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Art. 323 c.p. - Abuso d'ufficio

Art. 323 c.p. - Abuso d'ufficio

Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l'incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di norme di legge o di regolamento, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni.

La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.

Giurisprudenza sull'art. 323 c.p. e sull'abuso d'ufficio
Cass., massima sent. n. 3043 del 14.04.1983
L'abuso di ufficio nei casi non preveduti specificamente dalla legge ha natura di reato di pericolo nel senso che, per essere incriminata, la condotta dell'agente deve essere animata dal fine di produrre danno (o vantaggio), anche se l'atto non ne possiede in realtà la potenzialità.

Cass., massima sent. n. . 2750 del 18.02.1989
Il delitto di abuso di ufficio è reato di pericolo e si consuma nel momento in cui il fatto abusivo è commesso, anche se non si verifichi un danno o non si procuri ad altri un effettivo vantaggio.

Cass., massima sent. n. 1467 del 01.02.1990
Il fatto che comporta l'abuso d'ufficio di cui all'art. 323 c.p. non deve estrinsecarsi in un tipico atto amministrativo, e tantomeno avere necessariamente contenuto decisorio, ma riguarda qualunque attività del pubblico ufficiale che, con abuso dei poteri a questi spettanti, sia stata posta in essere per procurare ad altri un vantaggio, a nulla rilevando la natura dell'atto compiuto: risoluzione anziché deliberazione in senso tecnico giuridico, atto interno o atto avente immediata efficacia esterna.

Cass., massima sent. n. 7303 del 15.12.1989
Le condotte criminose punite dagli articoli 323 e 324 c.p. presentano un nucleo di elementi comuni, nel senso che entrambe, attraverso il conseguimento di fini estranei alla sfera della Pubblica Amministrazione, violano la regola dell'imparzialità che, a norma dell'art. 97 Cost., deve informare il funzionamento dei pubblici uffici, ed ambedue si atteggiano come delitti di pericolo o di danno eventuale; inoltre, se l'illegittimità dell'atto integra una caratteristica costante del delitto di abuso innominato, anche il reato di interesse privato può ben essere consumato mediante l'adozione di un provvedimento amministrativo illegittimo. Ne consegue che, nell'ipotesi in cui un atto amministrativo illegittimo sia stato piegato alla realizzazione dell'interesse di un terzo, il discrimine tra le due fattispecie risiede nel fatto che il pubblico ufficiale abbia fatto - o meno - proprio l'interesse alieno, attraendolo nella propria sfera, mediante la personalizzazione in se medesimo della prospettiva di utilità; personalizzazione che è appunto idonea ad integrare il delitto di cui all'art. 324 c.p..

Cass., massima sent. n. 11576 del 29.11.1995
In tema di abuso di ufficio finalizzato ad ingiusto vantaggio patrimoniale di soggetti destinatari sull'atto, diversi dall'agente, non occorre che detti soggetti concorrono nel reato proprio, giacché il delitto in questione non si configura come reato plurisoggettivo necessariamente qualificato dalla presenza dell'"extraneus".

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