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Il ritardato pagamento dei canoni locatizi non può considerarsi di non scarsa importanza, se dovuto all'emergenza covid -19


Tribunale Bologna sez. II, 28/04/2022, (ud. 26/04/2022, dep. 28/04/2022), n.1118

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di intimazione di sfratto e contestuale citazione per la convalida, la locatrice, Sig.ra L. M., intimava al conduttore, Sig. H.N M., lo sfratto per morosità relativo alla locazione non abitativa afferente all'immobile sito in Bologna, Via Saragozza n. 21/B.


Con tale atto la ricorrente narrava che:


- l'01.01.2014 aveva concesso in locazione, ad uso non abitativo, al Sig. Iq. H. l'immobile sito in Bologna, Via Saragozza n. 21/B.


- In data 06.12.2018 il contratto di locazione in parola veniva ceduto al Sig. H. M..


- Quest'ultimo, a partire dal mese di dicembre 2020, interrompeva la corresponsione del canone di locazione.


Dunque, i canoni di locazione oggetto della morosità posta a fondamento dell'intimazione erano quelli inerenti le mensilità intercorrenti tra il mese di dicembre 2020 ed il mese di giugno 2021, per il complessivo importo di Euro 4.760,00.


A seguito di un sollecito della ricorrente, il Sig. M. versava unicamente la somma di Euro 1.360,00, ossia le mensilità di dicembre 2020 e gennaio 2021.


Per tali motivi, la ricorrente Sig.ra L. chiedeva:


1) la convalida dello sfratto per morosità;


2) in caso di opposizione alla convalida, di dichiarare comunque risolto e scaduto il contratto di locazione;


3) con vittoria di spese e compensi di causa.


All'udienza del 20 settembre 2021 il conduttore Sig. H. si opponeva alla convalida di sfratto e dichiarava di aver saldato le mensilità di cui all'atto di intimazione, subito dopo la notifica dell'intimazione di sfratto.


Il giudice rinviava l'udienza per permettere a parte intimante di verificare gli avvenuti pagamenti.


All'udienza del 27 settembre 2021 il giudice non convalidava lo sfratto per morosità in ragione della opposizione, che impedita la convalida.


Inoltre, in ragione della circostanza che vi era stato recupero della morosità, il giudice rigettava la istanza di pronto rilascio. Il giudice, inoltre, disponeva il mutamento di rito, rinviava l'udienza, disponeva il procedimento di mediazione delegata e concedeva termine alle parti per il deposito delle memorie integrative dei propri atti difensivi.


Con memoria difensiva integrativa la ricorrente narrava di aver attivato tempestivamente il procedimento di mediazione, il cui esito si rivelava negativo a causa della mancata partecipazione del Sig. H..


Proseguiva, sostenendo che il contratto di locazione doveva essere risolto a fronte dell'inadempimento contrattuale del conduttore che risultava documentale, rilevante, inoppugnabile ed insanabile.


La Sig.ra L. sottolineava che il conduttore non aveva giustificato in alcun modo l'interruzione della corresponsione del canone locatizio.


La ricorrente sosteneva che, in ogni caso, il c.d. 'lockdown', disposto dal governo per arginare la pandemia, non poteva essere addotto da parte del conduttore quale causa di giustificazione per tre ragioni:


1) il periodo di morosità non coincideva con il periodo di 'lockdown' assoluto, come disposto dal governo nell'anno 2021, se non per un periodo di tempo molto breve;


2) durante il periodo di 'lockdown' il governo non aveva disposto limitazioni di esercizio nell'ambito della vendita di generi alimentari, che era l'attività svolta dal conduttore;


3) il conduttore non aveva documentato alcuna decrescita di introiti nel periodo di 'lockdown' disposto nell'anno 2021.


In particolare, la ricorrente richiamava una pronuncia del Tribunale di Bologna secondo cui la ratio del d.l. n. 18/2020 deve essere individuata nella volontà di introdurre maggiore flessibilità nel sistema. Sulla base di tale orientamento, il giudice dovrebbe valutare in concreto le ragioni dell'inadempimento da Covid, mentre l'onere della prova resterebbe in capo al debitore che la invoca.


La Sig.ra L. sosteneva che, nell'ambito delle locazioni commerciali, a seguito della notifica dell'intimazione di sfratto, il conduttore non può sanare la morosità al fine di evitare la risoluzione per inadempimento.


Inoltre, precisava che il contratto di locazione stipulato con il Sig. H. prevedeva una clausola risolutiva espressa, l'art. 15. Tale clausola attribuiva al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto a fronte di un inadempimento della controparte e dispensava, dunque, la parte stessa dall'onere di provare l'importanza dell'inadempimento.


Per tali motivi la ricorrente chiedeva:


1) accertato il grave inadempimento del conduttore, di dichiarare la risoluzione del contratto di locazione ad uso non abitativo esistente fra le parti;


2) di conseguenza, di condannare il convenuto all'immediato rilascio dell'immobile;


3) con vittoria di spese e compensi di causa, della procedura di sfratto e del procedimento di mediazione.


Con memoria difensiva ex art. 667 c.p.c. si costituiva in giudizio l'intimato, Sig. H. M..


Parte convenuta contestava quanto dedotto da parte intimante. In particolare, sosteneva di aver adempiuto ai propri obblighi discendenti dal contratto di locazione ad uso commerciale. Di conseguenza, non sussisterebbe una grave violazione tale da giustificare la risoluzione del contratto.


L'intimato sottolineava di non aver arrecato alcun vulnus di carattere economico nei confronti di parte intimante, in quanto aveva corrisposto tutti i canoni locatizi, anche se in ritardo.


Inoltre, il Sig. H. precisava che, a causa della situazione pandemica, la propria attività di vendita di generi alimentari aveva subito una riduzione del calo di fatturato e un decremento degli introiti. Tale aspetto avrebbe trovato conferma nel fatto che l'intimato aveva dovuto reperire anche un'altra occupazione lavorativa.


Inoltre, il convenuto evidenziava di gestire l'attività di vendita di generi alimentari dall'anno 2018 e che per tutto tale periodo aveva sempre corrisposto esattamente i canoni di locazione.


Pertanto, sosteneva di aver adempiuto in ritardo a causa della eccessiva onerosità sopravvenuta non addebitabile alla propria condotta.


In particolare, richiamava la disciplina di cui all'art. 3, comma 6 bis, d.l. n. 18/2020, secondo cui "il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali ritardi o omessi adempimenti".


Parte convenuta sosteneva di aver tenuto un comportamento conforme ai criteri generali di buona fede e correttezza ex art. 1375 c.c., avendo saldato interamente il proprio debito subito dopo la notifica dell'intimazione di sfratto.


Per tali motivi, la parte convenuta chiedeva:


1) nel merito, di respingere le domande avversarie in quanto infondate in fatto ed in diritto;


2) in subordine, di disporre una sospensione del procedimento, con contestuale rinvio, onde vagliare la situazione susseguente al presente giudizio;


3) con vittoria di spese, diritti ed onorari.


All'udienza del 23 marzo 2022 la parte attrice eccepiva la tardività della costituzione di parte convenuta. Le parti insistevano nelle proprie conclusioni. Il giudice tratteneva in decisione senza termini, come richiesto dalle parti.


Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il merito. Sulla gravità dell'inadempimento del conduttore


secondo il parametro generale di cui all'articolo 1455 c.c.


La domanda della parte ricorrente volta ad ottenere la risoluzione del contratto per grave inadempimento del conduttore, ex art. 1455 c.c.,


è infondata.


Ai sensi dell'art. 1455 c.c., il presupposto per la risoluzione del contratto per inadempimento è la gravità dell'inadempimento. Il contratto, dunque, non può essere risolto qualora l'inadempimento di una delle parti sia di scarsa importanza.


La Suprema Corte ha precisato che, in tema di risoluzione per inadempimento, il giudice deve accertare in concreto la gravità dell'inadempimento mediante la combinazione di un criterio oggettivo e di un criterio soggettivo. In base al criterio oggettivo, l'inadempimento è grave qualora abbia inciso in misura apprezzabile sull'economia complessiva del rapporto contrattuale e abbia pregiudicato le legittime aspettative del creditore. Il criterio soggettivo impone di avere riguardo all'interesse del contraente circa l'esatto e tempestivo adempimento della prestazione (Cass. civ., sez. II, n. 6364/2019).


L'inadempimento, dunque, deve rappresentare un presupposto obiettivo per lo scioglimento del contratto ed anche un parametro fondamentale per valutare la mancata attuazione dell'equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni.


Pertanto, in relazione ai contratti di locazione per uso non abitativo, al fine di qualificare come grave un inadempimento, il giudice è tenuto ad accertare:


i) sia che l'inadempimento sia idoneo a ledere in misura apprezzabile l'interesse contrattuale del locatore,


ii) sia che esso sia in grado di sconvolgere l'intera economia del rapporto, così da determinare un rilevante ostacolo alla sua prosecuzione.


Nel caso di specie, l'inadempimento del Sig. H. non può reputarsi grave al punto tale da giustificare lo scioglimento del vincolo contrattuale.


Il pagamento dei canoni, anche se in ritardo, è comunque avvenuto per l'intero importo. Dunque, il conduttore, avendo sanato la propria morosità, non ha pregiudicato in misura apprezzabile gli interessi


della controparte contrattuale. Anche alla luce dell'art. 1375 c.c., il ritardo nell'adempimento non giustifica la risoluzione del contratto, in quanto non costituisce un grave inadempimento delle obbligazioni contrattuali.


Infine, occorre considerare il fatto che l'inadempimento si è verificato durante il periodo di emergenza sanitaria causata dal diffondersi del Covid-19. Infatti, il periodo di compressione dei fatturati va collocato proprio nell'anno 2020 ed ha evidentemente comportato una compressione di fatturato,


Le regole specifiche in materia di locazioni


La clausola risolutiva espressa


In materia di locazioni, tale regola generale (articolo 1455 c.c.) è integrata dal disposto dell'articolo 5 della legge equo canone 27 luglio 1978 numero 392 (l.e.q., nel seguito). Pertanto, in tale tipo di contratti, la valutazione elastica dell'articolo 1455 è sostituita, in genere, da un dato aritmetico.


Inoltre, nel caso di specie, vi è una clausola risolutiva espressa.


Sia secondo l'articolo 5 della legge equo canone 27 luglio 1978 numero 392 (l.e.q., nel seguito), sia per la clausola risolutiva espressa;


si potrebbe pervenire ad un esito di risoluzione.


Ritiene questo Tribunale che la normativa COVID19 consenta di derogare alla norma della l.e.q. e, per altro verso, intervenga anche sul patto contrattuale della clausola risolutiva espressa.


Occorre dunque esaminare, in diritto, la portata di tale norma.


Sulla portata dell'art. 91, d.l. n. 18/2020: in relazione alla singola obbligazione. Non rilevanza ai fini di questa decisione


Il convenuto invoca l'art. 91 del d.l. n. 18/2020 al fine di escludere la propria responsabilità per l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale. La norma, infatti, stabilisce che: "Il rispetto delle misure di contenimento (...) è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore".


L'art. 91 - anche se con una formulazione non del tutto chiara - riconosce al giudice il potere di valutare la responsabilità del debitore in relazione al fenomeno della pandemia.


Sono state offerte diverse chiavi di lettura della norma in parola.


Secondo una prima interpretazione, l'art. 91 giustificherebbe una esenzione dall'adempimento, rendendo la prestazione inesigibile.


Tuttavia, tale interpretazione non è meritevole di accoglimento per diversi motivi:


1) la lettera della norma, riferendosi alla 'responsabilità del debitore', allude chiaramente alle conseguenze del mancato adempimento. In altri termini, l'art. 91 cit. incide sull'obbligo del debitore inadempiente di risarcire il danno causato dal proprio tardivo o mancato adempimento ma non libera il debitore dai propri obblighi contrattuali e non rende possibile l'estinzione dell'obbligazione.


2) Inoltre, qualora la prestazione fosse inesigibile, non si comprende se tale inesigibilità debba essere intesa come definitiva o provvisoria.


Il giudice non ha il potere di introdurre dei termini di inesigibilità in via equitativa, a maggior ragione in presenza di norme specifiche - quali la legislazione Covid-19 - che hanno previsto specifici termini di sospensione dei pagamenti.


3) Infine, tale interpretazione - che ammette l'inesigibilità della prestazione - non può essere accolta in quanto determinerebbe un paralisi nella circolazione della ricchezza: ad esempio, Caio non paga il debito che ha verso Tizio, in quanto ritiene che esso sia inesigibile;


a sua volta, Tizio ritiene inesigibile il debito che ha nei confronti di Sempronio, a fronte del mancato incasso del proprio credito. Si perverrebbe ad una vera e propria trombosi del sistema economico.


Dunque, si deve escludere che l'art. 91 del d.l. 18/2020 introduca una ipotesi di inesigibilità della prestazione, di estinzione dell'obbligazione.


Sempre rimanendo all'interno della obbligazione, atomisticamente intesa, la norma ha allora una funzione di restringere la portata risarcitoria dell'inadempimento.


La portata della norma, dunque, deve essere limitata al risarcimento del danno da inadempimento della obbligazione, nell'ipotesi in cui sussista un legame eziologico tra l'inadempimento e la pandemia.


Secondo un orientamento estensivo, l'art. 91 del d.l. n. 18/2020 deve essere interpretato nel senso che: l'inadempimento da Covid-19 esime dalla responsabilità in relazione a tutti i tipi di obbligazione, coprendo tutto l'ambito di applicazione dell'art. 1218 c.c.


Al contrario, l'interpretazione restrittiva ritiene operativo l'art. 91 solo in relazione alla parte in cui si valuta la colpa e l'imputabilità dell'inadempimento, non anche l'impossibilità della obbligazione. Di conseguenza, in base a tale seconda lettura, le obbligazioni pecuniarie sarebbero escluse dalla portata dell'art. 91 in quanto il pagamento di una somma di denaro non è mai impossibile.


Pertanto, la tesi restrittiva deve essere rigettata poiché altrimenti verrebbe meno la stessa ratio sottesa alla legislazione emergenziale.


Con essa il legislatore è intervenuto al fine di fronteggiare la crisi di liquidità che si è affermata con la pandemia.


Sulla portata dell'art. 91, d.l. n. 18/2020: in relazione all'equilibrio sinallagmatico. Rilevanza ai fini di questa decisione


Dopo aver chiarito la portata della norma in relazione all'obbligazione isolata, si rileva che l'art. 91 può assumere rilevanza anche in relazione alla valutazione dell'inadempimento, con riferimento alle obbligazioni nei contratti sinallagmatici.


Tale norma, sicuramente, interviene nel senso di derogare alla regola di cui all'articolo 5 l.e.q.; la rigidità di tale ultimo articolo non è compatibile con la portata della legislazione COVID 19, che impone di tenere conto 'sempre' di tale evento pandemico; esso deve dunque ritenersi derogato dalla legislazione COVID 19, menzionata sopra.


Sotto il profilo della inserzione nelle clausole contrattuali, la legislazione COVID 19 consente di inserire nel tessuto contrattuale (ex post, così come l'articolo 1339 c.c. fa ex ante).


Alla corta: occorre far riferimento all'articolo 1455 c.c.; la legislazione COVID 19 reimmette il giudice nella valutazione relativa all'inadempimento di non scarsa importanza.


Nell'ipotesi in cui il giudice debba accertare la gravità dell'inadempimento ex art. 1455 c.c., il rigore della valutazione deve essere attenuato. Infatti, un inadempimento che può essere qualificato come grave in condizioni normali, può invece risultare di scarsa importanza in periodo di pandemia (Tribunale di Bologna, ordinanza del 4 giugno 2020). La legislazione-Covid impone una valutazione dell'inadempimento che tenga conto delle difficoltà momentanee procurate alle attività commerciali dalle misure di restrizione imposte dalle autorità.


Nel caso in esame è indubbio che, per effetto delle disposizioni emergenziali, il conduttore ha subito un decremento degli introiti tale da giustificare un ritardo tollerabile nell'esecuzione della prestazione.


Ciò anche per quanto detto nella prima parte della motivazione; nel senso che i canoni, infine, sono stati pagati; di talché il tema è se il ritardo - anche il ritardo è un inadempimento - sia o meno di non scarsa importanza. Con una valutazione inevitabilmente discrezionale ed assiologica, si deve ritenere come, nel caso di specie, l'inadempimento, consistente in un ritardo e non in un inadempimento definitivo, in queste condizioni pandemiche, non superi la barriera di cui all'articolo 1455 c.c.. Il contratto non è dunque risolto.


La difesa in fatto di parte attrice


La parte attrice, con difesa in fatto, sposta l'accento sul nesso causale.


Nel senso di negare la riconducibilità dell'inadempimento al fenomeno pandemico; o, quanto meno, nell'escludere che vi sia un nesso causale fra il primo ed il secondo.


La difesa è infondata.


In primo luogo, il giudice può ricorrere al notorio. E' fatto notorio che il prodotto interno lordo italiano abbia subito un brusco calo negli anni del COVID. E' fatto notorio che vi è stato il blocco, rispetto alle uscite dei privati. Tale elemento, da solo, rende avvertita la dipendenza dalla pandemia; è pur vero che il settore alimentare ha subito meno il calo di fatturato; ciò, sempre per notorio, è tuttavia vero in relazione ai grandi distributori.


Tanto più che, come controfattuale, non è contestato che i pagamenti precedenti fossero regolari. Dunque, la dipendenza dell'inadempimento dal COVID (inadempimento che si situa all'esito del periodo più duro di pandemia) risulta già dal notorio.


Ciò da solo sarebbe sufficiente.


Va aggiunto come vi sia produzione relativa al calo di affari; nonché la circostanza che il conduttore abbia cercato un secondo lavoro, per integrare i guadagni.


In sintesi


Il ritardato adempimento dei canoni locatizi non può considerarsi di non scarsa importanza, applicandosi la regola generale dell'articolo 1455 c.c.


Di conseguenza, la domanda della ricorrente non può trovare accoglimento.


Spese di lite


Le spese possono compensarsi.


Occorre infatti riconoscere come la posizione della attrice sia solida e sia stata respinta solo per la specificità del caso (pagamento, pur tardivo, che rappresenta comunque una forma di inadempimento; particolare situazione pandemica).



P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando sulla causa che reca numero n. 11764/2021; ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:


1) RIGETTA la domanda della attrice Sig.ra L..


2) DICHIARA interamente compensate tra le parti le spese di lite.


Sì deciso in Bologna nella residenza del Tribunale alla via Farini numero 1, il giorno 26 aprile 2022


Depositata in cancelleria il 28/04/2022.

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