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Differenza transazione generale e speciale

 Cassazione civile sez. , n. 5139/2003

TRANSAZIONE - In genere

In riferimento al contratto di transazione, va distinta la cosiddetta "transazione generale" dalla "transazione speciale": con la prima le parti in lite chiudono definitivamente ogni contestazione su tutti i loro pregressi rapporti, costituendo una nuova situazione, all'interno della quale non è necessario individuare una concessione in relazione ad ogni singola vicenda implicata nel contratto, potendo la concessione di ciascuna parte tradursi anche nel totale sacrificio di una sola posizione, relativa ad uno dei vari affari coinvolti nel componimento di interessi; si ha invece transazione speciale quando l'accordo ha ad oggetto un affare determinato; in quest'ultimo caso, essa produce l'effetto preclusivo della lite solo limitatamente all'affare transatto.


Fonti:

Giust. civ. Mass. 2003, 4

Foro it. 2003, I, 3047



Sentenza


Cassazione civile sez. III, 03/04/2003, n.5139

Massime

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Intestazione


Fatto

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 30.11.1993 Filippo Pasquale Lo Mauro conveniva in giudizio davanti al tribunale di Termini Imerese, Carmelo Spitale chiedendo di pronunziare sentenza ex art. 2932 c.c. per il trasferimento di proprietà di un immobile urbano in Petralia Soprana. Assumeva l'attore che aveva stipulato una transazione con il convenuto, per eliminare le varie liti in atto in relazione a numerosi rapporti contrattuali, con la quale transazione lo Spitale avrebbe dovuto trasferirgli la proprietà del suddetto immobile sito in via Generale Medici n. 79 - 81; che il Lo Mauro rinunziava ad ogni pretesa sulle aziende denominate, "Impresa Spitale Carmelo" e "Copam s.n.c.; che lo Spitale a conguaglio versava la somma di L. 152 milioni; che il Lo Mauro non aveva nient'altro a pretendere dallo Spitale anche per rapporti non compresi nell'atto, ivi compresi quelli di lavoro subordinato.


Il convenuto resisteva alla domanda, eccependo la nullità e l'annullabilità della transazione.


Il Tribunale con sentenza depositata il 14.8.1996 accoglieva la domanda.


Proponeva appello lo Spitale.


Resisteva il Lo Mauro.


La Corte di appello di Palermo, con sentenza depositata il 20.9.1999, rigettava l'appello.


Riteneva la corte di merito che nella produzione dell'attore appellato risultavano due scritture intervenute tra le parti ed antecedenti alla transazione: una intestata "accordo fino al 30.6.1992" e l'altra datata 11.5.1992; che da tali scritture, contrariamente all'assunto dell'appellante, risultava che questi aveva adeguata conoscenza dell'assetto degli interessi oggetto della regolamentazione; che gli erano noti sia l'omesso rendimento del conto da parte del Lo Mauro in relazione all'impresa Stabile sia l'effettiva situazione patrimoniale della Copam s.n.c.; che l'oggetto del contratto, sulla base anche di dette scritture, poteva ritenersi adeguatamente determinato; che era infondato l'assunto che le pretese del Lo Mauro fossero temerarie; che non sussisteva l'assunto errore dello Stabile in merito alla situazione patrimoniale della "impresa Stabile", fatta apparire florida, mentre invece era deficitaria, in quanto, proprio sulla base delle due scritture pregresse alla transazione, poteva affermarsi che lo Spitale aveva conoscenza dei rapporti controversi e delle reciproche pretese e che egli era in condizione di percepire esattamente i presupposti ed i termini dall'accordo transattivo, facendo uso della normale diligenza.


Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione lo Spitale.


Resiste con controricorso il Lo Mauro.


Entrambe le parti hanno presentato memorie.


Diritto

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1346 c.c. e degli artt. 1965 e seg. c.c., la nullità per indeterminatezza ed indeterminabilità delle controversie e per la mancanza di reciproche concessioni, l'insussistenza dei requisiti essenziali del contratto di transazione e nullità per indeterminabilità dell'oggetto delle reciproche concessioni, l'omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).


Assume il ricorrente che la sentenza impugnata erratamente si è limitata a considerare il contenuto letterale delle scritture prodotte e ad osservare genericamente che dalle stesse era emersa sia la sussistenza di una res dubia sia l'intento di far cessare tale situazione con reciproche concessioni, mentre nella fattispecie non risulterebbero determinabili le reciproche concessioni. Inoltre secondo il ricorrente non risulterebbero quali fossero le rispettive pretese e quindi le reciproche concessioni, con conseguente indeterminatezza e, quindi, nullità della transazione ex art. 1346 c.c..


Inoltre, secondo il ricorrente, la situazione patrimoniale della società di fatto non era determinata nè era determinabile al momento della redazione della scrittura privata di transazione, poiché tutto era gestito dal Lo Mauro, che non aveva mai reso il conto dei lavori da lui espletati, per cui le perdite ed i vantaggi non potevano essere noti nella loro reale consistenza ad esso Spitale al momento della redazione della scrittura, data l'impossibilità di individuare l'oggetto della rinunzia fatta. 2.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato.


È opinione diffusa desumere dall'art. 1966, c. 2, c.c., che oggetto della transazione sia la situazione giuridica controversa, cioè la cosa o il comportamento su cui vertono la pretesa e la contestazione delle parti. Il punto è da condividere, con la precisazione che, poiché la transazione non importa una volizione retrospettiva, come nel contratto di accertamento, dove l'attenzione retrospettiva al rapporto accertato è essenziale alla funzione, l'oggetto della transazione va considerato essenzialmente sul piano della situazione che ad essa consegue, scindendo il legame con la situazione preesistente, l'individuazione della quale indica solo l'ambito entro cui la disposizione attuata dispiega efficacia preclusiva.


Certamente non può essere oggetto del contratto la lite in atto o che può sorgere (come pure ritiene Cass. n. 1980 del 2000), in quanto la lite è solo il presupposto della transazione ed in quanto ad essa non possono riferirsi i requisiti di cui all'art. 1346 c.c..


Ciò non toglie che, per la validità della transazione è necessaria la sussistenza della res litigiosa, in quanto ciò costituisce non l'oggetto, ma il presupposto della transazione ed integra l'ambito di operatività preclusiva della stessa ma ciò rileva essenzialmente sotto il profilo della causa. 2.2. A tal fine va rilevato che un negozio transattivo ben può essere concluso senza che le parti abbiano dato alle rispettive tesi contrapposte la determinatezza propria della pretesa, esteriorizzando il loro dissenso in una rigorosa formulazione, nè ciò impedisce al giudice di merito, il cui apprezzamento al riguardo è insindacabile in sede di legittimità se correttamente e congruamente motivato, di determinare l'esatto contenuto dell'accordo, attingendo a varie circostanze idonee a precisarne e chiarirne i termini, non essendo d'ostacolo a tale indagine il principio per cui la transazione deve essere provata per iscritto (Cass. 1 giugno 1983, n. 3758). 2.3. Quanto a questo presupposto del contratto di transazione va distinta la cd. "transazione generale" dalla "transazione speciale", che è presa in considerazione dalla legge nell'art. 1975 c.c..


Nella prima non occorre l'individuazione delle singole controversie, perché essa sia valida, poiché le parti l'hanno "conclusa generalmente sopra tutti gli affari che potessero esservi tra loro" (art. 1975, c. 1), intendendo con ciò chiudere definitivamente ogni contestazione sui loro pregressi rapporti definendo una nuova situazione. Non serve la sussistenza di reciproche concessioni in ordire ad ogni singola vicenda implicata dal contratto, potendo ciascuna concessione tradursi nel totale sacrificio di una delle posizioni contrapposte in uno dei singoli rapporti coinvolti nel componimento. La transazione speciale riguarda invece "un affare determinato" (art. 1975, c. 2 c.c.) producendo, pertanto l'effetto preclusivo limitatamente ad esso. 3. Nella fattispecie la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi di diritto.


Infatti la sentenza impugnata dà atto che la transazione investiva le numerose controversie relative ai rapporti contrattuali tra le parti relativamente alle aziende denominate "imprese Spitale Carmelo" e "Copam s.n.c"; che l'oggetto del contratto, sulla base anche di precedenti regolamentazioni negoziali, individuati dal giudice di merito in una scrittura intestata "accordo fino al 30.6.1992" ed in altra scrittura dell'11.5.1992, doveva ritenersi adeguatamente determinabile; che sulla base di detta documentazione emergeva che lo Spitale aveva adeguata conoscenza dell'assetto degli interessi oggetto della regolamentazione negoziale; che, in particolare gli erano noti al momento della stipula della transazione (o avrebbero dovuto essergli con l'uso della normale diligenza) sia l'omesso rendimento del conto da parte del Lo Mauro sia l'effettiva situazione patrimoniale della Copam s.n.c. La sentenza dà atto, altresì, delle concessioni reciproche delle parti e segnatamente di quelle del resistente, costituite dalla rinunzia ad ogni diritto sulle due aziende. 4.1. Quanto alla censura, secondo cui, la sentenza in questione avrebbe violato l'art. 1346 c.c. per non aver rilevato la nullità della transazione per indeterminatezza dell'oggetto, non essendo noti allo Spitale lo stato patrimoniale della società di fatto con il Lo Mauro e quindi i diritti a cui lo stesso rinunziava in suo favore, va anzitutto osservato che la corte di merito ha ritenuto, con accertamento di fatto fondato sulle scritture pregresse alla transazione, che allo Spitale erano noti sia l'omesso rendimento del conto da parte del Lo Mauro sia lo stato patrimoniale della Copam.


Trattasi di accertamento fattuale rientrante nei compiti del giudice del merito e che è immune da vizi motivazionali rilevabili in sede di sindacato di legittimità. 4.2. In ogni caso va osservato che l'oggetto della "concessione" del Lo Mauro era pacificamente costituito dalla rinunzia ad ogni diritto sulle due aziende. La questione che lo Spitale potesse non conoscere lo stato patrimoniale delle stesse, attiene non alla determinatezza dell'oggetto della "concessione", che era individuato dal trasferimento transattivo della piena titolarità della due aziende, ma al valore del bene, che, per effetto della transazione, si acquistava in piena titolarità.


Il ricorrente infatti lamenta che non gli erano noti "le perdite" ed "i vantaggi" conseguenti alla rinunzia del Lo Mauro.


Sennonché tale questione non attiene alla determinatezza dei diritti, cui rinunziava il Lo Mauro, che erano appunto i diritti sulle due aziende, ma alla consistenza economica degli stessi, diversa da quella ritenuta (apparente) dal resistente, che sul punto era incorso in errore.


La questione, quindi, non attiene alla determinatezza dell'oggetto della transazione ma a quella diversa dell'errore sul valore del bene ottenuto in sede transattiva, trattato nel secondo motivo di ricorso. 5. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1969, 1971 1429 c.c.; l'annullabilità della transazione per errore o per lite temeraria; l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).


Il ricorrente lamenta l'errata applicazione delle suddette norme da parte del giudice di appello, che non ha tenuto conto dell'entità delle concessioni da lui fatte e che egli era ignaro della reale e ben minore consistenza della quota del 50% della s.d.f. Spitale.


Ritiene il ricorrente che nella fattispecie risultavano gli elementi dell'essenzialità e della riconoscibilità dell'errore.


Inoltre, secondo il ricorrente, la consapevolezza dello Spitale della reale situazione patrimoniale della società, in una al suo comportamento di continua elusione della richiesta di rendicontazione, volta a celare la predetta effettività ed a rivendicare quanto risultava da una falsa apparenza, sono circostanze che integrano i presupposti della temerarietà della pretesa ai sensi dell'art. 1971 c.c..


Lamenta, inoltre, il ricorrente che non sono state ammesse le prove testimoniali, con cui egli mirava e provare la sua impossibilità, per fatto del Lo Mauro, di rendersi conto delle reali situazioni patrimoniali della società di fatto "impresa Spitale" e che la Copam s.n.c. non entrò mai in fase operativa. 6. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato.


Va, anzitutto, premesso, in relazione all'assunta differenza del valore economico delle diverse concessioni, che il carattere commutativo del contratto non può dirsi escluso dall'eventuale squilibrio economico delle relative prestazioni, cui ciascuna delle parti si è obbligata tenendo conto delle reciproche pretese (anche se in ipotesi infondate) ed in vista delle definizioni di tutti i possibili contrasti, non essendo richiesto un rapporto di equivalenza fra "datum" e "retentum". (Cass. 22 febbraio 2000, n. 1980).


A tal fine va ricordato che l'art. 1970 c.c. esclude che la transazione possa essere rescissa per causa di lesione. 7.1. Quanto all'errore di fatto, va osservato che la transazione, come tutti i contratti, soggiace alla disciplina generale sull'errore (art. 1428 ss. c.c.) nei limiti in cui questa non risulti derogata dalla disciplina speciale (artt. 1969, 1972, c. 2, 1973, 1974, 1975, c. 2).


L'art. 1969 c.c. statuisce che la transazione non può esser annullata per errore di diritto relativo alle questioni che sono state oggetto della controversia (cd. caput controversum).


La dottrina e la giurisprudenza (Cass. 9.8.1969, n. 2973; cass. 28.12.1967, n. 3024) estendono detta disciplina anche all'errore di fatto.


Il predetto orientamento è da condividere: se potesse farsi valere l'errore di fatto, verrebbe meno la funzione della transazione, che attua il superamento della lite prescindendo dalla consistenza della precedente situazione controversa.


Se, invece, l'errore di fatto o di diritto ricade su una questione estranea all'oggetto della lite transatta (caput non controversum), esso rende impugnabile la transazione (Cass. 16 marzo 1981, n. 1465).


In questo caso, infatti, viene meno la deroga alla disciplina generale, fissata dall'art. 1969 c.c.. 7.2. Generalmente si ritiene che nella transazione sia applicabile la disciplina sull'errore di cui all'art. 1429 c.c., allorché l'errore investa le reciproche concessioni e sempre che tale errore non attenga ad un caput controversum.


L'errore assunto dal resistente si fonda su un'assunta erronea conoscenza della consistenza patrimoniale delle due aziende a lui attribuite in sede transattiva, che non erano floride, così come apparivano, presentando anzi una situazione debitoria "l'impresa Spitale".


La tesi, quindi, si risolve in un errore sulla valutazione economica della "concessione" ricevuta, con la conseguenza che si pone il problema se tanto possa costituire causa di annullamento per errore di fatto della transazione effettuata.


A tal fine va osservato che in tema di errore sul valore della cosa compravenduta, secondo l'orientamento prevalente, l'errore sul valore della cosa oggetto della compravendita può dar luogo, se ne ricorrono i presupposti, all'azione di rescissione per lesione e non a quella di annullamento del contratto per vizi della volontà (Cass. 24 luglio 1993, n. 8290).


In particolare in caso di compravendita delle azioni di una società, che si assume stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della società stessa, il valore economico dell'azione non rientra tra le qualità di cui all'art. 1429 n. 2 c.c. relativa all'errore essenziale, anche quando il bilancio della società pubblicato prima della vendita sia falso e nasconda una situazione in forza della quale devono applicarsi gli art. 2447 e 2448 n. 4 c.c.) (Cass. 29 agosto 1995, n. 9067; I, 21 giugno 1996 n. 5773). 7.3. Il principio va esteso anche all'errore in cui sia incorsa una parte in sede di contratto di transazione.


Infatti il difetto di qualità della cosa "concessa" in sede di transazione - rilevante ai fini dell'annullamento del contratto per errore a della sua risoluzione - deve attenere unicamente alla "qualità" dei diritti ed obblighi -che in concreto il contratto sia idoneo ad attribuire, mentre non può riguardare il suo valore economico, in quanto essa non attiene all'oggetto del contratto ma alla sfera delle valutazioni motivazionali dalle parti e può quindi assumere rilievo solo ove siano state previste esplicite garanzie contrattuali in relazione alla consistenza economica del bene "concesso" ovvero nel caso di dolo di un contraente, che rende annullabile il contratto in relazione ad ogni tipo di errore determinante del consenso. 7.4. L'art. 1429 c.c. ha un duplice referente: il comune apprezzamento o il riferimento alle circostanze. Sotto il primo profilo, si ha riguardo alla tipica destinazione economica della cosa, e cioè alla sua destinazione obiettiva a realizzare il tipico scopo del contratto prescelto. Pertanto, deve trattarsi di caratteristiche inerenti alla cosa, che non consentono margini di opinabilità, in quanto non dipendono da una valutazione estimativa e cioè da un criterio di apprezzamento del bene alla stregua della pura e semplice "convenienza" (massimo di utilità raggiungibile) dell'affare, nell'economia di una delle parti.


Se si avesse riguardo alle caratteristiche dell'oggetto che - indipendentemente dalla sua destinazione tipica - influiscono sul prezzo che si è formato, nell'ambito dell'equilibrio interno impresso dalle parti alle prestazioni corrispettive, anziché tutelare la parte nei confronti dell'errore che le abbia impedito di conoscere (nella disciplina giuridica e nel contenuto di fatto) il negozio che sta per concludere, si attribuirebbe una tutela al cattivo uso dell'autonomia contrattuale, e cioè ai motivi che inducono a contrattare, nonché alle personali valutazioni, di cui ciascuno deve assumersi il rischio.


Ed invero, se per "comune apprezzamento" dovesse intendersi il prezzo che l'insieme degli operatori, e cioè il mercato di quel tipo di cose attribuisce alle cose stesse, con riguardo alla vendita, l'art. 1474 c.c., anziché applicarsi alle sole ipotesi ivi indicate, sarebbe di applicazione generalizzata perché il difetto di coincidenza fra il prezzo di mercato od il giusto prezzo ed il prezzo contrattuale porterebbe alla possibilità di annullare il contratto.


L'impossibilità di tutelare i meri errori di valutazione che influiscono soltanto sul valore della prestazione, dipende dall'intero sistema dell'autonomia contrattuale che - salvo casi specifici, qui non ricorrenti - riserva alla sfera dei motivi individuali ed irrilevanti l'apprezzamento dell'utilità dell'affare. 7.5. In ogni caso la corte di merito, con motivazione in fatto, incensurabile in questa sede di legittimità, perché immune da vizi motivazionali e fondata sulle pregresse scritture intervenute tra le parti, ha ritenuto insussistente l'errore assunto, in quanto allo Spitale erano noti i termini ed i presupposti dell'accordo transattivo, facendo uso della normale diligenza.


Correttamente, quindi, la corte di merito ha ritenuto inammissibili le prove testimoniali richieste, oltre ad essere le stesse irrilevanti, mirando le stesse a provare l'errore del ricorrente sul valore delle concessioni ricevute. 8.1. Infondata è anche la censura di violazione dell'art. 1971 c.c..


Osserva preliminarmente questa Corte che l'annullamento della transazione su pretesa temeraria ai sensi dell'art. 1971 c.c. presuppone che la pretesa fatta valere dalla parte, nei cui confronti si chiede l'annullamento, sia assolutamente ed obiettivamente infondata, e ciò in aderenza alla necessità che il rapporto dal quale scaturisce la transazione sia una res dubia, che cioè vi sia incertezza sui rispettivi diritti delle parti. La mancanza di detto presupposto esclude, di per sè, l'annullamento.


Pertanto il giudice, accertato che la pretesa non sia assolutamente infondata, deve respingere la domanda di annullamento della transazione senza compiere alcuna altra indagine, tanto più che l'art. 1971, richiedendo, per l'annullamento della transazione la consapevolezza, in una delle parti, della temerarietà della sua pretesa, esclude che sia sufficiente la colpa grave, essendo invece necessario il dolo (Cass. 4 giugno 1988, n. 3797; Cass. 28 novembre 1984, n. 6191). 8.2. Ne consegue che elementi essenziali per tale forma di annullamento sono: una pretesa "temeraria" e la consapevolezza della stessa (mala fede).


La pretesa temeraria è circoscritta all'assoluta, obiettiva ed evidente inesistenza del diritto fatto valere nella lite, in corso o che può sorgere.


Essa non si identifica con un comportamento comunque scorretto o in mala fede del soggetto che avanza la pretesa.


L'unica mala fede che rileva è quella che investe il primo dei requisiti e cioè la pretesa temeraria. 8.3. Nella fattispecie la corte di merito ha ritenuto che non fosse provato che il Lo Mauro avesse avanzato una pretesa temeraria.


Il ricorrente che, pure censura detta decisione, non indica quale fosse detta pretesa temeraria, e cioè quale fosse il diritto reclamato dal Lo Mauro, per quanto assolutamente inesistente, e su cui era insorta (o poteva insorgere) una lite, che con la transazione era stata definita.


Le censure che il ricorrente muove attengono all'errata valutazione del comportamento del Lo Mauro, per aver eluso le richieste di rendicontazione, per aver celato l'effettività della situazione patrimoniale delle società e creato una falsa apparenza, ma tanto non attiene alla "pretesa" fatta valere, intesa come elemento della lite, ma al comportamento tenuto dal Lo Mauro.


Il motivo di doglianza, che identifica la pretesa temeraria con il comportamento tenuto dal Lo Mauro, è quindi infondato e va rigettato.

9. Il ricorso va pertanto rigettato.


Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione sostenute dal resistente e liquidate come in dispositivo.


PQM

p.q.m.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione sostenute dal resistente e liquidate in Euro 93,83, oltre Euro tremila--00 per onorario di avvocato.


Così deciso in Roma, lì 8 novembre 2002.

Danno da perdita di detrazione fiscale - bonus edilizi

 Tribunale Latina, 16/11/2021, (ud. 16/11/2021, dep. 16/11/2021), n.2007


RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE


Con atto di citazione ritualmente notificato F.L. conveniva in giudizio (omissis) Costruzioni s.r.l. in persona del suo legale rappresentante.


Deduceva che, in data 20.05.2013, per atto del notaio AN.D. cedeva alla M. Light s.r.l. la proprietà del locale ad uso commerciale di 95 mq, identificato in Catasto al fog. (omissis) map. (omissis) sub (omissis), facente parte di un fabbricato nel Comune di Caserta frazione San Benedetto al (omissis).


Proseguiva, adducendo che alla stipula del contratto di compravendita, alla presenza della Sig.ra D'A.L. in qualità di amministratore unico e legale rappresentante della società (omissis) costruzioni s.r.l, veniva stabilito che parte del prezzo della compravendita (e precisamente € 88.000,00) era rappresentato dall'accollo da parte della M. Light srl, in persona del legale rappresentante pro tempore D'A.N., del debito che il Sig. L. aveva con la (omissis) COSTRUZIONI SRL per l'esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria eseguiti nel predetto locale.


Asseriva, poi, che dopo la stipula dell'atto, a seguito dell'incasso da parte dell'odierna convenuta della somma di € 88.000,00, chiedeva di ricevere copia della fattura riguardante il saldo del pagamento anche per il tramite dello studio legale Fiorillo, fattura pervenuta, a distanza di diversi anni, solo in data 18/12/2018.


Parte attrice deduceva, inoltre, che, a causa del tardivo invio della fattura, non aveva potuto beneficiare delle agevolazioni fiscali previste per i lavori di ristrutturazione, ossia le detrazioni del 50% per le ristrutturazioni edilizie anno 2012, con produzione di un danno economico pari ad € 44.000,00; che in data 10/09/2019 veniva inviata comunicazione a mezzo pec al fine di risolvere la questione in via transattiva con contestuale invito alla negoziazione assistita; e che, nonostante i diversi tentativi per giungere ad una soluzione bonaria della vicenda, non riusciva ad avere alcun riscontro.


Rassegnava, quindi, tali conclusioni: “In via principale: accertare e dichiarare la responsabilità della (omissis) Costruzioni, in persona del legale rappresentante p.t., del tardivo invio della fattura n. (omissis) del 18/12/2012, causando un danno economico al Sig F.L. pari a € 44.000,00, oltre interessi non avendo potuto beneficiare delle agevolazioni fiscali previsti per i lavori di ristrutturazione. Sempre in via principale, accogliere la domanda e, per l'effetto, condannare la (omissis) Costruzioni srl, in persona del legale rappresentante p.t, per le ragioni esposte in premessa al pagamento della somma in favore del Sig F.L. di € 44.000,00 oltre interessi o in quella somma maggiore o minore che riterrà di giustizia. Vittoria di spese e compenso, con distrazione in favore del sottoscritto procuratore antistatario.”


Si costituiva l'odierna convenuta contestando ed impugnando tutto quanto ex adverso dedotto e preliminarmente eccependo la prescrizione del diritto al risarcimento vantato dall'attore.


Ed invero, contestava che il primo atto interruttivo della prescrizione era rappresentato dalla richiesta di invito ad aderire alla convenzione assistita inoltrata dall'attore a mezzo PEC nel settembre 2019, ossia a distanza di ben sette anni rispetto al 2012, anno al quale si riferivano i lavori di ristrutturazione, ed a distanza di 6 anni dalla scadenza del termine per la richiesta di detrazione fiscale che andava presentata nel 2013 e, precisamente, entro il termine di scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno in cui le opere edili venivano eseguite, così come prescritto dalle circolari n. 57 e n. 131 del 1998 del Ministero delle Finanze.


Proseguiva asserendo che non poteva essere considerato atto interruttivo della prescrizione del diritto al risarcimento vantato da controparte la richiesta di consegna della fattura del 04.12.2012 inoltrata dall'avvocato FI.


Nel merito, contestava le affermazioni della controparte asserendo che, come previsto dall'art. 16 bis testo unico delle imposte sui redditi, l'agevolazione fiscale non era per tutti i tipi di lavori ed in relazione a tutti gli immobili, ma soltanto per alcuni tipi di lavori e per alcune categorie catastali di immobili, in particolare, era prevista soltanto in relazione agli edifici individuati dalla categoria catastale “A”, ossia in relazione ai cosiddetti immobili aventi destinazione d'uso abitativa, mentre, come si evinceva dall'atto di compravendita del 20.05.2013, l'immobile, per cui parte attrice vantava la perdita del diritto al beneficio fiscale, veniva indicato di categoria “C/1”, tant'è che veniva definito “locale ad uso commerciale al piano terra”.


Asseriva, infine, che parte attrice non aveva il diritto al beneficio invocato anche in relazione alle modalità di pagamento adottate in merito ai lavori di ristrutturazione, atteso che, per ottenere il beneficio della detrazione fiscale, la legge richiedeva come requisito necessario non solo l'effettuazione del bonifico, bancario o postale, ma anche che lo stesso doveva essere effettuato con specifiche prescrizioni.


A sostegno di quest'ultima contestazione, parte convenuta adduceva che l'articolo 16 bis del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi di cui al DPR n. 917/1986), in merito alle formalità da rispettare a pena di decadenza per godere del beneficio della detrazione fiscale, richiamava le disposizioni del decreto del Ministro delle Finanze del 18 febbraio 1998 n. 41 che, ai fini del riconoscimento delle dette detrazioni fiscali, prevedeva ex art. 1 comma 3 che i pagamenti dovevano essere effettuati con il cosiddetto bonifico “parlante”, ossia con bonifico bancario o postale dal quale risultava: la causale del versamento, il codice fiscale del soggetto che effettuava il pagamento ed il codice fiscale o la partita iva del beneficiario del pagamento; mentre al successivo art. 4 lett. b) prevedeva espressamene che la detrazione non era riconosciuta in caso di effettuazione di pagamento secondo modalità diverse da quelle previste dall'art. 1 comma 3.


Asseriva, inoltre, sul punto che nulla di tutto questo risultava effettuato dall'attore, atteso che nel medesimo atto di compravendita del 20 maggio 2013, dopo la previsione dell'accollo in capo alla M. Light s.r.l. del debito dei lavori di ristrutturazione effettuati dall'attore, si dava atto del pagamento dei detti lavori a mezzo assegno bancario e non a mezzo bonifico, e men che mai “parlante”.


Concludeva chiedendo “in via preliminare dichiarare l'intervenuta prescrizione del diritto vantato; nel merito rigettare la domanda attorea in quanto del tutto infondata sia in fatto che in diritto. Il tutto con vittoria di spese, diritti ed onorari di causa, oltre spese generali, iva e c.p.a. come per legge.”


Quanto all'eccezione di prescrizione sollevata dalla convenuta, parte attrice controdeduceva che aveva più volte sollecitato il rilascio della fattura e nonostante una richiesta formale già nel 2015, ma che la (omissis) costruzioni S.r.l. aveva provveduto al rilascio solo nell'anno 2018 per effetto di formali diffide, per cui la richiesta di risarcimento era consequenziale al mancato rilascio della fattura richiesta nel 2015.


Adduceva, inoltre, che il termine di prescrizione applicabile, in considerazione del fatto che la normativa in materia stabiliva detraibilità delle spese per le ristrutturazioni edilizie, era di dieci anni, ripartite in dieci rate annuali, a partire dall'anno in corso ed in quelli successivi. Affermava, pertanto, che, fermo restando gli atti interruttivi posti in essere, comunque nessun termine di prescrizione dell'azione risarcitoria risultava prescritto.


Quanto alla circostanza dell'inesistenza del diritto alla detrazione fiscale per insussistenza dei requisiti di legge, l'attore controdeduceva che l'agevolazione fiscale sugli interventi di ristrutturazione edilizia disciplinata dall'art. 16-bis del Dpr 917/86 (Testo unico delle imposte sui redditi) consisteva in una detrazione dall'Irpef del 36% delle spese sostenute, fino a un ammontare complessivo delle stesse non superiore a 48.000 euro per unità immobiliare. Tuttavia, per le spese effettuate dal 26 giugno 2012 al 30 giugno 2013, il decreto-legge n. 83/2012 aveva elevato al 50% la misura della detrazione e a 96.000 euro l'importo massimo di spesa ammessa al beneficio e che questi maggiori benefici erano poi stati prorogati più volte da provvedimenti successivi. Da ultimo, assumeva che la legge di bilancio 2017 (legge n. 232 dell'11 dicembre 2016) aveva prorogato al 31 dicembre 2017 la possibilità di usufruire della maggiore detrazione Irpef (50%), confermando il limite massimo di spesa di 96.000 euro per unità immobiliare.


Proseguiva affermando che tali benefici si estendevano anche ai locali commerciali, poiché la normativa richiamata prevedeva per tali locali: – detrazioni del 50% per le spese sostenute con bonifici eseguiti dall'amministratore di condominio dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2019 per un limite massimo di 96 mila euro. – detrazioni del 36% per tutte le spese effettuate fino ad un limite di 48 mila euro pagate dal 1° gennaio 2020.


Adduceva, infine, che l'illegittima condotta posta in essere dalla convenuta aveva impedito di poter usufruire anche delle detrazioni previste per le ristrutturazioni edilizie eseguite nelle zone sismiche di grado 2, come era classificata la Città di Caserta e, più dettagliatamente, si estendevano non solo agli immobili di tipo abitativo, ma anche a quelli utilizzati per attività produttive.


Concludeva, pertanto, che rientravano in quest'ultima categoria le unità immobiliari in cui si svolgevano attività agricole, professionali, produttive di beni e servizi, commerciali o non commerciali.


Quanto, infine, all'eccezione relativa al mancato pagamento dei lavori a mezzo di bonifico parlante, l'attore controdeduceva che la stessa Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 55/E/2012, precisava che la non corretta compilazione del bonifico non consentiva di fruire della detrazione di imposta, salva l'ipotesi della ripetizione del bonifico in modo corretto e che la successiva circolare n. 43/E/2016, prevedeva di sanare l'errore di un pagamento effettuato con un bonifico ordinario, previa richiesta al fornitore (e beneficiario dell'accredito) di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio, cui attestava di avere ricevuto le somme e di averle incluse nella propria contabilità ai fini della loro concorrenza alla determinazione del reddito.


Proseguiva, dunque, affermando che qualora la (omissis) Costruzioni S.r.l. avesse consegnato la suddetta fattura anche di fronte alla paventata ipotesi di non poter usufruire subito delle detrazioni previste, per carenza del bonifico parlante, avrebbe potuto, comunque, rimediare ed evitare tutte le pregiudizievoli conseguenze subite eseguendo un corretto bonifico ovvero con le modalità richiamate.


Parte convenuta controdeduceva, quanto al fatto che il diritto al beneficio fiscale vantato sarebbe stato prorogato più volte e, in particolare, dalla legge di bilancio 2017 (legge n. 232 dell'11 dicembre 2016) -che avrebbe prorogato al 31 dicembre 2017 la possibilità di usufruire della maggiore detrazione Irpef (50%), estendendola anche ai locali commerciali - che la proroga prevista dalla legge di bilancio 2017, se da un lato consentiva tutte le proroghe del beneficio, dall'altro prevedeva un preciso limite temporale in cui le spese da detrarre dovevano essere sostenute, ossia soltanto “per le spese sostenute dal 1° gennaio 2017 al 31 dicembre 2021”.


Quanto alle affermazioni di parte attrice sul bonifico parlante, parte convenuta controdeduceva che con la circolare (rectius risoluzione) n. 55/E/2012 l'Agenzia delle Entrate aveva precisato che la non corretta compilazione del bonifico non consentiva di fruire della detrazione, salva l'ipotesi della ripetizione del bonifico in modo corretto, mentre con circolare n. 43/E/2016 avrebbe poi previsto la possibilità di sanare l'errore laddove effettuato con bonifico ordinario, previa richiesta al fornitore di una dichiarazione sostitutiva di atto notorio e con successiva attestazione di aver ricevuto le somme e di averle inserite nella propria contabilità.


Asseriva, pertanto, che era evincibile dal medesimo richiamo effettuato da controparte, che l'Agenzia delle Entrate, con dette risoluzioni e/o circolari aveva contemplato l'ipotesi, diversa dal caso di specie, in cui il pagamento era avvenuto o con bonifico con non corretta compilazione o con bonifico ordinario, mentre il punto nodale della vicenda, invece, era il pagamento dei detti lavori che erano avvenuti non già a mezzo bonifico, ma a mezzo assegno bancario e, precisamente, con assegno bancario n. (omissis), tratto in data 20.05.2013 su Banco di Napoli.


Istruita documentalmente la causa, all'udienza del 16.09.2021 le parti precisavano le conclusioni e veniva trattenuta in decisione con i termini di legge ex art. 190 c.p.c.


Preliminarmente, quanto all'eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento del danno vantato dall'attore, essa va accolta.


La pretesa fatta valere rientra nella fattispecie di risarcimento danno da responsabilità extracontrattuale.


In punto di diritto, ai sensi dell'art. 2043 c.c., la responsabilità extracontrattuale, è la responsabilità civile che sorge in conseguenza del compimento di un fatto illecito, doloso o colposo, che cagioni ad altri un ingiusto danno (art. 2043 del c.c.), come nel caso di specie, in cui la parte fonda il proprio diritto, non sulla base della violazione di un'obbligazione contrattuale, ma sulla base della violazione del principio del naeminen laedere.


Ne deriva che l'azione per il risarcimento del danno si prescrive in cinque anni.


Ebbene, in materia di illecito civile, la prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dal momento in cui il danneggiato ha avuto reale e concreta percezione dell'esistenza e gravità del danno stesso, nonché della sua addebitabilità ad un determinato soggetto, ovvero dal momento in cui avrebbe potuto avere tale percezione usando l'ordinaria diligenza (Cass. civ. n. 4899/2016).


Nel caso di specie, pertanto, il dies a quo decorre dal momento in cui l'attore avrebbe potuto far valere il diritto alla detrazione, ossia nell'anno 2013, precisamente, entro il termine di scadenza per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all'anno in cui le opere edili venivano eseguite, così come prescritto dalle circolari n. 57 e n. 131 del 1998 del Ministero delle Finanze.


Quanto all'interruzione della prescrizione, un atto, per avere efficacia interruttiva, deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto obbligato (elemento soggettivo), l'esplicitazione di una pretesa e l'intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l'inequivocabile volontà del titolare del credito di far valere il proprio diritto, nei confronti del soggetto indicato, con l'effetto sostanziale di costituirlo in mora (elemento oggettivo). Quest'ultimo requisito non è soggetto a rigore di forme, all'infuori della scrittura, e, quindi, non richiede l'uso di formule solenni né l'osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere dal medesimo il soddisfacimento del proprio diritto.


Ne consegue che non è ravvisabile tale requisito in semplici sollecitazioni prive di carattere di intimazione e di espressa richiesta di adempimento al debitore, nonché la riserva, anche se contenuta in un atto scritto, di agire per il risarcimento di danni diversi e ulteriori rispetto a quelli effettivamente lamentati, trattandosi di espressione che, per genericità ed ipoteticità, non può in alcun modo equipararsi ad una intimazione o ad una richiesta di pagamento. (Cassazione civile, Sez. III, sentenza n. 3371 del 12 febbraio 2010).


Nel caso di specie la parte attrice adduce che il primo atto interruttivo della prescrizione è la richiesta di ricevere copia della fattura riguardante il saldo del pagamento, richiesta che è avvenuta anche tramite lo studio legale Fiorillo, di cui all'allegato 2 all'atto di citazione.


Ebbene, negli allegati all'atto di citazione non è presente nessun allegato 2 dal quale si può evincere che l'attore ha chiesto alla convenuta la copia della fattura al fine di far valere il suo diritto.


Ma, a tutto voler concedere, tale atto, ancorché presente, non sarebbe stato idoneo ad interrompere la prescrizione nei termini anzidetti.


Pertanto, il primo atto interruttivo della prescrizione è rappresentato dalla richiesta di invito ad aderire alla convenzione assistita inoltrata a mezzo pec nel settembre del 2019 ossia a ben sette anni di distanza rispetto al 2013, scadenza del termine per la richiesta di detrazione fiscale.


Premesso ciò, si osserva che le doglianze di parte attrice non risultano, in ogni caso, suffragate da sufficienti elementi probatori né in ordine alla condotta illegittima della (omissis) Costruzioni né in ordine al nesso causale.


La parte, nello specifico, non ha provato che con la (omissis) Costruzioni aveva un accordo per il quale doveva essere inviata la fattura dell'avvenuto pagamento al fine di usufruire della detrazione fiscale per le ristrutturazioni e che, nell'atto di compravendita, era stato previsto solo l'accollo, da parte della M. Light srl, del debito che il sig. F.L. aveva con la (omissis) Costruzioni S.r.l. e non anche l'obbligo di consegna di fattura da parte della L.G.S. Costruzioni nei confronti dell'attore.


A tutto voler concedere, il diritto alla detrazione fiscale per lavori di ristrutturazione edilizia, disciplinato dall'art. 16 bis Testo Unico delle Imposte sui Redditi, prevede ex art. 1 comma 3 che i pagamenti (cui ineriscono i lavori) debbano essere effettuati con il cosiddetto bonifico “parlante”, ossia con bonifico bancario o postale dal quale risulti: la causale del versamento, il codice fiscale del soggetto che effettua il pagamento ed il codice fiscale o la partita iva del beneficiario del pagamento, mentre al successivo art. 4 lett. b) prevede espressamene che la detrazione non è riconosciuta in caso di effettuazione di pagamento secondo modalità diverse da quelle previste dall'art. 1 comma 3.


Ebbene, nel caso di specie, innanzitutto non v'è stato un pagamento diretto tra il signor Feola, presso il cui immobile sarebbero stati effettuati i lavori, e la società (omissis) Costruzioni, quale ditta esecutrice dei lavori, ma tra quest'ultima e la M. Light s.r.l., per essersene accollata l'importo.


In aggiunta a ciò, nell'atto di compravendita si dà proprio atto del pagamento dei detti lavori a mezzo assegno bancario, contrariamente alle prescrizioni previste dall'art. 16 bis Testo Unico delle Imposte sui Redditi.


Non sarebbe, stato, poi, visto il metodo di pagamento utilizzato, possibile usufruire delle prescrizioni di cui alle citate circolari dell'Agenzia delle Entrate.


Non sussiste, poi, alcuna prova del nesso eziologico tra il lamentato (inesistente) comportamento illegittimo della (omissis) Costruzioni S.r.l. ed il preteso danno.


Le spese processuali, liquidate come in dispositivo, sulla base di quanto previsto dal D.M. n. 55/2014, seguono la soccombenza e sono poste a carico di parte attrice in base al valore della domanda.


La domanda di distrazione delle spese è accoglibile, in relazione alla sua tempestività (cfr. Cass. Civ. sez. III 412/06).

PQM

Il Tribunale di Latina, in composizione monocratica, definitivamente pronunciando, ogni contraria istanza ed eccezione disattesa, così provvede:


- rigetta tutte le domande di parte attrice,


- condanna parte attrice al pagamento delle spese di lite in favore di parte convenuta che liquida in € 1.200,00 per la fase di studio, € 700,00 per la fase introduttiva, € 800,00 per la fase istruttoria e € 1.600,00 per la fase decisoria, oltre a Iva, spese generali e CPA, da distrarsi in favore del procuratore della parte dichiaratosi antistatario.


Manda alla cancelleria per la comunicazione alle parti.


Latina, 16.11.2021

Risoluzione contratto di locazione

Sentenza Tribunale Massa, 21/11/2023


Fatto

MOTIVI DELLA DECISIONE


La domanda di risoluzione del contratto di locazione risulta fondata e deve essere accolta, mentre l'opposizione e la domanda riconvenzionale proposte dalla convenuta risultano del tutto destituite di fondamento.


La eccepita nullità del contratto per l'asserita indeterminatezza del bene oggetto di locazione appare tesi decisamente singolare e totalmente inaccoglibile, tenuto conto che il fondo oggetto di causa è descritto nella premessa del contratto con richiamo dell'indirizzo civico, all'art. 11 della convenzione negoziale si dà atto che il conduttore lo ha esaminato e lo ha trovato adatto alle proprie necessità (quindi avendone chiaramente contezza in ordine alla consistenza), e tale doveva essere la consapevolezza e la chiarezza delle parti in ordine alla sua estensione che la concessione in godimento di una ulteriore porzione (fatto pacificamente riconosciuto dalle parti, doc. 10 parte convenuta) è stata oggetto di ulteriore convenzione, anche se il dato maggiormente dirimente e che qualifica la capziosità della opposizione (e della specifica eccezione) è costituito dal pacifico godimento per un decennio (il contratto è del 2012) del bene da parte del conduttore senza eccezioni e senza obiezioni di sorta, manifestando dubbi sulla consistenza dei locali solo in sede giudiziale, ove è stato convenuto per il suo inadempimento.


Quanto alla prova dei pagamenti in contanti, va osservato che il capitolo di prova dedotto da parte convenuta appare del tutto decontestualizzato e generico, omettendo di riferire modalità di tempo e di luogo così che rimettere al teste la deposizione su pagamenti per 12.500 euro senza specificare con quali modalità siano avvenuti, da parte di chi e in quale luogo siano stati effettuati, lasciando risposta totalmente aperta, costituisce capitolazione non conforme al dettato dell'art 244 c.p.c. e finisce per violare significativamente il diritto di difesa della parte poiché – di fatto – rende impossibile articolare prova contraria: “In proposito, non sembra superfluo rimarcare


- in sintonia con l'orientamento ripetutamente espresso dalla Corte territoriale - che "il necessario giudizio circa la rilevanza di una prova testimoniale – che: a) deve essere formulato in via officiosa, vale a dire anche senza un'eccezione della controparte; da ultimo, Cass. 19.1.2018, n. 1294; b) è uno dei due presupposti indispensabili per l'ammissibilità, insieme con la conformità dell'articolazione e della richiesta alle regole processuali; c) postula e giustifica il requisito basilare della specificità dei capitoli di prova ex art. 244 c.p.c. – sussiste se sia positivamente valutabile a priori l'idoneità dei fatti, prospettati dalla parte e da chiedere ai testimoni, a costituire il fondamento del diritto azionato. Con la precisazione che il giudice, nell'avvalersi della facoltà di cui all'art. 253, 1° co., c.p.c., rivolgendo al teste le domande utili a chiarire i fatti oggetto della sua deposizione, non può, in ogni caso, supplire alle deficienze del mezzo istruttorio (Cass. 12.6.2015, n. 12192), perché – è esplicativo aggiungere – si verificherebbe altrimenti (cioè, se bastasse una generica istanza istruttoria della parte onerata della prova, con delega al giudice di cercare il riscontro adeguato, orientando l'assunzione delle testimonianze verso tale obiettivo) un'irregolare inversione dell'iter processuale configurato dal codice di rito e un vulnus nello svolgimento del processo, in pregiudizio dell'altra parte" (Trib. Foggia sez. lavoro 10.5.2023 n. 1658).


E ancora “La richiesta di provare per testimoni un fatto esige non solo che questo sia dedotto in un capitolo specifico e determinato, ma anche che sia collocato univocamente nel tempo e nello spazio, al duplice scopo di consentire al giudice la valutazione della concludenza della prova e alla controparte la preparazione di un'adeguata difesa” (Cass. 24377/2021. Cass 20997/2011, che ha ritenuto inammissibile il capitolo di prova per testimoni volto a dimostrare il compimento di una dichiarazione ammissiva fatta dal debitore ad un terzo qualora non sia indicato nel capo di prova il giorno in cui tale dichiarazione sarebbe stata resa).


E ciò anche a voler tacere che i poteri officiosi di indagine e di integrazione probatoria del giudice nel rito locatizio sono certamente ristretti rispetto a quello del lavoro, posto che - a mente dell'art. 447 bis c.p.c. - risulta applicabile alle controversie in materia di locazioni unicamente il comma I dell'art. 421 c.p.c.


Ai fini della ammissibilità della prova totalmente generica e come tale inammissibile, dedotta dalla convenuta in ordine agli asseriti pagamenti in contanti, a nulla rileva il doc. 10, che attesterebbe un ridottissimo pagamento in contanti (e nulla dice sugli ulteriori e rilevanti sui quali è stata dedotta prova testimoniale) e che è comunque stato disconosciuto da parte attrice all'udienza del 30.9.2022, del quale la convenuta non ha chiesto la verificazione, di talché non può essere utilizzato quale prova documentale nel giudizio.


Parimenti infondata appare la richiesta di risarcimento dei danni subiti dalle attrezzature della convenuta a seguito dei distacchi di corrente, poiché non vi è alcuna prova che tali asseriti danni si riferiscano a conseguenze causalmente connesse con la condotta di parte attrice, né pare idoneo a fornire tale prova il capitolo B) dedotto dalla convenuta nella memoria integrativa, totalmente inammissibile per genericità e inconferenza, non contenendo alcun riferimento concreto e temporale né alcuna descrizione degli accadimenti che consenta di connettere oggettivamente e soggettivamente i lamentati danni alle circostanze e condotte dedotte in atti (anche laddove il teste ammetta di aver assistito a improvvise interruzioni di corrente, senza che siano indicate data e modalità, né conseguenze concrete, la dichiarazione risulterebbe inutile ai fini del giudizio, in assenza di alcuna prova o allegazione -ad esempio relazione tecnica di parte - sul nesso causale fra i lamentati danni e tali distacchi, non potendo certamente essere rimesso al teste giudizio sul punto).


Parimenti appare incomprensibile il nesso di causa che si pretenderebbe di stabilire fra il subito furto e la condotta del locatore, vieppiù alla luce dell'art. 11 della pattuizioni contrattuali, mentre risulta del tutto non provato (per il vero, neanche dedotto a prova) che le lamentate infiltrazioni abbiano comportato un diminuito godimento del bene, che legittimasse una riduzione dei canoni, né risulta non solo documentata ma neanche dedotta in alcun modo l'entità degli esborsi che la conduttrice afferma di aver sostenuto per interventi di manutenzione straordinaria; nulla appare provato né dedotto in ordine alla loro ripetibilità nei confronti del locatore.


Quanto alla autoriduzione del canone per il periodo emergenziale, secondo la giurisprudenza di questo Tribunale, già richiamata nell'ordinanza 25.10.2022, non può ritenersi sussista alcun automatismo connesso alle restrizioni di quel momento, così che ove risulti sussistente una diminuita possibilità di utilizzazione (che nel caso di specie non è stata né specificamente dedotta né, tantomeno, provata) riconducibile a fatto non imputabile alle parti, e costoro non addivengano a una riduzione negoziale, dovrà essere specificamente provata l'incidenza delle misure sulla attitudine del bene a rendere l'utilità dedotta in contratto, a fronte della quale potrà eventualmente essere richiesta in via giudiziale una riconduzione ad equità del vincolo sinallgmatico (Rel. Massimario 8.7.2020 . n.56) posto che “La normativa emergenziale emanata nel corso della pandemia da covid-19 non prevede una sospensione dell'obbligo di corrispondere i canoni di locazione o di diminuirne l'importo ad nutum del conduttore: dirimente in tal senso è la circostanza per cui gli interventi governativi in materia locatizia si sono limitati a concedere agevolazioni di natura fiscale in favore delle imprese la cui attività è stata sospesa a seguito delle misure restrittive "anti coronavirus", ma non hanno concesso un'esenzione dal pagamento dei canoni, e ciò sta a significare una ben precisa volontà del legislatore di non far venir meno né limitare l'obbligazione di versare il canone stesso” (Trib. Firenze 18.5.2022 n. 1447) .


Va infatti rilevato che, per pacifica giurisprudenza, ai fini dell'azione di sfratto per morosità (che certamente rappresenta domanda di risoluzione del vincolo per inadempimento del conduttore, azionata in via sommaria, rimanendo in tal senso del tutto insondabile la tesi affermata dalla convenuta che ' la procedura di sfratto non presuppone una domanda di risoluzione contrattuale in quanto la disciplina non si applica alle Locazioni NON abitative”) a parte attrice incombe unicamente l'onere di provare la sussistenza di una legittima fonte di obbligazione (rappresentata dal contratto di locazione ritualmente stipulato e registrato), adducendo l'inadempimento grave della conduttrice, mentre incombe al convenuto la prova dei fatti modificativi/estintivi ex art 2697 comma II c.c., onere al quale, come si è detto, non ha assolto.


Va infine osservato che, in ogni caso, a fronte di una morosità individuata dal locatore in euro 19.092,00 nei conteggi effettuati nelle memorie difensive finali (che non hanno trovato alcuna contestazione nelle note di parte convenuta del 1.10.2023) l'eventuale versamento in contanti – anche ove fosse provato, e così non è stato – lascerebbe residuare una morosità pari a quasi settemila euro, importo che, a fronte della prestazione dedotta in contratto, rappresenta circa una annualità, inadempimento che comunque integrerebbe gli estremi di cui all'art. 1455 c.c.


Delle vicende di eventuale rilievo penale le parti avranno l'opportunità di discutere nelle competenti sedi, poiché quanto dedotto nelle querele depositate in atti non può costituire ragione di prova alcuna a favore o a carico dell'altra, rappresentando – allo stato – mere dichiarazioni unilaterali.


Le spese seguono la soccombenza e, tenuto conto delle caratteristiche, dell'urgenza e del pregio dell'attività prestata, dell'importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell'affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, del numero e della complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate possono essere liquidate in misura prossima ai medi di scaglione previsto dal D.M. 147/2022 avuto riguardo al decisum


PQM

P.Q.M.


Il Tribunale definitivamente pronunciando nella causa civile in epigrafe


Dichiara risolto per inadempimento grave del conduttore il contratto di locazione 8.6.2012 stipulato dalle parti e condanna M. di B.B. & C. s.n.c. a versare a ZM. S.r.l. la somma di € 19.092,00 per canoni scaduti, oltre interessi ex D.lgs. 231/2002 dalle singole scadenze al saldo.


Condanna M. di B.B. & C. s.n.c. a rilasciare immediatamente l'immobile sito in Carrara Via (omissis), ove ciò già non sia avvenuto, secondo quanto disposto con ordinanza 25.10.2022 in favore di ZM. S.r.l.


Respinge ogni altra domanda delle parti, ivi compresa la riconvenzionale avanzata dalla convenuta Condanna M. di B.B. & C. s.n.c. alla refusione delle spese di lite in favore di ZM. S.r.l. che liquida in euro 200 per esborsi e euro 5.388,00 per competenze ex dm 147/2022, oltre spese generali 15% e accessori di legge.


Così deciso dal Tribunale di Massa il 21/11/2023


Immissioni rumore moleste legittimazione

 Sentenza Corte appello Venezia sez. II, 07/02/2023, (ud. 17/01/2023, dep. 07/02/2023), n.281



Fatto

Motivi della decisione


In fatto.-


1. Con atto di citazione notificato in data 19-11-2015 Da. Vi. ha convenuto in giudizio avanti il tribunale di Padova St. Bo. per far accertare che “dal fondo dell'arch. St. Bo. ... giungono nell'abitazione dell'attore immissioni eccedenti la normale tollerabilità e i limiti stabiliti dalla legge”, tali da impedire “il normale godimento dell'abitazione di residenza dell'arch. Vi. e il suo esercizio dell'attività anche professionale di musicista”, con richiesta di condanna del convenuto “a porre in essere opere di coibentazione idonee a non far percepire i rumori degli spari nell'abitazione dell'arch. Vi.” e di condanna al risarcimento del “danno biologico, temporaneo e permanente subito dall'attore e del danno da perdita di valore d'uso dell'abitazione condannando controparte al risarcimento. Interessi e rivalutazioni dal fatto”. L'attore formulava altresì richiesta di provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c.


2. St. Bo., nel costituirsi in causa, ha dedotto di aver concesso in locazione il terreno di cui è causa alla associazione A SCe ha chiesto - e ottenuto - di chiamare in giudizio il conduttore, per esserne manlevato di quanto eventualmente condannato a pagare all'attore, concludendo per il rigetto della domanda dell'attore.


3. Si è costituita in causa l'associazione A SCin persona del suo presidente, Lu. Mu., deducendo che l'apertura del poligono A SCrisaliva al 2011 e che erano state poste, perlomeno dal 2012, tutte le misure atte a evitare l'inquinamento acustico, tanto che erano state realizzate le opere di coibentazione necessarie per eliminare le immissioni, concludendo per il rigetto delle domande e richieste di parte attrice.


4. L'adito tribunale, espletate - anche in esito a procedimenti cautelari nelle more promossi - quattro consulenze tecniche d'ufficio, una, medico-legale, diretta all'accertamento dei danni fisici lamentati dall'attore, due, di natura tecnico-acustica, dirette alla verifica delle immissioni sonore lamentate e alla individuazione delle opere idonee al contenimento dei rumori, una quarta, di natura estimativa, diretta alla stima del valore locativo dell'immobile dell'attore e della diminuzione derivatagli dalle immissioni provenienti dal poligono, ha definito la controversia con la sentenza n. 1522/21 qui appellata.


Con tale sentenza il tribunale di Padova ha accertato che dal fondo utilizzato da A SCcome poligono di tiro provenivano immissioni eccedenti la normale tollerabilità e i limiti stabiliti dalla legge e ha condannato Bo. St. e A SC , in via solidale tra loro, a porre in essere le opere di coibentazione idonee a non far percepire il rumore degli spari nell'abitazione di Vi. Da. come indicate nelle espletate cc.tt.u. nonché al risarcimento del danno biologico, temporaneo e permanente subito dall'attore e liquidato in €. 13.125,25, oltre agli interessi legali sugli importi rivalutati dalla data della domanda al saldo effettivo, oltre alla rifusione delle spese processuali e di cc.tt.u.


5. Avverso tale sentenza ha proposto appello Da. Vi., affidato a tre motivi, chiedendo un aumento della penale fissata nelle “ordinanze interinali” per il ritardo nell'adempimento della costruzione delle opere di insonorizzazione sino ad € 1.000,00 per ogni giorno di ritardo e la liquidazione dell'ulteriore danno non patrimoniale non riconosciuto dal tribunale e di quello patrimoniale pure negletto dal primo giudice. L'appellante ha convenuto avanti la corte d'appello il Bo., A SC 22 Shooting Club, nonché Lu. Mu., resosi acquirente nelle more del giudizio di primo grado del fondo dal Bo..


5.1. Si è costituito in causa St. Bo., contrastando l'appello principale e svolgendo appello incidentale sulla base di cinque motivi, diretto all'accertamento della sua carenza di legittimazione passiva e comunque al rigetto delle domande del Vi., con accertamento che l'A SC  è tenuta a manlevarlo di quanto eventualmente fosse tenuto a pagare in favore dell'originario attore, con vittoria di spese.


5.2. Si sono costituiti in causa sia A SCche Lu. Mu., opponendosi all'accoglimento dell'appello principale e formulando appello incidentale per ottenere l'accoglimento delle domande formulate in primo grado e non accolte dal tribunale.


6. All'udienza del 04/10/2022 [la cui trattazione è stata disposta ai sensi dell'art. 83, co. 7, lett. H, d.l. 18/2020 (convertito nella legge 27/2020) e d.l. 28/2020, mediante deposito di note scritte], la causa, dimesse dalle parti le conclusioni scritte, come in epigrafe riportate, è stata riservata per la decisione, previa assegnazione dei termini di cui all'art. 190 c.p.c. per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica.


Da. Vi. e St. Bo. hanno depositato comparse conclusionali e anche memorie di replica.


In diritto.-


1. La materia del contendere in primo grado e la sentenza appellata.


La causa ha ad oggetto le immissioni sonore nel fondo di proprietà di Da. Vi. (via Lovolo n. 53 del Comune di Rovolon - Padova) dal fondo sito in Albettone (VI), via (omissis), già di proprietà di St. Bo. e venduto - nel corso del giudizio di primo grado - a Lu. Mu. (all'epoca presidente dell'associazione sportiva A SC 22 Shotting Club), e concesso dal Bo. in locazione ad A SC 22 Shooting, esercente in quel sito l'attività di poligono di tiro.


Con le domande formulate in causa il Vi. ha chiesto la cessazione delle immissioni con apprestamento di opere idonee a ridurne l'impatto sonoro e il risarcimento dei danni, che ha lamentato di aver patito alla salute e al valore dell'immobile in conseguenza delle dedotte immissioni.


Con la sentenza qui impugnata il tribunale ha condannato, in via fra loro solidale, A SC 22 Shooting e St. Bo.:


a) alla realizzazione di opere dirette alla riduzione delle immissioni sonore come indicate nella espletata c.t.u.;


b) al risarcimento del danno “biologico, temporaneo e permanente subito dall'attore” e liquidato in “€ 13.125,25, oltre agli interessi legali sugli importi rivalutati dalla data della domanda al saldo”.


2. Appello principale


L'appello del Vi. è affidato a tre motivi.


2.1. Con il primo si lamenta la omessa chiamata in causa di Lu. Mu., ossia dell'attuale proprietario dell'immobile dal dante causa Bo. (e che, come detto, il Vi. ha provveduto ad evocare in questo grado).


2.2. Con il secondo motivo si denuncia una “inadeguata” determinazione dell'“importo sanzionatorio di € 10,00 al giorno per ogni giorno di ritardo” nella esecuzione delle opere dirette alla riduzione delle immissioni sonore, auspicandosene l'aumento sino alla somma di € 1.000,00 per ogni giorno di ritardo.


2.3. Il terzo motivo si dirige avverso la liquidazione del danno, deplorando che non sia stato riconosciuto il pregiudizio non patrimoniale da “perdita della quiete” e quello patrimoniale per la perdita di valore di godimento dell'immobile.


3. L'appello incidentale di St. Bo..


Con esso vengono formulati cinque motivi.


3.1. Il primo è diretto avverso la condanna del Bo. - in via solidale con A SC 22 Shooting - sia alla posa in opera delle misure di contenimento delle immissioni sia al risarcimento del danno, sostenendosi che la perdita da parte sua della proprietà del fondo gli renderebbe impossibile dar corso alle opere di insonorizzazione con conseguente sua carenza di legittimazione passiva.


3.2. Il secondo motivo dell'appello incidentale del Bo. censura la condanna risarcitoria a suo carico disposta dal tribunale, evidenziando che soltanto il conduttore (ossia l'associazione esercente il poligono di tiro) era passivamente legittimato di fronte alla domanda risarcitoria del Vi..


In ogni caso il Bo. sostiene che non sussisterebbero nel caso in esame gli estremi per ravvisare la sua responsabilità ex art. 2043 c.c. quale proprietario concedente in locazione l'immobile, in quanto non sarebbe, a suo dire, “sufficiente la consapevolezza, in capo al proprietario, della rumorosità dell'attività del conduttore a far insorgere l'obbligo di attivarsi per eliminare le immissione rumorose, essendo necessario un contributo attivo, totalmente assente nel caso in esame”, in quanto “- al momento dell'apertura il poligono aveva già effettuato tutte le opere di coibentazione; - nel contratto di locazione intercorso tra Bo. e A SC Shooting era previsto esplicitamente all'art. 5 che spettava alla conduttrice società A SC Shooting Club provvedere, a sua cura e spese, alla manutenzione ordinaria delle strutture e degli apparati installati e della parte locata, nonché alla fornitura di tutti i servizi necessari per svolgere la propria attività; - il comune aveva dato tutte le autorizzazioni del caso”.


3.3. Il terzo motivo formulato dal Bo. lamenta la omessa pronuncia e comunque la omessa motivazione in ordine alla richiesta di manleva formulata nei confronti di A SC Shooting.


3.4. Il quarto motivo sottopone a censura la sentenza del tribunale nella parte in cui ha ritenuto sussistente nel caso di specie il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale in capo al Vi..


3.5. Il quinto motivo ha ad oggetto la condanna in solido alle spese legali e di consulenza tecnica.


4. L'appello incidentale formulato da A SC 22 Shooting Club.


A SC Shooting si è costituita in giudizio - con unitaria difesa - con Lu. Mu. (già legale rappresentante di tale associazione) e l'impugnazione proposta è diretta avverso le valutazioni contenute nelle consulenze tecniche (acustica e medico-legale) espletate e poi condivise dal tribunale.


4.1. Dopo aver ripercorso lo svolgimento del processo di primo grado, con i vari sub procedimenti pure intercorsi fra le parti, evidenziata quella che viene definita la “esorbitante attività giudiziaria posta in essere dal sig. Vi.” e passati in critica disamina i motivi formulati dall'appellante, A SC Shooting sostiene, innanzi tutto, che il carattere abusivo dell'immobile del Vi. varrebbe a precludere per ciò solo la possibilità di effettuare le opere di insonorizzazione (“posto che sia palese il dato secondo cui l'immobile dell'appellante non sia abitabile, ne consegue che tutte le doglianze di quest'ultimo in ordine all'inquinamento acustico non siano in alcun modo fondate! Non si comprende, dunque, su che basi l'impugnate sentenza abbia condannato gli odierni appellanti a procedere con lavori di insonorizzazione laddove questi ultimi apparivano (ed appaiono anche ora) come assolutamente non necessari, in considerazione del fatto che l'immobile del Sig. Vi. è stato costruito in spregio alle regole edilizie”).


4.2. Si soggiunge che una relazione tecnica fatta redigere da esperti del settore ha evidenziato criticità nelle operazioni di accertamento delle immissioni e di loro valutazione da parte del c.t.u. del tribunale. In particolare si critica l'adozione dei criteri elaborati dall'Autorità di Protezione Ambientale (Environment Protection Authority - EPA) dello Stato federato di Victoria (Australia). Istituito nel 1971 e modificato nel luglio del 2021.


4.3. Secondo l'associazione A SC Shooting 22, inoltre, anche la relazione medico-legale presenterebbe manchevolezze ed errori, risultando essenzialmente basata “sulla disamina della relazione del 04.08.2014 redatta dal dr. Gi. Ma., neuropsicologo e psicoterapeuta e della visita specialistica del 15.09.2014 effettuata dal dott. G. Ma. e dal prof. M. Lo. dell'U.O. Medicina del Lavoro di Padova”, senza alcun precedente riscontro.


5. Eccezioni di inammissibilità


Vanno disattese le eccezioni di inammissibilità dell'appello principale formulate dalla difesa di A SC Shooting.


5.1. Quella basata sul richiamo dell'art. 348 bis c.p.c. deve ritenersi preclusa dall'ulteriore svolgimento del processo di appello, sancendo l'art. 348 ter c.p.c. che l'ordinanza di inammissibilità deve essere adottata “prima di procedere alla trattazione” e, dunque, non oltre l'udienza di cui all'art. 350 c.p.c. (cfr. Cass. 14696/2016).


5.2. L'eccezione basata sulla violazione delle previsioni di cui all'art. 342 c.p.c. è, del pari, infondata, in quanto - anche tenuto conto dell'insegnamento di Cass. ss.uu. 27199/2017 - l'atto di citazione presenta in maniera chiara le parti della sentenza che intende sottoporre a censura, così come le ragioni che - ad avviso dell'appellante - evidenziano la fallacia della motivazione spesa dal tribunale sul punto, come si è avuto modo di osservare nella esposizione dei motivi di appello di cui innanzi.


6. Disamina delle questioni sollevate con gli appelli.


È opportuno procedere nella trattazione dei motivi di appello secondo l'ordine logico-giuridico delle questioni con gli stessi sollevate e, a tal fine, ne va stilato un loro gradato elenco. In tale chiarita prospettiva si procederà alla successiva disamina delle seguenti questioni:


6.1. accertamento della intollerabilità delle immissioni sonore,


6.2. statuizioni inerenti alla realizzazione delle opere di insonorizzazione,


6.3. danni di natura patrimoniale,


6.4. danni di natura non patrimoniale;


6.5. giudizio di imputazione soggettiva della responsabilità.


6.1. L'accertamento della intollerabilità delle immissioni sonore provenienti dal fondo nel quale è installato il poligono di tiro gestito da A SC Shooting è stato compiuto dal tribunale sulla scorta delle indagini tecniche officiosamente espletate in prime cure.


Avverso tali consulenze tecniche sono rivolte le doglianze formulate da A SC Shooting, sostenendosi l'erroneità del parametro di riferimento assunto dai consulenti dell'ufficio To. e Du., vale a dire delle linee guida diramate dall'Autorità di protezione ambientale (EPA) dello stato di Victoria (Australia) non valevoli per l'Italia e neppure rispondenti al quesito sottoposta dal giudice, che faceva riferimento alla “normativa quadro nazionale in materia di emissioni”. Inoltre, secondo A SC Shooting, recependo correttamente le direttive EPA, alla stregua delle rilevazioni effettuate dalla c.t.u. redatta dal dott. Du. si dovrebbe nondimeno escludere il superamento delle soglie di tollerabilità.


L'appellante incidentale soggiunge che, facendo applicazione del “limite individuato dalla normativa vigente applicabile (55db(A) ex DPCM 14/11/!997 art. 2 tab. 2) ed applicabile ai fabbricati limitrofi, insistenti in territorio di classe III” le emissioni rilevate [43,5 db (A)] si collocherebbero al di sotto di tale soglia.


La doglianza non è meritevole di accoglimento.


La relazione stilata dal dott. To. ha cura, sin dal suo incipit, di chiarire i possibili criteri da adottare al fine di verificare il carattere intollerabile o meno delle immissioni sonore, indicando il criterio c.d. differenziale (d.p.c.m. 19/11/1997), il criterio c.d. comparativo o dei 3 dB sul rumore di fondo, correntemente adottato in sede giudiziaria, e il criterio c.d EPA Victoria, Australia. L'esperto dell'ufficio ha poi proceduto alle prove di rilevazione con adozione di tutti e tre i criteri indicati.


Nelle sue conclusioni il dott. To. ha avuto modo di esporre gli esiti delle misurazioni effettuate e le valutazioni in ordine all'appropriatezza dei criteri adottati: “Il criterio differenziale è stato preso in considerazione poiché rappresenta il principale strumento di valutazione messo a disposizione dalla normativa nazionale richiamata dall'articolo 6 ter della Legge 13/2009 e, coerentemente, dal quesito del GI, Ill.ma dott.ssa Fe. Fi.. Dalle analisi effettuate emerge che, anche considerando uno scenario particolarmente gravoso (30 colpi di fucile o di pistola al minuto), i livelli sonori equivalenti di rumore ambientale sono ben al di sotto della soglia di applicabilità del limite (dai 10 ai 15 dB in meno); secondo tale prospettiva, pertanto, l'attività della resistente è ampiamente compatibile dal punto di vista acustico.


In ragione, però, delle peculiari caratteristiche fisiche delle immissioni oggetto della presente indagine (sorgente sonora altamente impulsiva), il criterio differenziale, validamente utilizzato nella maggior parte dei casi che ordinariamente si possono incontrare, non si presta a costituire un idoneo metodo di valutazione”.


Con riferimento al criterio comparativo (o dei 3 dB sul rumore di fondo) l'esperto ha riferito che “l'analisi condotta secondo tale metodo di valutazione denuncia una spropositata incompatibilità acustica dell'attività della resistente (dai 12 ai 17 dB di sforamento del limite)”, ma ha osservato che si tratta di criterio che “dimostra anche nella presente fattispecie di non costituire un idoneo metodo di valutazione”.


Attesa la specifica caratteristica dell'immissione rumorosa da colpi da sparo (vale a dire “sorgenti sonore altamente impulsive”: v. relazione, pag. 5) il c.t.u. ha ritenuto “necessario individuare ed utilizzare un metodo di valutazione che renda ragione delle speciali caratteristiche fisiche del fenomeno sonoro rappresentato dagli spari”, proponendo “il criterio EPA Victoria (Autorità per la Protezione dell'Ambiente australiana), che ha portato a riscontrare un superamento oggettivo del limite di 3 dB, in buon accordo con la sensazione/valutazione soggettiva esperita nel corso delle indagini; il suddetto esito deve essere considerato cautelativamente, data l'influenza delle condizioni meteorologiche (in particolare, velocità e direzione del vento) sui risultati di misurazioni condotte a distanze di diverse centinaia di metri dalla sorgente”.


Dalla relazione stesa dal consulente dell'ufficio emergono in maniera chiara non solo le - invero condivisibili - motivazioni tecniche che sottostanno alla adozione del criterio EPA, sostanzialmente incentrate sulla peculiarità della sorgente del rumore (spari da armi da fuoco), tale da consigliare un approccio specifico nel rilevare la intollerabilità delle immissioni stesse.


Le doglianze veicolate con l'appello di A SC Shooting non sono in grado di apprestare motivate e convincenti critiche alle risultanze e agli opinamenti contenuti nella relazione tecnica ove è stato ampiamente dato ragione del ricorso al criterio EPA, siccome specificamente ideato per la tipologia di rumori per cui è causa. Dalla relazione del c.t.u. emerge altresì che - in ogni caso - anche adottando il criterio c.d. comparativo, del pari l'entità delle immissioni provenienti dal poligono eccede (e notevolmente) il limite dei 3 dB.


La stessa formulazione delle doglianze sollevate con l'appello di A SC Shooting è già di per sé sola considerata, non di rado spiccatamente perplessa. Con essa infatti quale si affaccia “il dubbio di una possibile sovrastima dei dati usati in fase di analisi” o che l'esame “non sembra rispondere alle modalità previste da EPA” ovvero ancora che “non sembra riscontrarsi nel documento CTU alcun richiamo precisamente misurato ed espresso rispetto condizioni meteorologiche e ambientali presenti durante le operazioni di rilevazione”.


Quanto poi alla deduzione secondo cui “non è chiaramente indicato l'approccio metodologico usato”, si tratta di assunto che trova smentita nelle motivazioni tecniche che l'esperto dell'ufficio ha diffusamente svolto nella sua relazione per esplicitare la preferenza per il criterio EPA (v. § 2, § 4, § 7, nonché a pag. 16 ss, in risposta ai rilievi dei consulenti delle parti).


Va in proposito ricordato che, secondo le direttive emergenti dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 25 gennaio 2006 n. 1418; Cass. 27 gennaio 2003, n. 1151; Cass. 18 aprile 2001, n. 5697; Cass. 3 agosto 2001, n. 10735; Cass. 29 ottobre 2015, n. 22105; Cass. 12 maggio 2015, n. 9660; Cass. 3 luglio 2014, n. 15223; Cass. 6 novembre 2013, n. 25019; Cass. 5 agosto 2011, n. 17051, cit.; Cass. 17 gennaio 2011, n. 939; Cass. 8 marzo 2010, n. 5564; Cass. 31 gennaio 2006, n, 2166; Cass. 29 aprile 2002, n. 6223; Cass. 13 settembre 2000, n. 12080; Cass. 6 giugno 2000, n. 7545; Cass. 18 gennaio 2017 n. 1069; Cass. 20 gennaio 2017 n. 1606), fermo restando che i limiti dettati dalle norme di settore (D.P.C.M. 1° marzo 1991, L. n. 447/1995, e, in attuazione di quest'ultima, i successivi D.P.C.M. 14 novembre 1997 e d.P.R. 18 novembre 1998) costituiscono, comunque, un parametro di riferimento ai fini della valutazione di tollerabilità delle immissioni, se il superamento delle soglie previste da tale normativa determina violazione dell'art. 844 c.c. e illiceità delle immissioni stesse, da ciò non si può desumere che il loro rispetto fondi una presunzione di liceità delle medesime. Per converso la disciplina di settore in materia di immissioni ha un ambito applicativo distinto dalla disciplina civilistica, nel senso che la prima, in quanto perseguente finalità di carattere pubblicistico, opera nei rapporti "verticali" tra p.a. e privati, non escludendo, pertanto, l'applicabilità dell'art. 844 c.c. e il conseguente giudizio in concreto del giudice nei rapporti tra soli privati.


Il c.t.u. ha chiaramente esposto che, sotto un profilo tecnico “nessuno dei due criteri invocati (comparativo e differenziale) si adatta a descrivere in qualche modo le caratteristiche fisiche (molto) peculiari della sorgente sonora in esame (spari da arma da fuoco)” e che “il criterio scelto (EPA Victoria) è stato appositamente concepito dall'Autorità per la Protezione dell'Ambiente australiana per rappresentare il potenziale disturbante in casi come quello che qui ci occupa”. Il che da un lato fornisce un positivo e condivisibile responso tecnico alla questione e, dall'altro, vale a escludere ogni necessità di ulteriori approfondimenti istruttori in proposito che si rivelerebbero del tutto superflui.


Ciò posto, a fronte dell'accertato superamento delle soglie di tollerabilità secondo parametri (EPA) specificatamente destinata alla tipologia di fonti sonore come quelle per cui è causa (superamento constatato anche dalla successiva relazione tecnica a cura del dott. Du.) e peraltro anche del criterio c.d. comparativo, si evidenzia la inconsistenza della doglianza in disamina che pretenderebbe di annettere decisiva ed esclusiva rilevanza al criterio di cui al d.p.c.m. 14/11/1997.


Il motivo è respinto.


6.2. Una volta verificata la sussistenza di immissioni sonore eccedenti la normale tollerabilità, l'ulteriore questione da affrontare è quella relativa alle opere da realizzare per l'eliminazione o il contenimento di esse.


6.2.1. A tal fine occorre prendere in disamina la rilevanza della circostanza relativa alla natura abusiva dell'immobile del Vi., che - secondo gli appellanti incidentali - varrebbe sic et simpliciter a precludere la questione circa il compimento dei lavori di insonorizzazione.


Non pare alla corte che la natura abusiva dell'immobile possa comportare una sorta di sanatoria dell'illecito realizzato con l'immissione di rumori eccedenti la normale tollerabilità.


Va in tal senso evidenziato che non si tratta neppure di immobile costruito su di un'area per la quale era prevista all'epoca la totale inedificabilità, essendo in presenza unicamente di non legittime modifiche ad un corpo edilizio risalente al 1900 [v. relazione c.t.u. pagina 5: “Il sottoscritto CTU ha richiesto il Certificato di Destinazione Urbanistica dal quale risulta che il fabbricato, e il suo lotto di pertinenza, ricade all'interno di una “fascia di rispetto di elettrodotto”, normata dall'art. 22 delle Norme Tecniche di Attuazione, che prevede una totale inedificabilità e, quindi, nessuna possibilità di ampliamento o cambio di destinazione d'uso. A fronte delle verifiche svolte, allo stato attuale, risulta che il fabbricato è difforme rispetto alla planimetria catastale (unico documento ritenuto valido) e pertanto vi è la necessità di predisporre una pratica di sanatoria edilizia che rappresenti fedelmente lo stato di fatto messo in relazione con la planimetria catastale con relativa tavola comparativa. il fabbricato è difforme rispetto alla planimetria catastale (unico documento ritenuto valido) e pertanto vi è la necessità di predisporre una pratica di sanatoria edilizia che rappresenti fedelmente lo stato di fatto messo in relazione con la planimetria catastale con relativa tavola comparativa”].


Ne viene che - agli effetti che sotto l'evidenziato profilo rilevano - la circostanza che l'edificio, risalente ai primi del '900, abbia subito delle non consentite modifiche (peraltro, secondo quanto riferisce il c.t.u., sanabili) non vale a scriminare l'attività illecita posta in essere con l'immissione di rumori eccedenti la normale tollerabilità.


6.2.2. Ciò posto, l'accertato superamento del limite di normale tollerabilità (v. supra n. 6.1.) comporta la necessità di procedere alla installazione delle opportune opere per la riduzione delle immissioni eccessive rispetto al limite di cui all'art. 844 c.c.


Neppure si riscontrano negli appelli specifiche e motivate critiche alle soluzioni contenute nell'elaborato degli ausiliari del giudice di primo grado, alle quali ha fatto richiamo la sentenza appellata (“i rimedi possibili individuati dal CTU To. sono stati tradotti nel progetto esecutivo del CTU Du. non ancora spontaneamente attuato”: sentenza appellata, pag. 11).


Nella relazione del c.t.u. dott. Du. le soluzioni proposte (realizzazione di una completa chiusura dell'area di tiro corto, e di una parziale schermatura dell'area a tiro lungo) sono esposte in maniera chiara e puntuale.


Ne viene che le doglianze in proposito mosse con l'appello incidentale di A SC Shooting non possono trovare accoglimento e merita conferma la statuizione relativa alle opere da realizzare per la riduzione delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità.


6.2.3. Risulta, in parte fondata, la doglianza veicolata con il secondo motivo dell'appello principale di Vi. con il quale si auspica un aumento della sanzione accessoria ex art. 614 bis c.p.c., fissata dal tribunale in € 10,00 per ogni giorno di ritardo.


Se non può trovare accoglimento la richiesta nei termini formulati dal Vi. (€ 1.000,00 per ogni giorno di ritardo), in quanto palesemente sproporzionata ed eccessiva, è peraltro da condividere l'esigenza che il comando giudiziale sia attuato e che la misura assolva effettivamente alla funzione di indiretta coercizione. Tenuto conto che viene in rilievo anche il danno alla salute del Vi. la corte ritiene congrua la determinazione di tale misura in € 50,00 per ogni giorno di ritardo, con conseguente riforma in parte qua della sentenza appellata.


6.3. La accertata natura abusiva dell'immobile in questione ha condotto il primo giudice ad escludere il risarcimento del danno richiesto “In termini di diminuzione del valore anche locatizio dell'abitazione dell'attore” trattandosi di immobile “non commerciabile”.


Il terzo motivo di appello formulato sul punto dal Vi. sostiene l'irrilevanza della circostanza che l'immobile sia utilizzato direttamente dal proprietario e non locato a fini del riconoscimento del danno («la circostanza che il Vi. usi, anziché locare, l'immobile non fa venir meno il danno perdurante da immissioni in termini di “valore di godimento”»: appello, pag. 30). Del pari l'appellante sostiene l'irrilevanza della circostanza della non commerciabilità dell'immobile (“È irrilevante che l'abitazione del signor Vi. non possa essere venduta: il signor Vi. non ha intenzione di venderla, ha intenzione di renderla un'abitazione vivibile difendendosi dagli inquinamenti sonori.”).


In proposito va osservato che nella prospettiva propria del danno patrimoniale connesso e conseguente alla diminuzione di valore dell'immobile per la presenza delle fonti sonore limitrofe, può apprezzarsi un minor valor del bene in funzione o della immissione di esso sul mercato (e, dunque, quale diminuzione del suo valore di scambio) ovvero quale possibile fonte di frutti civili (e, dunque, quale diminuzione del valore locativo da esso ritraibile).


Nel caso in questione, nessuno dei due profili di danno può riconoscersi in favore del Vi., il quale ha - a chiare lettere - escluso di voler alienare il suo immobile così come di concederlo in locazione.


Ed invero la natura abusiva dell'immobile - come verificata dal c.t.u., ribadita dalla sentenza di primo grado e da nessuno posta in seria discussione - impedisce di poterlo valorizzare in termini di valore di scambio, trattandosi di cosa non commerciabile, come già opinato dal tribunale (Cass. 20823/2015; Cass. 26260/2007; Cass. 9345/2004).


Quanto alla possibilità di concederlo in locazione (cfr. Cass. n. 27485 del 28/10/2019), si tratta di circostanza che il Vi. ha ripetutamente e a chiare lettere escluso, deducendo espressamente di utilizzare direttamente l'immobile. La pretesa in proposito avanzata dal Vi., sull'assunto che il danno per la “minor godibilità dell'immobile anche se abitato dal proprietario” andrebbe risarcito pare confondere il piano delle conseguenze patrimoniali con quello dei pregiudizi di indole non patrimoniale tanto che indica quale inizio di decorrenza del danno le conseguenze rilevate in sede di c.t.u. medico-legale (cfr. appello, pag. 8: «La decorrenza del danno si ricava dalla ctu medicolegale: “Un siffatto quadro ha comportato un primo periodo, della durata di sei mesi dall'inizio alla esposizione alle immissioni sonore stressanti (2011), come danno biologico del 25%. Risulta giustificato ritenere che dopo tale periodo il quadro si stabilizzò comportando il sussistere di un danno biologico nella misura del 5%.»).


In difetto della allegazione in ordine alla mancata possibilità di dare in locazione a terzi l'immobile in questione (cfr. anche Cass. s.u. Sez. U, Sentenza n. 33645 del 15/11/2022), avendo l'appellante anzi espressamente dedotto di non intendere concederlo in godimento, la relativa richiesta non può trovare accoglimento e va disattesa.


6.4. Con riguardo al danno non patrimoniale la circostanza della natura abusiva dell'immobile non riveste - ad avviso della corte - alcun decisivo rilievo.


6.4.1. L'incomprimibile diritto alla salute di ognuno, infatti, non può dipendere dalla natura (abusiva o non) dell'immobile nel quale la persona si trova a soggiornare e, dunque, va senza dubbio riconosciuto il diritto del Vi. ad essere risarcito del pregiudizio di ordine biologico e morale subito in ragione delle immissioni eccedenti la normale tollerabilità, anche richiamato quanto innanzi sopra osservato con riferimento alle caratteristiche dell'immobile del Vi. (v. supra n. 6.2.1.). Non sussiste, dunque, alcuna preclusione al riconoscimento del danno alla persona derivato dalle immissioni eccedenti la normale tollerabilità.


6.4.2. Quanto alla effettiva ricorrenza di un pregiudizio alla salute conseguito al Vi. in ragione delle immissioni rumorose per cui è causa, va richiamata la valutazione in proposito operata dal consulente dell'ufficio, che accerta sulla base di ben condivisibili criteri e all'esito di una accurata indagine tecnica la sussistenza in capo al Vi. di danni ...


Né sono fondate le critiche che l'appellante incidentale crede di poter muovere agli accertamenti in proposito svolti dall'ausiliare del giudice, incentrate sulla deduzione che il c.t.u. avrebbe basato la sua valutazione “solo sulle riferite doglianze dell'attore e in alcun modo basata su seri ed oggettivi riferimenti tabellari”.


La relazione tecnica redatta dalla dott. S. Za., medico-legale incaricata dell'indagine prende le mosse dalla disamina dei dati della documentazione sanitaria, vale a dire la relazione 4-8-2014 del dott. Gi. Ma., neuropsicologo e psicoterapeuta e la relazione del 15-9-2014 redatta, a seguito di visita, dal dott. G. Ma. e dal prof, M. Lo. dell'U.O. Medicina del Lavoro di Padova, per poi svolgere tre incontri con il Vi., alla presenza dei consulenti di parte.


L'esperto dell'ufficio è dunque passato alla verifica del nesso di causalità tra le lamentate immissioni sonore e il quadro patologico lamentato, adottando i ricevuti parametri della scienza medico-legale e, pervenendo, dopo aver tenuto presente i risultati ai quali era pervenuta l'indagine tecnica effettuata dal dott. To., al suo motivato responso nel senso che “in una siffatta situazione siamo autorizzati a rispondere affermativamente a questa prima parte del quesito, specificando che il sig. Vi. Da. presenta un danno biologico conseguente all'esposizione alle immissioni sonore prodotte dal convenuto.


In particolare, i dati della documentazione sanitaria, nonché quelli emersi dal colloquio con il periziato, ci autorizzano a dichiarare che il sig. Vi. presenta una reazione ansioso- depressiva giustificatamente ascrivibile alle immissioni sonore in parola”.


La considerazione dello svolgimento dell'incarico da parte del c.t.u. e della sua ponderata disamina del caso, anche a seguito di incontri diretti con il periziando, per verificare la sussistenza del nesso causale vale a destituire di fondamento la critica mossa con il motivo di appello in rassegna che, pertanto, va respinto.


6.4.3. Quanto alla richiesta del Vi. di riconoscimento di un ulteriore posta risarcitoria a titolo di danno non patrimoniale si tratta di domanda che non può trovare accoglimento sulla base dei rilievi di seguito espressi.


È certo riconosciuto che “pur quando non rimanga integrato un danno biologico, non risultando provato alcuno stato di malattia, la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria casa di abitazione, tutelato anche dall'art. 8 della Convenzione europea dei diritti umani, nonché del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane, integra una lesione che non costituisce un danno "in re ipsa", bensì un danno conseguenza e comporta un pregiudizio ristorabile in termini di danno non patrimoniale” (così, fra le tante, Cass. 21649/2021).


Peraltro, nel caso di specie, mentre si è riconosciuta la sussistenza di un danno biologico, per come certificato dalla indagine tecnica espletata, non è invece dato riscontrare i presupposti per il riconoscimento dell'ulteriore pregiudizio richiesto con la doglianza in esame.


Le deduzioni e le argomentazioni svolte dal Vi. si incentrano sul “grave stress psicofisico che ha comportato fino ad oggi conseguenze biologicamente rilevanti da ritenersi verosimilmente permanenti” (appello, pag. 29 s. sub a.) non valgono invero ad evidenziare effettivi errori del primo giudice.


Con esse in buona sostanza si ribadisce quella situazione personale di “grave stress psicofisico” dell'appellante come verificata nella “relazione 4-8-2014 del dr. Gi. Ma.” (appello, pag. 29 sub a), ossia si deduce quella stessa situazione già presa in considerazione e opportunamente valutata in sede di liquidazione del danno non patrimoniale sulla scorta della espletata c.t.u. medico-legale (che, come ricordato al punto che precede, prese in disamina anche la relazione 4-8-2014 del dott. Ma.), senza che sia presente una adeguatamente circostanziata allegazione (e tanto meno dimostrazione, anche solo a mezzo di presunzioni) sulla sussistenza di ulteriori e diversi pregiudizi di indole non patrimoniale.


Ne viene che meritano conferma l'accertamento in ordine al danno alla salute patito dal Vi. in conseguenza delle immissioni rumorose provenienti dal poligono e la liquidazione operata dal tribunale, con reiezione delle doglianze contenute nel terzo motivo dell'appello del Vi., così come della analoga doglianza svolta nell'appello incidentale di A SC Shooting.


6.5. Una volta operata la ricognizione delle statuizioni meritevoli di conferma (accertamento dell'intollerabilità delle immissioni; condanna alla installazione delle opere antirumore; liquidazione del danno biologico; reiezione delle domande relative al danno patrimoniale e dell'ulteriore danno non patrimoniale) e quelle da riformare (entità della somma ex art. 614 bis c.p.c.) può procedersi alla disamina delle ulteriori questioni relative alla individuazione dei soggetti tenuti al risarcimento.


6.5.1. Opere di insonorizzazione.


Va in proposito ricordato che l'azione di natura reale, esperita dal proprietario del fondo danneggiato per l'accertamento dell'illegittimità delle immissioni e per la realizzazione delle modifiche strutturali necessarie al fine di far cessare le stesse, deve essere proposta nei confronti del proprietario del fondo da cui tali immissioni provengono e può essere cumulata con la domanda verso altro convenuto, per responsabilità aquiliana ex art. 2043 cod. civ., volta ad ottenere il risarcimento del pregiudizio di natura personale da quelle cagionato (Cass., Sez. Un., 27 febbraio 2013, n. 4848). Quest'ultima domanda risarcitoria va proposta secondo i principi della responsabilità aquiliana e cioè nei confronti del soggetto individuato dal criterio di imputazione della responsabilità; quindi nei confronti dell'autore del fatto illecito (materiale o morale), allorché il criterio di imputazione è la colpa o il dolo (art. 2043) e nei confronti del custode della cosa (nella specie l'immobile) allorché il criterio di imputazione è il rapporto di custodia ex art. 2051 c.c.


La disciplina fissata dall'art. 111 c.p.c. per le successioni a titolo particolare nel corso del processo stabilisce il principio della continuazione del processo tra le parti originarie, prevedendo la facoltà per il successore a titolo particolare di intervenire nel processo.


Ciò premesso, va constatato che nella presente controversia l'azione di natura reale è stata correttamente esperita nei confronti di colui che, al momento dell'inizio di questa contesa era il proprietario (Bo.) del fondo dal quale si assumevano provenire le immissioni.


Nel corso del processo è avvenuta la vendita del fondo dal quale provengono le immissioni dallo Sboaggian a Lu. Mu..


Tale successiva alienazione in corso di causa dell'immobile ove viene svolta l'attività rumorosa non può essere apprezzata che alla stregua del criterio stabilito dall'art. 111 cit.


E, in tale chiarita prospettiva, va preso atto che, nel caso che ne occupa, l'acquirente del fondo (Lu. Mu.) è già presente in questo grado di giudizio, essendosi costituito in causa unitamente all'associazione A SC Shooting.


Ne viene che, dalla combinata considerazione della disciplina dell'art. 111 c.p.c. e della circostanza della presenza in questo processo dell'avente causa, attuale proprietario dell'immobile, la pronuncia relativa alla condanna alla installazione delle opere non può che ora intendersi riferita all'attuale proprietario del fondo, che pure è parte, come detto, di questo processo.


6.5.2. Escluso, per quanto innanzi motivato, il risarcimento dei danni patrimoniali, si tratta di apprezzare la legittimazione passiva relativamente alla domanda risarcitoria riconosciuta al Vi., vale a dire quella inerente al danno alla salute, nella misura già liquidata dal tribunale.


6.5.2.1. E, con riguardo ai profili risarcitori connessi e conseguenti alla domanda ex art. 2043c.c. la legittimazione passiva va ravvisata, secondo quanto innanzi pure ricordato (n. 6.5.1.), nell'autore del danno e nei soggetti che con costui abbiano concorso alla produzione del pregiudizio o possano essere comunque tenuti a risponderne.


Al risarcimento di tale pregiudizio deve dunque essere condannata, innanzi tutto, l'associazione sportiva esercente il poligono di tiro, autrice delle immissioni sonore causa del pregiudizio arrecato all'appellante principale.


6.5.2.2. Quanto al proprietario del fondo ove è sito il poligono o, più correttamente, il precedente proprietario, St. Bo., va osservato che la posizione di costui richiede la disamina, innanzi tutto, della sussistenza della sua responsabilità nella qualità di proprietario per i danni alla salute patiti dal Vi. e come sopra accertati originati dalla condotta posta in essere dal conduttore del fondo del Bo..


Sul punto il tribunale ha ravvisato la responsabilità del proprietario del fondo osservando che “nella vicenda oggi all'esame, deve confermarsi che il proprietario potesse prevedere, con l'ordinaria diligenza, che la società conduttrice avrebbe con ragionevole certezza provocato immissioni connaturate all'attività svolta e che, per le loro caratteristiche e intensità, potevano facilmente essere percepite come intollerabili”.


La legittimazione passiva, dunque, astrattamente va ravvisata, mentre si impone la verifica della sussistenza in concreto dalla responsabilità aquiliana ritenuta dal primo giudice.


Il criterio alla luce del quale condurre il giudizio di responsabilità nell'indicata veste di proprietario è individuato dalla scorte, già da molti anni, a partire dalla sentenza delle sezioni unite n. 2711 del 21/07/1969, con la quale è stato insegnato che nell'ipotesi in cui le immissioni moleste siano prodotte dal detentore d'un immobile, l'eventuale sussistenza della legittimazione passiva del proprietario di questo, non ne comporta l'automatica responsabilità per il risarcimento dei danni, essendo, all'uopo, necessaria la sussistenza dell'elemento soggettivo della colpa e del nesso oggettivo di causalità (e non di mera occasionalità) fra la concessione dell'immobile al terzo ed i danni subiti dal fondo contiguo.


In applicazione di questo principio, la s. corte ha quindi affermato che "in materia di immissioni intollerabili, allorché le stesse originino da un immobile condotto in locazione, la responsabilità ex art. 2043 c.c., per i danni da esse derivanti può essere affermata nei confronti del proprietario, locatore dell'immobile, solo se il medesimo abbia concorso alla realizzazione del fatto dannoso, e non già per avere omesso di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi necessari ad impedire pregiudizi. a carico di terzi" (Sez. 3, Sentenza n. 11125 del 28/05/2015);


Come osserva la motivazione di Cass. 4908/2018 (riportata quasi alla lettera a pagina 4 della comparsa conclusionale del Bo.): «la colpa civile rilevante ai fini dell'art. 2043 c.c. può consistere tanto nella violazione di precetti giuridici (legge, regolamenti, contratti), quanto nella violazione di regole di comune prudenza;


nel primo caso, l'accertamento della colpa esige la previa individuazione della regola giuridica che il presunto responsabile avrebbe dovuto rispettare, e che non rispettò;


nel secondo caso, l'accertamento della colpa aquiliana esige che si stabilisca previamente quale sarebbe dovuta essere la condotta prudente da seguire, in funzione delle circostanze e della qualità soggettiva dell'agente: ciò vuol dire che dall'uomo comune sarà esigibile la diligenza del bonus paterfamilias, e dall'imprenditore commerciale quella dell'homo eiusdem .eneris et condicionis, secondo la regola generale dettata per qualsiasi tipo di obbligazione, ivi comprese quelle da fatto illecito, dall'art. 1176 c.c., (sulla necessità che anche la colpa aquiliana sia valutata in base ai criteri di diligenza dettati dall'art. 1176 c.c., commi 1 e 2, si veda ex multis Sez. 3, Sentenza n. 2639 del 10/03/1998)».


Verificata l'insussistenza di norme positive o contrattuali, si tratta di accertare la “condotta diversa” che un astratto proprietario di immobili "diligente" avrebbe tenuto, vale a dire “o rifiutare la locazione, o recedere dal contratto, posto che sarebbe inesigibile dal locatore, obbligato a garantire il pacifico godimento della cosa locata, una manus iniectio sul conduttore volta ad impedirgli” la produzione delle immissioni rumorose.


Per potere affermare la sussistenza d'una colpa aquiliana del proprietario, dunque, occorre accertare in punto di fatto se, al momento della concessione in locazione dell'immobile ad A SC Shooting lo Bo. potesse o meno prevedere con l'ordinaria diligenza, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, che la associazione conduttrice avrebbe con ragionevole certezza arrecato danni a terzi, provocando immissioni intollerabili.


Il giudizio di responsabilità va pertanto condotto sulla base della indicata regola ("il proprietario d'un immobile concesso in locazione non risponde dei danni provocati dal conduttore in conseguenza di immissioni sonore intollerabili, a meno che non si accerti in concreto che, al momento della stipula del contratto di locazione, il proprietario avrebbe potuto prefigurarsi, impiegando la diligenza di cui all'art. 1176 c.c., che il conduttore avrebbe certamente recato danni a temi con la propria attività").


Si tratta dunque di accertare se, al momento in cui il Bo. concesse in locazione il proprio immobile alla A SC Shooting, potesse o non potesse prevedere con l'ordinaria diligenza, alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, che la società conduttrice avrebbe con ragionevole certezza arrecato danni a terzi, provocando immissioni intollerabili.


Mette conto prendere le mosse dal tenore del contratto di locazione stipulato fra il Bo. e A SC Shooting il 2-1-2012, contratto nel quale è chiaramente indicata la destinazione a poligono di tiro (v. art. 5) alla quale la conduttrice avrebbe destinato l'immobile, così come la previsione dell'espresso scioglimento del contratto in caso di mancato conseguimento di tutte le autorizzazioni necessarie per lo svolgimento dell'attività designata (cfr. art. 3), che rappresentava dunque uno scopo indefettibile per l'associazione conduttrice.


Il Bo. sostiene che non fosse per lui prevedibile con l'ordinaria diligenza al momento della conclusione del contratto di locazione che A SC Shooting avrebbe posto in essere le immissioni acustiche intollerabili, in quanto: - il poligono “aveva già effettuato tutte le opere di coibentazione”; - nel contratto di locazione era previsto che spettava alla conduttrice di provvedere alla manutenzione delle strutture e degli apparati installati; - il Comune aveva dato tutte le autorizzazioni del caso.


Sennonché non solo non risultano idonei riscontri probatori alle allegazioni del Bo. in merito alla effettuazione delle opere di “coibentazione”, ma è certo che - quand'anche fossero state poste in essere tali opere - si tratterebbe di opere del tutto inidonee a contenere le immissioni sonore se, come sopra si è avuto modo di osservare, è stato acclarato il netto superamento del limite. E, dunque, è ravvisabile un profilo di colpa in capo al proprietario che ha concesso in locazione ad un soggetto dichiaratamente intenzionato a svolgere nel fondo assunto in locazione un'attività (poligono di tiro) che, implicando un uso di armi da fuoco, notoriamente produce in continuazione immissioni rumorose di particolare intensità, senza verificare l'adozione delle misure minime per contenere tali immissioni.


Per il periodo fino al quale il fondo non è passato in proprietà del Mu., dunque, va senza dubbio ravvisata la responsabilità ex ar. 2043 c.c. del Bo. e la sentenza sul punto merita pertanto conferma.


6.5.3. Con riferimento alla domanda di manleva formulata dal Bo. nei confronti di A SC Shooting in effetti il tribunale non ha provveduto su tale - pur proposta - richiesta e la doglianza in proposito svolta dall'appellante incidentale è fondata.


La domanda di manleva è, per quanto di ragione, fondata, essendo l'Associazione A SC Shooting la autrice materiale delle immissioni e il maggior colpevole del danno prodotto al Vi. e rivestendo il Bo. un ruolo meramente di agevolatore del fatto illecito per sua non idonea verifica dell'apprestamento da parte di quel conduttore delle opere necessarie a mitigare le immissioni rumorose.


Nella ripartizione interna la quota di responsabilità in capo all'Associazione sportiva va individuata nella misura di 2/3, dovendosi imputare la residua quota di 1/3 in capo al Bo..


Va pertanto accolta la domanda del Bo. di regresso nei confronti di A SC Shooting limitatamente alla quota di 2/3 e, in parziale riforma della sentenza di primo grado, va dunque accertato il diritto del Bo. a rivalersi nei confronti di A SC Shooting per la quota di 2/3 di quanto pagato al Vi. in ragione dei danni conseguenti alle immissioni sonore.


7. Conclusioni


In definitiva, in forza di quanto innanzi, con specifico riguardo ai motivi di appello proposti dalle parti va ritenuto quanto segue.


7.1. Appello Vi.


7.1.1. Va respinto il primo motivo di appello del Vi., da ritenersi superato alla stregua di quanto innanzi osservato sull'operatività nel caso in questione della previsione di cui all'art. 111 c.p.c.


7.1.2. Va accolto, per quanto di ragione, il secondo motivo con rimodulazione della misura ex art. 614 bis c.p.c. nella somma di € 50,00 per giorno di ritardo.


7.1.3. Va respinto il terzo motivo diretto ad un più ampio risarcimento del danno, sia patrimoniale che non patrimoniale.


7.2. Appello A SC Shooting 22


Va respinto l'appello proposto da A SC Shooting sia per quanto attiene alla realizzazione delle opere sia per quanto riguarda gli accertamenti compiuti dal tribunale, sulla scorta delle espletate consulenze tecniche d'ufficio, circa la non tollerabilità delle immissioni e il danno non patrimoniale.


7.3. Appello Bo.


7.3.1. Il primo motivo di appello del Bo. è privo di pregio, dovendosi unicamente precisare che la condanna alla costruzione delle opere, a seguito della cessione medio tempore della proprietà del fondo e in forza della previsione dell'art. 111 c.p.c., deve intendersi riguardare il Mu., peraltro presente in questo giudizio.


7.3.2. Il secondo motivo con il quale ci si duole della natura solidale della condanna deve respingersi, alla luce del giudizio di responsabilità operato con specifico riguardo alla posizione del proprietario del fondo dal quale provengono le immissioni rumorose che lo abbia concesso in locazione.


7.3.3. Il terzo motivo che denuncia l'omessa pronuncia sulla domanda di manleva è fondato e va accolto, con accertamento del diritto del Bo. a rivalersi sull'A SC Shooting per la quota di 2/3 di quanto lo stesso abbia pagato al Vi..


7.3.4. Il quarto motivo, diretto a contestare la condanna del Bo. al risarcimento del danno non patrimoniale va respinto.


7.3.5. Il quinto motivo, relativo alla regolamentazione delle spese processuali e di c.t.u., va preso in esame alla luce della parziale riforma della sentenza appellata, che impone una rivisitazione del capo relativo alla ripartizione degli oneri di lite alla stregua dell'esito complessivo della controversia.


8. Regolamentazione delle spese processuali.


Sulla scorta dell'indicato principio, le spese processuali nei rapporti fra l'appellante principale Vi., da un lato, e A SC Shooting e Bo., dall'altro, considerato l'esito della controversia fra queste parti, vanno dichiarate compensate per la quota di 1/3, mentre i residui due terzi di esse vanno posti a solidale carico di A SC Shooting e Bo..


Nei rapporti fra A SC Shooting e Bo. va constatata la soccombenza della associazione per la quota di 2/3 e nella stessa misura va condannata alla rifusione delle spese, compensata la residua quota, come compensate quelle sostenute da Lu. Mu..


Alla liquidazione delle spese si provvede come da dispositivo, con applicazione dei valori medi del d.m. 55/2014 previsti per le cause di valore indeterminabile di bassa complessità e in ragione delle attività effettivamente espletate in questo grado.


Le spese inerenti alle consulenze tecniche d'ufficio espletate, vanno poste a solidale carico del Bo. e di A SC Shooting 22.


PQM

per questi motivi

definitivamente decidendo sugli appelli principale e incidentali, rispettivamente proposti da Da. Vi., St. Bo. e A SC 22 Shooting Club, avverso la sentenza n. 1522/2021 del tribunale di Padova, in parziale riforma di tale sentenza, che per il resto conferma, così provvede:


1.) accerta che la condanna stabilita nella sentenza appellata a carico di St. Bo. di cui al capo b) del dispositivo deve intendersi - a seguito dell'acquisto del fondo da parte di Lu. Mu. - a carico di costui;


2.) stabilisce in € 50,00 (anziché in € 10,00) la somma dovuta ex art. 614 bis c.p.c. per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione delle opere di cui al capo b) della sentenza impugnata;


3.) dichiara tenuta e condanna A SC 22 Shooting Club, in persona del suo presidente pro tempore, a tenere indenne St. Bo. di quanto dallo stesso pagato a Da. Vi. in forza della sentenza di primo grado limitatamente alla quota di 2/3;


4.) dichiara compensate fra le parti Vi. e Bo.- A SC 22 Shooting Club le spese processuali di entrambi i gradi di giudizio nella misura di 1/3, condannando, fra loro in solido, St. Bo. e A SC Shooting 2000 in persona del presidente pro tempore, a rifondere a Da. Vi. i residui due terzi di tali spese, che liquida, per l'intero, quanto al primo grado, nella misura tassata dal tribunale nella sentenza appellata e, quanto al presente grado, in € 6.946,00 per compenso ed € 799,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% del compenso e degli oneri fiscali e previdenziali come per legge dovuti;


5.) dichiara compensate per la quota di 1/3 le spese processuali fra St. Bo. e A SC 22 Shooting Club e condanna quest'ultima a rifondere al Bo. i residui due terzi di tali spese, che liquida, per l'intero, quanto al primo grado, in € 7.616,00 per compenso e quanto al presente grado in € 6.946,00 per compenso, oltre - per entrambi i gradi - al rimborso delle spese generali nella misura del 15% del compenso e degli oneri fiscali e previdenziali come per legge dovuti;


6.) dichiara compensate le spese inerenti alla posizione di Lu. Mu.;


7.) pone le spese inerenti a tutte le consulenze tecniche d'ufficio espletate, come liquidate con separati provvedimenti, a solidale carico - ciascuno per la metà - di A SC 22 Shooting Club e St. Bo.


Venezia, 17 gennaio 2023.


DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 7 FEB. 2023.