La promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento.
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Giurisprudenza
Cass., massima sent. n. 3015 del 02.05.1983
La promessa di matrimonio, contemplata dagli artt. 79-81 cod. civ., s'identifica, alla stregua del costume sociale, nel cosiddetto fidanzamento ufficiale, e sussiste, cioè, quando ricorra una dichiarazione espressa o tacita, normalmente resa pubblica nell'ambito della parentela, delle amicizie e delle conoscenze, di volersi frequentare con il serio proposito di sposarsi, affinché ciascuno dei promessi possa acquisire la maturazione necessaria per celebrare responsabilmente il matrimonio, libero restando di verificare se questa venga poi conseguita in se stesso e nell'altro e di trarne le debite conseguenze. Nell'ambito di detta promessa, si distingue quella di tipo solenne, di cui all'art. 81 cod. civ., soggetta a determinati requisiti (vicendevolezza, capacità di agire dei promittenti, atto pubblico o scrittura privata o richiesta di pubblicazioni di matrimonio), e produttiva di una situazione di affidamento, fonte di possibile responsabilità risarcitoria, da quella di tipo semplice, non soggetta ad alcun requisito di capacità o di forma, qualificabile come mero fatto sociale, e non produttiva di alcun effetto giuridico diretto, tenuto conto che la restituzione dei doni, prevista dall'art. 80 cod. civ., non deriva dalla promessa, ma dal mancato seguito del matrimonio.
Cass., massima sent. n. 18199 del 18.08.2006
La ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso tra coniuge divorziato e coniuge superstite aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, tra i quali va ricompresa la durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. E siccome per convivenza prematrimoniale deve intendersi quella caratterizzata da un grado di stabilità e da comportamenti dei conviventi corrispondenti, in una effettiva comunione di vita, all'esercizio di diritti e doveri connotato da reciprocità e corrispettività, ad essa non può equipararsi il semplice fidanzamento non accompagnato da effettiva convivenza tra i promessi sposi. Il periodo di fidanzamento precedente al matrimonio tra i coniugi poi divorziatisi, pertanto, non può essere preso in considerazione ai fini della ripartizione del trattamento di reversibilità, a nulla rilevando che il matrimonio trovasse allora un (temporaneo) ostacolo in una condizione personale del fidanzato (il quale, come ufficiale dell'aeronautica, non poteva unirsi in matrimonio, secondo la legge applicabile "ratione temporis", prima del compimento dei venticinque anni), né che il comune sentire sociale dell'epoca (nella specie, attorno al 1950) disapprovasse la convivenza "more uxorio", soprattutto per un ufficiale. (Rigetta, App. Venezia, 13 Marzo 2003)