda; ed è principio giurisprudenziale consolidato che il difetto della relativa allegazione e dimostrazione, in quanto attinente alla regolare costituzione del contraddittorio e, quindi, disciplinata da inderogabili norme di diritto pubblico processuale, è rilevabile anche d'ufficio (Cass. 16- 5-2007 n. 11321; Cass. 6-3-2008 n. 6132); pertanto l'eccezione sollevata al riguardo dalla società F., lungi dal configurarsi come una eccezione in senso proprio, doveva essere ricompresa tra le argomentazioni difensive svolte dalle parti per resistere alle pretese delle controparti, potendo i fatti su cui tali difese si basano e risultanti dalle acquisizioni processuali essere rilevati d'ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni in senso lato o improprie (vedi al riguardo Cass. 19-5-2011 n. 11015).

Quanto poi al secondo profilo di censura, relativo al fatto che il C. era stato convenuto in giudizio dal V. e dalla Ca. insieme alla stessa F. per chiedere la loro condanna ai danni subiti per la cattiva esecuzione dei lavori di controsoffittatura nel loro appartamento, è appena il caso di rilevare che si tratta di una questione nuova, come tale inammissibile in questa sede (ed è comunque agevole osservare che la produzione dell'atto di citazione notificato all'attuale ricorrente dal V. e dalla Ca. è inammissibile, essendo tale documento manifestamente estraneo all'ambito di operatività dell'art. 372 c.p.c.).

Con il terzo motivo il ricorrente, denunciando vizio di motivazione in relazione all'art. 2697 c.c. e all'art. 61 c.p.c., censura la sentenza impugnata in quanto, in relazione ai lavori necessari alla eliminazione dei gravi difetti alla controsoffittatura eseguita dalla controparte presso l'abitazione del V., ha optato, tra le due soluzioni prospettate dal CTU, per la seconda di esse, caratterizzata da un costo inferiore (L. 11.000.000 rispetto all'altra che prevedeva spese per L. 18.000.000), ritenendo erroneamente che entrambe le soluzioni fossero in grado di garantire lo stesso risultato estetico e funzionale; in realtà il CTU aveva indicato la seconda soluzione "in subordine" alla prima, ed aveva affermato che la seconda soluzione avrebbe consentito di conseguire il medesimo risultato tecnico-estetico "per le parti a vista", e non per le sottostanti strutture.

Tale motivo resta assorbito all'esito del rigetto del secondo motivo di ricorso.

Il ricorso deve quindi essere rigettato; le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2200,00 di cui Euro 2000,00 per onorari oltre accessori come per legge.