L'azione di disconoscimento della paternità da parte della madre deve essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio.
Il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; dal giorno del suo ritorno nel luogo in cui è nato il figlio o in cui è la residenza familiare se egli ne era lontano. In ogni caso, se egli prova di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia.
L'azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dal figlio, entro un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui viene successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento.
L'azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i sedici anni, o del pubblico ministero quando si tratta di minore di età inferiore.
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Giurisprudenza sull'art. 244 c.c.
Cass., massima sentenza n. 15777 del 02.07.2010
In tema di azione di disconoscimento di paternità esercitata dal figlio, ai sensi dell'art. 235, primo comma, n. 3, c.c., in caso di adulterio della madre, il termine annuale previsto dall'art. 244, terzo comma, c.c., a pena di decadenza rilevabile d'ufficio, decorre dalla data della scoperta dell'adulterio, da intendersi come acquisizione certa della conoscenza del fatto, il cui apprezzamento è rimesso al giudice del merito e non già come raggiungimento della certezza negativa circa la compatibilità genetica col genitore legittimo.
Cass., massima sentenza n. 3250 del 11.05.1983
In tema di disconoscimento della paternità, secondo la disciplina transitoria di cui all'art. 229 della legge 19 maggio 1975 n. 151 (nel testo risultante per effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 64 del 1982), il periodo di sei mesi dall'entrata in vigore di tale legge, entro il quale deve essere proposta l'azione (tanto della madre, quanto del marito), va computato a partire dal 20 settembre 1975, che segna il giorno di quell'entrata in vigore, tenuto conto del disposto dell'art. 240 della legge medesima, che ne fissa l'entrata in vigore centoventi giorni dopo la sua pubblicazione avvenuta il 23 maggio 1975, da calcolarsi, in difetto di contraria previsione, secondo i criteri generali posti dall'art. 2963, secondo comma, c.c.
Cass., massima sentenza n. 5661 del 18.09.1986
Con riguardo al figlio di madre coniugata, che abbia lo stato di figlio legittimo anche del marito, deve escludersi che tale paternità legittima possa essere messa in discussione dal preteso padre naturale, indipendentemente dal fatto che il figlio sia o meno anche in possesso del suddetto stato, atteso che la relativa azione, che va qualificata come disconoscimento della paternità, non spetta ai soggetti diversi da quelli espressamente contemplati dall'art. 244 c.c., fra i quali non rientra il preteso padre naturale, e che inoltre quest'ultimo non può avvalersi dell'azione di contestazione della legittimità, che l'art. 248 c.c. riconosce esperibile da ogni interessato, avendo tale ultima azione un carattere residuale, riferendosi cioè alle contestazioni della legittimità che investano presupposti diversi da quello della paternità. La suddetta esclusione della legittimazione attiva del preteso padre naturale manifestamente non implica un contrasto con i principi fissati dagli artt. 29 e 30 della Costituzione, sulla rilevanza del vincolo familiare anche nei confronti dei figli nati fuori del matrimonio, vertendosi in tema di scelte del legislatore ordinario sui limiti per la ricerca della paternità giustificate e compatibili con tali principi.
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