Svolgimento del processo
I fatti rilevanti ai fini della decisione del presente ricorso possono ricostruirsi sulla base dell'impugnata sentenza nei seguenti termini.
Nell'ambito della procedura esecutiva immobiliare iscritta in danno di D.G.V. al n. 40/1998 R.G.E. del Tribunale di Teramo - procedura riunita ad altra iscritta al n. 122/1996 R.G.E. (nella quale ultima era stata dichiarata la nullità dell'ordinanza di vendita) e, quindi, sospesa a seguito di opposizione del debitore n. (OMISSIS) - con istanza in data 05.12.2006 la S.G.C. Società Gestione Crediti s.r.l. (di seguito brevemente S.G.C.), quale cessionaria di credito fondiario della B. s.p.a., chiedeva al giudice dell'esecuzione la fissazione della vendita dei beni pignorati relativamente alla suddetta procedura, esponendo che il Tribunale aveva rigettato l'opposizione con sentenza n. 854 del 2006.
Nel contraddittorio con il debitore esecutato, il quale deduceva sotto diversi profili l'inammissibilità dell'istanza, il giudice dell'esecuzione, con ordinanza in data 04.07.2007, accoglieva l'istanza della S.G.C., e, di conseguenza, revocava il provvedimento di sospensione dell'esecuzione emesso nella causa di opposizione n.3208/2003, fissando la vendita dei beni pignorati nella procedura n. 40/2008 R.G.E..
Con ricorso ex art. 617 c.p.c., D.G.V. chiedeva - previa pronuncia del provvedimento di sospensione - di dichiarare la nullità dell'ordinanza in data 04.07.2007; resisteva la S.G.C., s.r.l. chiedendo il rigetto dell'opposizione; con ordinanza 09.10.2007 il giudice dell'esecuzione confermava l'ordinanza impugnata e quella connessa di vendita, fissando la prosecuzione nel merito del giudizio di opposizione; infine la causa, senza necessità di istruzione, era decisa con sentenza in data 23.03.2010 di rigetto dell'opposizione, con condanna dell'opponente al pagamento delle spese processuali.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso ex art. 111 Cost., D.G.V., svolgendo tre motivi, illustrati anche da memoria.
Ha resistito la S.G.C. s.r.l., depositando controricorso e memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 487, 618, 624 e 627 c.p.c., (art. 360 c.p.c., n. 3).
1.1. Il motivo si incentra sul punto nodale dell'opposizione, e cioè sulla contestata revocabilità del provvedimento di sospensione emesso dal giudice dell'esecuzione ex art. 624 c.p.c.. Al riguardo il Tribunale ha osservato che il provvedimento di sospensione, in quanto di esclusiva competenza del giudice dell'esecuzione, può, come tale, essere revocato dallo stesso giudice, laddove questi ritenga che i gravi motivi che giustificarono la sospensione non sussistano più, soprattutto in seguito ad una sentenza di rigetto dell'opposizione che conforti la sussistenza del fumus in relazione all'infondatezza dei motivi dell'originaria opposizione.
1.1.1. Secondo parte ricorrente la decisione impugnata contrasta con il principio espresso da questa Corte, secondo cui il particolare procedimento aperto con l'ordinanza di cui all'art. 624 c.p.c., è chiuso ex art. 627 c.p.c., solo dopo il rigetto (totale o parziale) dell'opposizione stessa. In particolare il ricorrente assume che il Tribunale ha equivocato tra il potere generale di revoca attribuito al giudice dell'esecuzione dagli artt. 487 e 616 c.p.c., e i limiti che questo potere incontra una volta che l'ordinanza di sospensione è stata eseguita ed è in corso il giudizio di opposizione: ciò in quanto, in tale situazione, il provvedimento di sospensione perderebbe efficacia solo nei modi e termini previsti dall'art. 627 c.p.c., posto che, altrimenti ragionando, si consentirebbe al giudice dell'esecuzione di "interferire" in qualsiasi momento nel giudizio di opposizione; nè d'altra parte sarebbe possibile proporre il ricorso per riassunzione ex art. 627 c.p.c., durante lo svolgimento del giudizio di opposizione, potendo la parte interessata provvedervi solo nel termine perentorio fissato dall'articolo cit..
1.2. Il motivo è infondato.
Va premesso che dalla sentenza impugnata si ricava che la sospensione dell'esecuzione venne disposta con ordinanza ex art. 624 c.p.c., in data 18.11.2003, di modo che, nella soluzione della questione, non interferiscono le novità introdotte dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35, art. 2, comma 3, lett. e), n. 42, convertito, con modificazioni, nella L. 14 maggio 2005, n. 80, e successive modifiche, che - innovando l'originario dettato dell'art. 624 cit. - hanno reso reclamatale ex art. 669 terdecies c.p.c., l'ordinanza con cui il giudice dell'esecuzione provvede sull'istanza di sospensione dell'esecuzione in base alla norma cit.. Nell'economia della presente decisione non rileva, dunque, accertare se l'(attuale) reclamabilità dell'ordinanza ex art. 624 c.p.c., comporti, in considerazione della conclamata natura cautelare del provvedimento, l'estensione in via analogica dei presupposti aggettivi della revoca di cui all'art. 669 decies c.p.c..
Ciò che preme rilevare, piuttosto, è che anche nel regime del novellato art. 624 cod. proc. civ. il provvedimento di sospensione è adottato dal giudice dell'esecuzione nella funzione di direzione del processo di esecuzione e non già quale giudice dell'azione cognitiva di opposizione. Invero, come risulta chiaro dalla lettera della norma, la competenza ad emettere il provvedimento di sospensione appartiene al giudice dell'esecuzione in quanto tale, che vi provvede con ordinanza.
1.3. Tanto premesso, va ribadito il principio costantemente affermato da questa Corte con riferimento all'art. 624 c.p.c. (nel testo ante novella 2005/2006), secondo cui il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione provvede in ordine alla sospensione del processo esecutivo - concedendola, negandola o revocandola - è modificabile e revocabile da parte dello stesso giudice che lo ha emesso (ex plurimis, Cass. 28 novembre 2007, n. 24736; Cass. 19 luglio 2005, n.15220; Cass. ord. 20 febbraio 2003, n. 2620). Il potere di revoca della sospensione del processo esecutivo, che sia stata disposta ai sensi dell'art. 624 c.p.c., appartiene, infatti, al giudice dell'esecuzione e rientra tra i poteri ordinatori del processo esecutivo indicati dall'art. 616 c.p.c. (Cass. 10 giugno 1992, n. 7134). Sono pertanto erronee tutte le tesi della parte ricorrente che (direttamente od indirettamente) negano detto principio di diritto o postulano che, in tal modo, possa verificarsi un'"interferenza" da parte del giudice dell'esecuzione nel processo di opposizione.
1.4. Non contrasta con il principio appena ribadito il richiamo all'art. 627 c.p.c., il quale regola la ripresa del processo di esecuzione, fissando il termine ultimo entro il quale il processo deve essere riassunto. Invero la sospensione del processo esecutivo in senso proprio, cui si riferisce l'art. 627 c.p.c., viene meno dopo il rigetto, totale o parziale, dell'opposizione (all'esecuzione, agli atti esecutivi ovvero di terzo) e da questo momento inizia a decorrere il termine per la riassunzione (Cass. 3 settembre 2007, n. 18539). In altri termini la norma di cui all'art. 627 c.p.c., regola l'insorgenza del potere di riassumere il processo esecutivo, senza che occorra alcun provvedimento del giudice dell'esecuzione avente come oggetto la revoca della sospensione (cfr. anche Cass. 21 novembre 2011, n. 24447, secondo cui, in conseguenza dell'immediata efficacia della sentenza di primo grado di rigetto dell'opposizione ai sensi dell'art. 282 c.p.c., siffatto potere nasce con la stessa pubblicazione della ì sentenza) e segna il dies a quo del termine per la riassunzione, ma non interferisce con l'altra facoltà processuale dell'interessato di attivare il potere-dovere del giudice dell'esecuzione di modifica e/o revoca dei propri provvedimenti, sollecitando, anche alla luce dell'evoluzione del processo di cognizione, una rivalutazione dei "gravi motivi" che determinarono la sospensione dell'esecuzione.
1.5. E' ben vero, poi, che la peculiare revocabilità e modificabilità delle ordinanze del giudice dell'esecuzione sono precluse dall'avvenuta esecuzione dell'ordinanza, come espressamente previsto dall'art. 487 c.p.c., comma 1.; tuttavia ciò postula che si tratti di provvedimento che presupponga una materiale esecuzione (e che sia stato effettivamente portato ad esecuzione). Sul punto è stato ritenuto da questa Corte che le ordinanze del giudice dell'esecuzione sono modificabili o revocabili dallo stesso giudice che le ha emesse senza limiti di tempo, se hanno contenuto negativo o non sono suscettibili di attuazione (Cass. 21 aprile 1997, n. 3247) e - con specifico riguardo alla questione di cui trattasi della revocabilità f dell'ordinanza di sospensione dell'esecuzione - si è precisato che l'ordinanza emessa dal giudice dell'esecuzione ai sensi dell'art. 624 c.p.c., è da questi revocabile e modificabile, pur dopo la riassunzione del processo dinanzi al giudice dell'opposizione e prima della definizione di questo giudizio, perchè è di contenuto negativo, e il limite alla revocabilità illimitata delle ordinanze del giudice dell'esecuzione è costituito dalla loro attuazione (Cass. 17 marzo 1998, n. 2848). Invero la ratio della preclusione prevista dall'art.487 cit. si rinviene con riferimento alle ordinanze aventi contenuto positivo - che abbiano, cioè, disposto una qualche attività, semprechè questa sia stata realizzata - nell'esigenza di non mettere in discussione detta attività con continui ripensamenti sugli atti compiuti (salvo, ovviamente, l'esperibilità dei rimedi oppositivi, previsti avverso tutti gli atti del giudice dell'esecuzione). Il che significa - per quanto qui ci occupa - che l'ordinanza del giudice dell'esecuzione in data 18.11.2003, nel suo contenuto positivo di fissazione del termine per la instaurazione del giudizio di cognizione sull'opposizione non era suscettibile di revoca e/o modifica una volta che tale parte del provvedimento aveva avuto attuazione, mentre, nella parte in cui disponeva la sospensione dell'esecuzione, aveva contenuto negativo; il che, per quanto appena detto, non comportava alcuna preclusione alla revocabilità della sospensione stessa. In definitiva nessuno degli argomenti di parte ricorrente coglie nel segno, per cui il motivo di ricorso va rigettato.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione dell'art.112 cod. proc. civ. (art. 360 c.p.c., n. 3). Al riguardo parte ricorrente lamenta che il Tribunale non si sia pronunciato sul motivo di opposizione con cui si deduceva l'inammissibilità dell'istanza della creditrice procedente per difetto dei requisiti formali e sostanziali di cui all'art. 627 c.p.c..
3. Con il terzo motivo si denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 627, 125, 82 e 83 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Il motivo è dichiaratamente collegato al precedente ed è formulato per l'ipotesi che si ritenga che vi sia un'implicita pronuncia sulla precedente censura. Osserva il ricorrente che la carenza degli indicati requisiti è confermata dalle stesse allegazioni dell'opposta la quale affermava di non avere mai inteso "riassumere" il processo esecutivo.
3.1. I motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente per l'evidente connessione, sono al limite dell'inammissibilità e, comunque, manifestamente infondati.
Quanto alla presunta violazione dei doveri decisori di cui all'art. 112 c.p.c. - a prescindere dalla considerazione che il vizio di omessa pronuncia su una domanda, ovvero su specifiche eccezioni, deve essere fatto valere esclusivamente a norma dell'art. 360 c.p.c., n. 4, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto ovvero come vizio della motivazione (v. ex plurimis Cass. n. 375 del 2005; n. 14003 del 2004; n. 604 del 2003; n. 9707 del 2003; n. 11260 del 2000) - è assorbente la considerazione che il giudice dell'opposizione si è pronunciato sul punto, osservando che l'istanza della creditrice procedente presentava i requisiti formali e sostanziali previsti dal codice di rito.
Inoltre - richiamate le considerazioni svolte sub 1.4. - appare chiaro come non rilevi la circostanza che la parte creditrice, per sua stessa ammissione, non intendeva "riassumere" il processo esecutivo. Sotto questo profilo il motivo di ricorso non coglie la ratio della decisione impugnata, che non ha affatto ritenuto che, nella specie, il processo di esecuzione sia stato "riassunto" ai sensi dell'art. 627 c.p.c., ma ha, piuttosto, evidenziato che la creditrice aveva correttamente adito il giudice dell'esecuzione, sollecitandone i poteri di direzione del processo dell'esecuzione e, in specie, invocando la revoca del provvedimento di sospensione.
In definitiva il ricorso va rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 10.200,00 (di cui Euro 200,00 per spese) oltre rimborso spese generali e accessori come per legge.