Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio.
L'azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali.
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Giurisprudenza sull'art. 120 c.c.
Cass., massima sent. n. 10796 del 10.05.2006
In tema di delibazione della sentenza di un tribunale ecclesiastico dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario, per "incapacitas assumendi onera matrimonii", la nullità discende da una grave inettitudine del soggetto ad intendere i doveri del matrimonio, in relazione al momento della manifestazione del consenso e non si discosta sostanzialmente dalle ipotesi di invalidità contemplate dagli artt. 120 e 122 cod. civ.; deve pertanto escludersi che il riconoscimento dell'efficacia di tale sentenza trovi ostacolo nei principi fondamentali dell'ordinamento italiano, non rilevando in contrario le differenze della disciplina codicistica in punto di legittimazione attiva e rilevanza ostativa della coabitazione alla proponibilità dell'azione, in quanto non investono principi di ordine pubblico dell'ordinamento italiano.
Cass., massima sent. n. 3536 del 13.06.1984
Con riguardo alla sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio per "amentia" di uno dei coniugi, la questione del protrarsi della coabitazione dopo il recupero da parte di detto coniuge della capacità d'intendere e di volere, rilevante per l'ordinamento italiano e non per quello canonico, può essere dedotta nel giudizio di delibazione di detta sentenza davanti alla Corte d'Appello, quale eventuale ragione ostativa alla delibazione medesima (sotto il profilo della contrarietà all'ordine pubblico), mentre resta preclusa la possibilità di sollevarla per la prima volta in sede di ricorso per Cassazione avverso il provvedimento della Corte d'Appello.