La capacità giuridica è l'attitudine di un soggetto (persona fisica o persona giuridica) ad essere titolare di diritti e doveri e/o di situazioni giuridiche soggettive. Queste ultime devono intendersi come rapporti giuridici, cioè fatti tipici (cioè previsti da una norma) ai quali la norma stessa che li prevede collega determinati effetti giuridici.
Per le persone fisiche la capacità giuridica si acquista (generalmente) con la nascita e si perde con la morte.
Giurisprudenza sulla capacità giuridica
Cass., massima sent. n. 10741 del 11.05.2009
Il concepito, pur non avendo una piena capacità giuridica, è comunque un soggetto di diritto, perché titolare di molteplici interessi personali riconosciuti dall'ordinamento sia nazionale che sovranazionale, quali il diritto alla vita, alla salute, all'onore, all'identità personale, a nascere sano, diritti, questi, rispetto ai quali l'avverarsi della "condicio iuris" della nascita è condizione imprescindibile per la loro azionabilità in giudizio ai fini risarcitori. Ne consegue che la persona nata con malformazioni congenite, dovute alla colposa somministrazione di farmaci dannosi (nella specie teratogeni), alla propria madre, durante la gestazione, è legittimata a domandare il risarcimento del danno alla salute nei confronti del medico che quei farmaci prescrisse o non sconsigliò.
Cass., massima sent. n. 14488 del 29.07.2004
L'ordinamento positivo tutela il concepito e l'evoluzione della gravidanza esclusivamente verso la nascita, e non anche verso la "non nascita", essendo pertanto (al più) configurabile un "diritto a nascere" e a "nascere sani", suscettibile di essere inteso esclusivamente nella sua positiva accezione: sotto il profilo privatistico della responsabilità contrattuale o extracontrattuale o da "contatto sociale", nel senso che nessuno può procurare al nascituro lesioni o malattie (con comportamento omissivo o commissivo colposo o doloso ); sotto il profilo - latamente pubblicistico, nel senso che debbono venire ad essere predisposti tutti gli istituti normativi e tutte le strutture di tutela cura e assistenza della maternità idonei a garantire (nell'ambito delle umane possibilità) al concepito di nascere sano. Non è invece in capo a quest'ultimo configurabile un "diritto a non nascere" o a "non nascere se non sano", come si desume dal combinato disposto di cui agli artt. 4 e 6 della legge n. 194 del 1978, in base al quale si evince che: a) l'interruzione volontaria della gravidanza è finalizzata solo ad evitare un pericolo per la salute della gestante, serio (entro i primi 90 giorni di gravidanza) o grave (successivamente a tale termine); b)trattasi di un diritto il cui esercizio compete esclusivamente alla madre; c) le eventuali malformazioni o anomalie del feto rilevano esclusivamente nella misura in cui possano cagionare un danno alla salute della gestante, e non già in sé e per sé considerate (con riferimento cioè al nascituro). E come emerge ulteriormente: a) dalla considerazione che il diritto di "non nascere" sarebbe un diritto adespota (in quanto ai sensi dell'art. 1 c.c. la capacità giuridica si acquista solamente al momento della nascita e i diritti che la legge riconosce a favore del concepito - artt. 462, 687, 715 c.c. sono subordinati all'evento della nascita, ma appunto esistenti dopo la nascita), sicché il cosiddetto diritto di "non nascere" non avrebbe alcun titolare appunto fino al momento della nascita, in costanza della quale proprio esso risulterebbe peraltro non esistere più; b) dalla circostanza che ipotizzare un diritto del concepito a "non nascere" significherebbe configurare una posizione giuridica con titolare solamente (ed in via postuma) in caso di sua violazione, in difetto della quale (per cui non si fa nascere il malformato per rispettare il suo "diritto di non nascere") essa risulterebbe pertanto sempre priva di titolare, rimanendone conseguentemente l'esercizio definitivamente precluso. Ne consegue che è pertanto da escludersi la configurabilità e l'ammissibilità nell'ordinamento del c.d. aborto "eugenetico", prescindente dal pericolo derivante dalle malformazioni fetali alla salute della madre, atteso che l'interruzione della gravidanza al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 4 e 6 legge n. 194 del 1978 (accertate nei termini di cui agli artt. 5 ed 8 ), oltre a risultare in ogni caso in contrasto con i principi di solidarietà di cui all'art. 2 Cost. e di indisponibilità del proprio corpo ex art. 5 c.c., costituisce reato anche a carico della stessa gestante (art. 19 legge n. 194 del 1978 ), essendo per converso il diritto del concepito a nascere, pur se con malformazioni o patologie, ad essere propriamente - anche mediante sanzioni penali - tutelato dall'ordinamento. Ne consegue ulteriormente che, verificatasi la nascita, non può dal minore essere fatto valere come proprio danno da inadempimento contrattuale l'essere egli affetto da malformazioni congenite per non essere stata la madre, per difetto d'informazione, messa nella condizione di tutelare il di lei diritto alla salute facendo ricorso all'aborto ovvero di altrimenti avvalersi della peculiare e tipicizzata forma di scriminante dello stato di necessità (assimilabile, quanto alla sua natura, a quella prevista dall'art. 54 c.p. ) prevista dall'art. 4 legge n. 194 del 1978, risultando in tale ipotesi comunque esattamente assolto il dovere di protezione in favore di esso minore, così come configurabile e tutelato (in termini prevalenti rispetto - anche - ad eventuali contrarie clausole contrattuali: art. 1419 c.c., secondo comma) alla stregua della vigente disciplina.
Trib. Monza, massima sent. del 08.05.1998
Il nascituro concepito ha diritto al risarcimento del danno causatogli dall'illecito altrui, atteso che ai fini dell'esistenza di un danno ingiusto non pare necessaria la sussistenza "in actu" di un rapporto intersoggettivo fra danneggiante e danneggiato, ma è sufficiente che l'evento dannoso abbia arrecato pregiudizio ad un centro di interessi giuridicamente tutelato, quale deve ritenersi l'essere umano nella fase intrauterina della sua esistenza, poichè a questi, pur sprovvisto di capacità giuridica, va riconosciuta una legittima aspettativa a nascere che trae fondamento dal disposto degli art. 31 comma 2 e 2 cost.
Trib. Nocera Inferiore, Massima sent. del 07.03.1996
In conformità a quanto disposto con la sentenza n. 372 del 1994 della Corte costituzionale, nel caso di gravi lesioni causate al nascituro durante il parto ad opera degli ostetrici e di conseguente successiva morte, il lasso di tempo (nella specie 23 giorni) intercorrente tra fatto illecito generatore del danno e morte, fa si che al bambino, il quale con la nascita ha acquistato la capacità giuridica ex art. 1 c.c., spetti il diritto al risarcimento del danno biologico a norma dell'art. 2043 c.c.: diritto che si trasmette, iure hereditario, ai prossimi congiunti (nella specie i genitori), ai quali spetta inoltre, iure proprio, il risarcimento del danno morale subito con la morte del congiunto (nella specie il figlio) ex art. 2059 c.c.
Corte d'Appello di Taranto, massima sent. del 12.01.2012
n caso di lesione dell'integrità fisica con esito letale, un danno biologico risarcibile in capo al danneggiato, trasmissibile agli eredi, è configurabile solo se la morte sia intervenuta dopo un apprezzabile lasso di tempo, sì da potersi concretamente configurare un'effettiva compromissione dell'integrità psicofisica del soggetto leso. Il danno non è perciò risarcibile quando la morte sia sopraggiunta immediatamente o comunque a breve distanza dall'evento, giacché essa non costituisce la massima lesione possibile del diritto alla salute, ma lesione di un bene giuridico diverso, e cioè del bene della vita. Parimenti, il danno cosiddetto catastrofale - e cioè la sofferenza patita dalla vittima durante l'agonia - è risarcibile, e può essere fatto valere iure hereditatis, unicamente allorché essa sia stata in condizione di percepire il proprio stato, abbia cioè avuto l'angosciosa consapevolezza della fine imminente, mentre va esclusa quando all'evento lesivo sia conseguito immediatamente il coma ed il danneggiato non sia rimasto lucido nella fase che precede il decesso. Non è infine risarcibile il danno tanatologico, da perdita del diritto alla vita, per l'impossibilita tecnica di configurare l'acquisizione di un diritto risarcitorio derivante dalla lesione di un bene intrinsecamente connesso alla persona del titolare, e da questa fruibile solo in natura: e invero, posto che finché il soggetto è in vita, non vi è lesione del suo diritto alla vita, mentre, sopravvenuto il decesso, il morto, in quanto privo di capacità giuridica, non è in condizione di acquistare alcun diritto, il risarcimento finirebbe per assumere, in casi siffatti, un'anomala funzione punitiva, particolarmente percepibile laddove il risarcimento dovesse essere erogato a eredi diversi dai congiunti o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato.
Cass., massima sent. n. 6754 del 24.03.2011
Non è configurabile il risarcimento del danno tanatologico, inteso come lesione al diritto alla vita, fatto valere iure hereditario, in quanto la capacità giuridica, presupposto per l'acquisto di ogni diritto, viene persa al momento della morte.
T.A.R. Lombardia, massima sent. del 05.05.2010
Gli organi della pubblica amministrazione non sono titolari di una propria capacità giuridica e, in forza del rapporto di immedesimazione organica, gli atti da questi adottati risultano direttamente imputabili all'amministrazione stessa.
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