Icone

                               
Formulario è un servizio gratuito. Aiutaci a mantenere aperta la partecipazione a tutti, semplicemente cliccando "Mi piace". A te non costa nulla, per noi vuol dire molto

Differenza transazione generale e speciale

 Cassazione civile sez. , n. 5139/2003

TRANSAZIONE - In genere

In riferimento al contratto di transazione, va distinta la cosiddetta "transazione generale" dalla "transazione speciale": con la prima le parti in lite chiudono definitivamente ogni contestazione su tutti i loro pregressi rapporti, costituendo una nuova situazione, all'interno della quale non è necessario individuare una concessione in relazione ad ogni singola vicenda implicata nel contratto, potendo la concessione di ciascuna parte tradursi anche nel totale sacrificio di una sola posizione, relativa ad uno dei vari affari coinvolti nel componimento di interessi; si ha invece transazione speciale quando l'accordo ha ad oggetto un affare determinato; in quest'ultimo caso, essa produce l'effetto preclusivo della lite solo limitatamente all'affare transatto.


Fonti:

Giust. civ. Mass. 2003, 4

Foro it. 2003, I, 3047



Sentenza


Cassazione civile sez. III, 03/04/2003, n.5139

Massime

 Documenti correlati

Analizza con AI

Intestazione


Fatto

Svolgimento del processo

Con citazione notificata il 30.11.1993 Filippo Pasquale Lo Mauro conveniva in giudizio davanti al tribunale di Termini Imerese, Carmelo Spitale chiedendo di pronunziare sentenza ex art. 2932 c.c. per il trasferimento di proprietà di un immobile urbano in Petralia Soprana. Assumeva l'attore che aveva stipulato una transazione con il convenuto, per eliminare le varie liti in atto in relazione a numerosi rapporti contrattuali, con la quale transazione lo Spitale avrebbe dovuto trasferirgli la proprietà del suddetto immobile sito in via Generale Medici n. 79 - 81; che il Lo Mauro rinunziava ad ogni pretesa sulle aziende denominate, "Impresa Spitale Carmelo" e "Copam s.n.c.; che lo Spitale a conguaglio versava la somma di L. 152 milioni; che il Lo Mauro non aveva nient'altro a pretendere dallo Spitale anche per rapporti non compresi nell'atto, ivi compresi quelli di lavoro subordinato.


Il convenuto resisteva alla domanda, eccependo la nullità e l'annullabilità della transazione.


Il Tribunale con sentenza depositata il 14.8.1996 accoglieva la domanda.


Proponeva appello lo Spitale.


Resisteva il Lo Mauro.


La Corte di appello di Palermo, con sentenza depositata il 20.9.1999, rigettava l'appello.


Riteneva la corte di merito che nella produzione dell'attore appellato risultavano due scritture intervenute tra le parti ed antecedenti alla transazione: una intestata "accordo fino al 30.6.1992" e l'altra datata 11.5.1992; che da tali scritture, contrariamente all'assunto dell'appellante, risultava che questi aveva adeguata conoscenza dell'assetto degli interessi oggetto della regolamentazione; che gli erano noti sia l'omesso rendimento del conto da parte del Lo Mauro in relazione all'impresa Stabile sia l'effettiva situazione patrimoniale della Copam s.n.c.; che l'oggetto del contratto, sulla base anche di dette scritture, poteva ritenersi adeguatamente determinato; che era infondato l'assunto che le pretese del Lo Mauro fossero temerarie; che non sussisteva l'assunto errore dello Stabile in merito alla situazione patrimoniale della "impresa Stabile", fatta apparire florida, mentre invece era deficitaria, in quanto, proprio sulla base delle due scritture pregresse alla transazione, poteva affermarsi che lo Spitale aveva conoscenza dei rapporti controversi e delle reciproche pretese e che egli era in condizione di percepire esattamente i presupposti ed i termini dall'accordo transattivo, facendo uso della normale diligenza.


Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione lo Spitale.


Resiste con controricorso il Lo Mauro.


Entrambe le parti hanno presentato memorie.


Diritto

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 1346 c.c. e degli artt. 1965 e seg. c.c., la nullità per indeterminatezza ed indeterminabilità delle controversie e per la mancanza di reciproche concessioni, l'insussistenza dei requisiti essenziali del contratto di transazione e nullità per indeterminabilità dell'oggetto delle reciproche concessioni, l'omessa insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).


Assume il ricorrente che la sentenza impugnata erratamente si è limitata a considerare il contenuto letterale delle scritture prodotte e ad osservare genericamente che dalle stesse era emersa sia la sussistenza di una res dubia sia l'intento di far cessare tale situazione con reciproche concessioni, mentre nella fattispecie non risulterebbero determinabili le reciproche concessioni. Inoltre secondo il ricorrente non risulterebbero quali fossero le rispettive pretese e quindi le reciproche concessioni, con conseguente indeterminatezza e, quindi, nullità della transazione ex art. 1346 c.c..


Inoltre, secondo il ricorrente, la situazione patrimoniale della società di fatto non era determinata nè era determinabile al momento della redazione della scrittura privata di transazione, poiché tutto era gestito dal Lo Mauro, che non aveva mai reso il conto dei lavori da lui espletati, per cui le perdite ed i vantaggi non potevano essere noti nella loro reale consistenza ad esso Spitale al momento della redazione della scrittura, data l'impossibilità di individuare l'oggetto della rinunzia fatta. 2.1. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato.


È opinione diffusa desumere dall'art. 1966, c. 2, c.c., che oggetto della transazione sia la situazione giuridica controversa, cioè la cosa o il comportamento su cui vertono la pretesa e la contestazione delle parti. Il punto è da condividere, con la precisazione che, poiché la transazione non importa una volizione retrospettiva, come nel contratto di accertamento, dove l'attenzione retrospettiva al rapporto accertato è essenziale alla funzione, l'oggetto della transazione va considerato essenzialmente sul piano della situazione che ad essa consegue, scindendo il legame con la situazione preesistente, l'individuazione della quale indica solo l'ambito entro cui la disposizione attuata dispiega efficacia preclusiva.


Certamente non può essere oggetto del contratto la lite in atto o che può sorgere (come pure ritiene Cass. n. 1980 del 2000), in quanto la lite è solo il presupposto della transazione ed in quanto ad essa non possono riferirsi i requisiti di cui all'art. 1346 c.c..


Ciò non toglie che, per la validità della transazione è necessaria la sussistenza della res litigiosa, in quanto ciò costituisce non l'oggetto, ma il presupposto della transazione ed integra l'ambito di operatività preclusiva della stessa ma ciò rileva essenzialmente sotto il profilo della causa. 2.2. A tal fine va rilevato che un negozio transattivo ben può essere concluso senza che le parti abbiano dato alle rispettive tesi contrapposte la determinatezza propria della pretesa, esteriorizzando il loro dissenso in una rigorosa formulazione, nè ciò impedisce al giudice di merito, il cui apprezzamento al riguardo è insindacabile in sede di legittimità se correttamente e congruamente motivato, di determinare l'esatto contenuto dell'accordo, attingendo a varie circostanze idonee a precisarne e chiarirne i termini, non essendo d'ostacolo a tale indagine il principio per cui la transazione deve essere provata per iscritto (Cass. 1 giugno 1983, n. 3758). 2.3. Quanto a questo presupposto del contratto di transazione va distinta la cd. "transazione generale" dalla "transazione speciale", che è presa in considerazione dalla legge nell'art. 1975 c.c..


Nella prima non occorre l'individuazione delle singole controversie, perché essa sia valida, poiché le parti l'hanno "conclusa generalmente sopra tutti gli affari che potessero esservi tra loro" (art. 1975, c. 1), intendendo con ciò chiudere definitivamente ogni contestazione sui loro pregressi rapporti definendo una nuova situazione. Non serve la sussistenza di reciproche concessioni in ordire ad ogni singola vicenda implicata dal contratto, potendo ciascuna concessione tradursi nel totale sacrificio di una delle posizioni contrapposte in uno dei singoli rapporti coinvolti nel componimento. La transazione speciale riguarda invece "un affare determinato" (art. 1975, c. 2 c.c.) producendo, pertanto l'effetto preclusivo limitatamente ad esso. 3. Nella fattispecie la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei suddetti principi di diritto.


Infatti la sentenza impugnata dà atto che la transazione investiva le numerose controversie relative ai rapporti contrattuali tra le parti relativamente alle aziende denominate "imprese Spitale Carmelo" e "Copam s.n.c"; che l'oggetto del contratto, sulla base anche di precedenti regolamentazioni negoziali, individuati dal giudice di merito in una scrittura intestata "accordo fino al 30.6.1992" ed in altra scrittura dell'11.5.1992, doveva ritenersi adeguatamente determinabile; che sulla base di detta documentazione emergeva che lo Spitale aveva adeguata conoscenza dell'assetto degli interessi oggetto della regolamentazione negoziale; che, in particolare gli erano noti al momento della stipula della transazione (o avrebbero dovuto essergli con l'uso della normale diligenza) sia l'omesso rendimento del conto da parte del Lo Mauro sia l'effettiva situazione patrimoniale della Copam s.n.c. La sentenza dà atto, altresì, delle concessioni reciproche delle parti e segnatamente di quelle del resistente, costituite dalla rinunzia ad ogni diritto sulle due aziende. 4.1. Quanto alla censura, secondo cui, la sentenza in questione avrebbe violato l'art. 1346 c.c. per non aver rilevato la nullità della transazione per indeterminatezza dell'oggetto, non essendo noti allo Spitale lo stato patrimoniale della società di fatto con il Lo Mauro e quindi i diritti a cui lo stesso rinunziava in suo favore, va anzitutto osservato che la corte di merito ha ritenuto, con accertamento di fatto fondato sulle scritture pregresse alla transazione, che allo Spitale erano noti sia l'omesso rendimento del conto da parte del Lo Mauro sia lo stato patrimoniale della Copam.


Trattasi di accertamento fattuale rientrante nei compiti del giudice del merito e che è immune da vizi motivazionali rilevabili in sede di sindacato di legittimità. 4.2. In ogni caso va osservato che l'oggetto della "concessione" del Lo Mauro era pacificamente costituito dalla rinunzia ad ogni diritto sulle due aziende. La questione che lo Spitale potesse non conoscere lo stato patrimoniale delle stesse, attiene non alla determinatezza dell'oggetto della "concessione", che era individuato dal trasferimento transattivo della piena titolarità della due aziende, ma al valore del bene, che, per effetto della transazione, si acquistava in piena titolarità.


Il ricorrente infatti lamenta che non gli erano noti "le perdite" ed "i vantaggi" conseguenti alla rinunzia del Lo Mauro.


Sennonché tale questione non attiene alla determinatezza dei diritti, cui rinunziava il Lo Mauro, che erano appunto i diritti sulle due aziende, ma alla consistenza economica degli stessi, diversa da quella ritenuta (apparente) dal resistente, che sul punto era incorso in errore.


La questione, quindi, non attiene alla determinatezza dell'oggetto della transazione ma a quella diversa dell'errore sul valore del bene ottenuto in sede transattiva, trattato nel secondo motivo di ricorso. 5. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1969, 1971 1429 c.c.; l'annullabilità della transazione per errore o per lite temeraria; l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.).


Il ricorrente lamenta l'errata applicazione delle suddette norme da parte del giudice di appello, che non ha tenuto conto dell'entità delle concessioni da lui fatte e che egli era ignaro della reale e ben minore consistenza della quota del 50% della s.d.f. Spitale.


Ritiene il ricorrente che nella fattispecie risultavano gli elementi dell'essenzialità e della riconoscibilità dell'errore.


Inoltre, secondo il ricorrente, la consapevolezza dello Spitale della reale situazione patrimoniale della società, in una al suo comportamento di continua elusione della richiesta di rendicontazione, volta a celare la predetta effettività ed a rivendicare quanto risultava da una falsa apparenza, sono circostanze che integrano i presupposti della temerarietà della pretesa ai sensi dell'art. 1971 c.c..


Lamenta, inoltre, il ricorrente che non sono state ammesse le prove testimoniali, con cui egli mirava e provare la sua impossibilità, per fatto del Lo Mauro, di rendersi conto delle reali situazioni patrimoniali della società di fatto "impresa Spitale" e che la Copam s.n.c. non entrò mai in fase operativa. 6. Ritiene questa Corte che il motivo sia infondato e che lo stesso vada rigettato.


Va, anzitutto, premesso, in relazione all'assunta differenza del valore economico delle diverse concessioni, che il carattere commutativo del contratto non può dirsi escluso dall'eventuale squilibrio economico delle relative prestazioni, cui ciascuna delle parti si è obbligata tenendo conto delle reciproche pretese (anche se in ipotesi infondate) ed in vista delle definizioni di tutti i possibili contrasti, non essendo richiesto un rapporto di equivalenza fra "datum" e "retentum". (Cass. 22 febbraio 2000, n. 1980).


A tal fine va ricordato che l'art. 1970 c.c. esclude che la transazione possa essere rescissa per causa di lesione. 7.1. Quanto all'errore di fatto, va osservato che la transazione, come tutti i contratti, soggiace alla disciplina generale sull'errore (art. 1428 ss. c.c.) nei limiti in cui questa non risulti derogata dalla disciplina speciale (artt. 1969, 1972, c. 2, 1973, 1974, 1975, c. 2).


L'art. 1969 c.c. statuisce che la transazione non può esser annullata per errore di diritto relativo alle questioni che sono state oggetto della controversia (cd. caput controversum).


La dottrina e la giurisprudenza (Cass. 9.8.1969, n. 2973; cass. 28.12.1967, n. 3024) estendono detta disciplina anche all'errore di fatto.


Il predetto orientamento è da condividere: se potesse farsi valere l'errore di fatto, verrebbe meno la funzione della transazione, che attua il superamento della lite prescindendo dalla consistenza della precedente situazione controversa.


Se, invece, l'errore di fatto o di diritto ricade su una questione estranea all'oggetto della lite transatta (caput non controversum), esso rende impugnabile la transazione (Cass. 16 marzo 1981, n. 1465).


In questo caso, infatti, viene meno la deroga alla disciplina generale, fissata dall'art. 1969 c.c.. 7.2. Generalmente si ritiene che nella transazione sia applicabile la disciplina sull'errore di cui all'art. 1429 c.c., allorché l'errore investa le reciproche concessioni e sempre che tale errore non attenga ad un caput controversum.


L'errore assunto dal resistente si fonda su un'assunta erronea conoscenza della consistenza patrimoniale delle due aziende a lui attribuite in sede transattiva, che non erano floride, così come apparivano, presentando anzi una situazione debitoria "l'impresa Spitale".


La tesi, quindi, si risolve in un errore sulla valutazione economica della "concessione" ricevuta, con la conseguenza che si pone il problema se tanto possa costituire causa di annullamento per errore di fatto della transazione effettuata.


A tal fine va osservato che in tema di errore sul valore della cosa compravenduta, secondo l'orientamento prevalente, l'errore sul valore della cosa oggetto della compravendita può dar luogo, se ne ricorrono i presupposti, all'azione di rescissione per lesione e non a quella di annullamento del contratto per vizi della volontà (Cass. 24 luglio 1993, n. 8290).


In particolare in caso di compravendita delle azioni di una società, che si assume stipulata ad un prezzo non corrispondente al loro effettivo valore, senza che il venditore abbia prestato alcuna garanzia in ordine alla situazione patrimoniale della società stessa, il valore economico dell'azione non rientra tra le qualità di cui all'art. 1429 n. 2 c.c. relativa all'errore essenziale, anche quando il bilancio della società pubblicato prima della vendita sia falso e nasconda una situazione in forza della quale devono applicarsi gli art. 2447 e 2448 n. 4 c.c.) (Cass. 29 agosto 1995, n. 9067; I, 21 giugno 1996 n. 5773). 7.3. Il principio va esteso anche all'errore in cui sia incorsa una parte in sede di contratto di transazione.


Infatti il difetto di qualità della cosa "concessa" in sede di transazione - rilevante ai fini dell'annullamento del contratto per errore a della sua risoluzione - deve attenere unicamente alla "qualità" dei diritti ed obblighi -che in concreto il contratto sia idoneo ad attribuire, mentre non può riguardare il suo valore economico, in quanto essa non attiene all'oggetto del contratto ma alla sfera delle valutazioni motivazionali dalle parti e può quindi assumere rilievo solo ove siano state previste esplicite garanzie contrattuali in relazione alla consistenza economica del bene "concesso" ovvero nel caso di dolo di un contraente, che rende annullabile il contratto in relazione ad ogni tipo di errore determinante del consenso. 7.4. L'art. 1429 c.c. ha un duplice referente: il comune apprezzamento o il riferimento alle circostanze. Sotto il primo profilo, si ha riguardo alla tipica destinazione economica della cosa, e cioè alla sua destinazione obiettiva a realizzare il tipico scopo del contratto prescelto. Pertanto, deve trattarsi di caratteristiche inerenti alla cosa, che non consentono margini di opinabilità, in quanto non dipendono da una valutazione estimativa e cioè da un criterio di apprezzamento del bene alla stregua della pura e semplice "convenienza" (massimo di utilità raggiungibile) dell'affare, nell'economia di una delle parti.


Se si avesse riguardo alle caratteristiche dell'oggetto che - indipendentemente dalla sua destinazione tipica - influiscono sul prezzo che si è formato, nell'ambito dell'equilibrio interno impresso dalle parti alle prestazioni corrispettive, anziché tutelare la parte nei confronti dell'errore che le abbia impedito di conoscere (nella disciplina giuridica e nel contenuto di fatto) il negozio che sta per concludere, si attribuirebbe una tutela al cattivo uso dell'autonomia contrattuale, e cioè ai motivi che inducono a contrattare, nonché alle personali valutazioni, di cui ciascuno deve assumersi il rischio.


Ed invero, se per "comune apprezzamento" dovesse intendersi il prezzo che l'insieme degli operatori, e cioè il mercato di quel tipo di cose attribuisce alle cose stesse, con riguardo alla vendita, l'art. 1474 c.c., anziché applicarsi alle sole ipotesi ivi indicate, sarebbe di applicazione generalizzata perché il difetto di coincidenza fra il prezzo di mercato od il giusto prezzo ed il prezzo contrattuale porterebbe alla possibilità di annullare il contratto.


L'impossibilità di tutelare i meri errori di valutazione che influiscono soltanto sul valore della prestazione, dipende dall'intero sistema dell'autonomia contrattuale che - salvo casi specifici, qui non ricorrenti - riserva alla sfera dei motivi individuali ed irrilevanti l'apprezzamento dell'utilità dell'affare. 7.5. In ogni caso la corte di merito, con motivazione in fatto, incensurabile in questa sede di legittimità, perché immune da vizi motivazionali e fondata sulle pregresse scritture intervenute tra le parti, ha ritenuto insussistente l'errore assunto, in quanto allo Spitale erano noti i termini ed i presupposti dell'accordo transattivo, facendo uso della normale diligenza.


Correttamente, quindi, la corte di merito ha ritenuto inammissibili le prove testimoniali richieste, oltre ad essere le stesse irrilevanti, mirando le stesse a provare l'errore del ricorrente sul valore delle concessioni ricevute. 8.1. Infondata è anche la censura di violazione dell'art. 1971 c.c..


Osserva preliminarmente questa Corte che l'annullamento della transazione su pretesa temeraria ai sensi dell'art. 1971 c.c. presuppone che la pretesa fatta valere dalla parte, nei cui confronti si chiede l'annullamento, sia assolutamente ed obiettivamente infondata, e ciò in aderenza alla necessità che il rapporto dal quale scaturisce la transazione sia una res dubia, che cioè vi sia incertezza sui rispettivi diritti delle parti. La mancanza di detto presupposto esclude, di per sè, l'annullamento.


Pertanto il giudice, accertato che la pretesa non sia assolutamente infondata, deve respingere la domanda di annullamento della transazione senza compiere alcuna altra indagine, tanto più che l'art. 1971, richiedendo, per l'annullamento della transazione la consapevolezza, in una delle parti, della temerarietà della sua pretesa, esclude che sia sufficiente la colpa grave, essendo invece necessario il dolo (Cass. 4 giugno 1988, n. 3797; Cass. 28 novembre 1984, n. 6191). 8.2. Ne consegue che elementi essenziali per tale forma di annullamento sono: una pretesa "temeraria" e la consapevolezza della stessa (mala fede).


La pretesa temeraria è circoscritta all'assoluta, obiettiva ed evidente inesistenza del diritto fatto valere nella lite, in corso o che può sorgere.


Essa non si identifica con un comportamento comunque scorretto o in mala fede del soggetto che avanza la pretesa.


L'unica mala fede che rileva è quella che investe il primo dei requisiti e cioè la pretesa temeraria. 8.3. Nella fattispecie la corte di merito ha ritenuto che non fosse provato che il Lo Mauro avesse avanzato una pretesa temeraria.


Il ricorrente che, pure censura detta decisione, non indica quale fosse detta pretesa temeraria, e cioè quale fosse il diritto reclamato dal Lo Mauro, per quanto assolutamente inesistente, e su cui era insorta (o poteva insorgere) una lite, che con la transazione era stata definita.


Le censure che il ricorrente muove attengono all'errata valutazione del comportamento del Lo Mauro, per aver eluso le richieste di rendicontazione, per aver celato l'effettività della situazione patrimoniale delle società e creato una falsa apparenza, ma tanto non attiene alla "pretesa" fatta valere, intesa come elemento della lite, ma al comportamento tenuto dal Lo Mauro.


Il motivo di doglianza, che identifica la pretesa temeraria con il comportamento tenuto dal Lo Mauro, è quindi infondato e va rigettato.

9. Il ricorso va pertanto rigettato.


Il ricorrente va condannato al pagamento delle spese di questo giudizio di Cassazione sostenute dal resistente e liquidate come in dispositivo.


PQM

p.q.m.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di Cassazione sostenute dal resistente e liquidate in Euro 93,83, oltre Euro tremila--00 per onorario di avvocato.


Così deciso in Roma, lì 8 novembre 2002.

Nessun commento:

Posta un commento