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La funzione economico-sociale della donazione concorre con la spontaneità dell'attribuzione patrimoniale e, come tale, non è incompatibile con un rapporto di conflittualità - Cass., sent. n. 8018 del 21.05.2012

Dal principio espresso dalla Suprema Corte, discende, dunque, la conseguenza che il rapporto conflittuale tra le parti della donazione, anche se presente alla conclusione del contratto, si comporta comunque come un elemento neutro rispetto all'attribuzione patrimoniale operata per liberalità. Di conseguenza tale conflittualità non può integrare l'ipotesi di cogenza giuridica, nè quella di costrizione morale dell'attribuzione  partrimoniale.

______________


Svolgimento del processo

1. - Con un primo atto di citazione del 25 marzo 1998, A.A. M. evocò in giudizio, innanzi al Tribunale di Palermo, il coniuge separato M.M. per sentir dichiarare la nullità, per asserita mancanza di causa, della donazione reciproca di beni immobili tra loro intercorsa il 5 febbraio 1998, ovvero l'annullamento dello stesso contratto per vizio del consenso, con conseguente divisione dei beni ex art. 194 c.c., e, in ulteriore subordine, per ottenere la condanna del convenuto al pagamento della somma di lire 50 milioni, a titolo di conguaglio non più versato.

Con un secondo atto di citazione del 27 gennaio 1999, la stessa A. convenne ancora il M., dinanzi al medesimo Tribunale, per sentir dichiarare, in subordine al mancato accoglimento delle domande avanzate nel precedente giudizio, la revocazione dell'atto di donazione per ingratitudine del donatario.

Riuniti i giudizi, il Tribunale di Palermo, con sentenza del 23 aprile 2002, accogliendo la domanda di conguaglio e disattendendone ogni altra (tra cui anche quelle proposte in via riconvenzionale dal M., per il risarcimento dei danni, ovvero per la revocazione della donazione per ingratitudine o ancora per la qualificazione della donazione come vendita), condannò il convenuto al pagamento della somma di Euro 25.822,84, oltre interessi legali, e al pagamento delle spese di lite nella misura di un quarto, compensando per il resto.

2. - Il gravame interposto avverso detta pronuncia dalla A. venne respinto dalla Corte d'appello di Palermo, con sentenza resa pubblica il 25 marzo 2006.

In particolare, e per quanto ancora rileva in questa sede, la Corte distrettuale ebbe a disconoscere la correttezza dell'assunto del primo giudice in ordine alla qualificazione, reputata "incontroversa", della stipulazione inter partes in data 5 febbraio 1998 come "donazioni reciproche al fine di procedere allo scioglimento dei beni fra loro in comunione", essendo stato a tal fine utilizzato "lo schema giuridico dell'atto di liberalità reciproco per dar vita ad una divisione consensuale". Ad avviso del giudice d'appello, in quel vincolo era da ravvisarsi una donazione e ciò in ragione della "prevalente funzione di attribuire al M., senza contropartita per l' A., la quasi totalità dei beni familiari, estrinsecandosi, conseguentemente, in un atto di liberalità se non per quella minima parte compensata dalla donazione all' A. medesima della quota del 50% dell'immobile di via (OMISSIS) del valore di gran lunga inferiore alla quota del 50% degli altri immobili donata alla M.". Tuttavia, la Corte territoriale escluse che dalla diversa qualificazione del negozio potesse derivare alcun "effetto pratico" per l'appellante, risultando comunque fondati i rilievi del Tribunale in ordine alla inconsistenza della domanda principale di nullità della donazione per mancanza di causa. Inoltre, tale domanda, seppur riproposta in appello, non era sorretta da "alcuna specifica doglianza riguardo alla pronunzia, sul punto, del Tribunale", che, malgrado la ritenuta sussistenza di un negozio indiretto, aveva in ogni caso esaminato e respinto l'azione di revocazione della donazione per ingratitudine.

Sul punto da ultimo evidenziato, il giudice del gravame confermò, poi, la statuizione di primo grado, avendo rilevato, anzitutto, che - "a parte le espressioni contenute negli scritti difensivi, peraltro non sottoscritti dal M., evidentemente successivi, e quindi conseguenziali, alla proposizione della domanda di revocazione" - gran parte degli episodi indicati dalla A. quale segno di ingratitudine del donatario "sono antecedenti alla stipula dell'atto pubblico in data 4 febbraio 1998, cosi che gli stessi rimangono privi di qualsiasi rilievo non avendo inciso sulla volontà dell'odierna appellante di donare al coniuge parte dei beni familiari". La Corte d'Appello ravvisò, dunque, come unico episodio successivo alla donazione fornito di prova quello collocato nell'aprile del 1998, allorquando il M. ebbe ad ingiuriare la A. per averla sorpresa in compagnia con un altro uomo. Tuttavia, la stessa Corte, dopo aver rilevato che nella specie "non si è presenza di un atto di donazione puro", rimarcò, in ogni caso, che "il detto episodio non appare disvelatore di un sentimento di ingratitudine verso il coniuge donante, bensì ulteriormente di quel clima di estrema conflittualità già esistente tra le parti prima della conclusione del negozio di cui si chiede la revocazione ancora successivamente protrattosi". In definitiva, secondo il giudice del gravame, l'anzidetto episodio ingiurioso sarebbe maturato in un contesto di "rapporti interpersonali estremamente deteriorati indipendenti e irrilevanti rispetto alle volontà manifestate" con la intervenuta donazione, tale da non risultare "idoneo ad integrare gli estremi di una ingratitudine che possa giustificare la revocazione dell'atto medesimo". 3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello la A. ha proposto ricorso, affidando le sorti dell'impugnazione a tre distinti motivi.

Ha resistito, con controricorso, M.M..

Motivi della decisione

1. - Con il primo mezzo, la ricorrente denuncia un vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Tale vizio si anniderebbe, anzitutto, là dove la sentenza impugnata, nel riconoscere l'erroneità delle conclusioni raggiunte dal primo giudice in ordine alla qualificazione del negozio stipulato per atto pubblico il 5 febbraio 1998 - da quest'ultimo ritenuto integrante una divisione consensuale, raggiunta tramite lo schema giuridico dell'atto di liberalità reciproco - ed affermando l'effettiva esistenza di un atto di donazione, sarebbe poi caduta in contraddizione inconciliabile nel reputare che siffatta diversa qualificazione del contratto non incidesse "sulla fondatezza dei rilievi del Tribunale (precisati a pag. 4)" di segno "diametralmente opposto", avendo quest'ultimo non già ritenuto infondata la domanda di nullità della donazione per mancanza di causa, ma ravvisato la sussistenza di una divisione, contrariamente, appunto, a quanto opinato dal giudice di secondo grado.

Inoltre, la Corte distrettuale sarebbe incorsa in ulteriore contraddizione nell'aver dapprima riconosciuto che la domanda principale di nullità della donazione era stata formalmente riproposta in appello e, poi, affermato che mancava una specifica doglianza "riguardo alla pronunzia sul punto del Tribunale";

doglianza che, invece, era presente nella deduzione per cui la ravvisata "esasperata conflittualità" tra coniugi avrebbe dovuto portare all'accoglimento della domanda di nullità ex artt. 1418 e 1325 c.c., "essendo tale conflittualità incompatibile con l'animus demandi".

Infine, sarebbe priva di senso la ragione addotta dalla Corte d'Appello nel rilevare l'assenza di effetto pratico di un eventuale accoglimento dell'anzidetta domanda di nullità, per aver il Tribunale comunque esaminato e respinto la domanda subordinata di revocazione della donazione per ingratitudine.

1.1. - Con il secondo motivo, si denuncia la violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, degli artt. 1418, 1325 e 1421 c.c..

Posto che è indiscusso che la causa della donazione risiede nello spirito di liberalità e che, nella specie, è risultato comprovato che tra i coniugi sussisteva, già prima della conclusione del negozio, un "clima di estrema conflittualità", successivamente protrattosi e sfociato anche "episodi di violenza morale e fisica", il giudice del gravame avrebbe dovuto - ad avviso della ricorrente - dichiarare, anche d'ufficio, la nullità dell'atto pubblico stipulato il 5 febbraio 1998 per la mancanza di causa, "essendo l'esasperata conflittualità e gli episodi di violenza assolutamente incompatibili con l'animus donandi".

Il motivo di ricorso è assistito dal seguente quesito di diritto:

"Se l'esasperata conflittualità tra due coniugi sfociata in episodi di violenza, precedente, durante e successiva alla stipula di un atto di donazione di beni di rilevante valore (cinque appartamenti) comporti la mancanza della causa propria dell'atto di donazione, di cui all'art. 1325 c.c., comma 1, n. 2 in relazione all'art. 1418 c.c., cioè se sia o meno compatibile con l'animus donandi"; se, accertata la mancanza di causa nella stipula di un atto di donazione a causa dell'esasperata conflittualità sfociata in episodi di violenza tra i coniugi stipulanti, la nullità prevista dall'art. 1418 c.c. sia rilevabile d'ufficio ai sensi dell'art. 1421 c.c.". 1.2. - Con il terzo mezzo è ancora denunciato un vizio di motivazione della sentenza, ex art. 360 c.c., comma 1, n. 5.

La ricorrente si duole della palese insufficienza delle ragioni addotte a sostegno del rigetto del motivo di gravame relativo a far valere la revocazione della donazione per ingratitudine del donatario, avendo la Corte distrettuale omesso di esaminare una serie di episodi successivi alla stipula dell'atto di donazione, rappresentati dall'appellato e provati nel corso del giudizio di primo grado. In particolare, l'omissione riguarderebbe: a) l'ordinanza del 17 luglio 1998 con la quale il Tribunale aveva disposto la cancellazione, perchè gravemente offensive e sconvenienti, delle espressioni "di cui alla comparsa di risposta pag. 2 rigo 9 e segg....nonchè pag. 6, rigo 8 e segg."; b) l'esito delle prove testimoniali (testi V. e L.), dalle quali era emerso che il M. apostrofava essa ricorrente con epiteti quali "puttana" e "ancora peggio con riferimento ai rapporti anali", minacciandola di distruggerla economicamente; c) l'episodio del (OMISSIS) - unico preso in considerazione dalla Corte d'appello - allorchè, dopo averla fatta pedinare da una agenzia di investigazioni e raccolta "una moltitudine di amici e parenti", l'aveva sorpresa "in macchina con un amico per poterla svergognare ed offendere"; d) la rivelazione in comparsa di risposta (fasc. n. 693/99), gratuita e senza scopo difensivo, della violenza sessuale subita da essa ricorrente "da ragazzina"; e) la denuncia, in data 11 giugno 1998, di furto a carico di essa A. al solo scopo di recarle offesa; f) il "danno grave arrecato dolosamente al residuo patrimonio" di essa ricorrente, avendole il M., complice il di lui fratello, fatto credere dell'esistenza di un debito comune, in gran parte estinto, al fine di sottrarle l'unico immobile che le era stato lasciato (come documentato dalla produzione nel fasc. n. 693/99).

In definitiva, si tratterebbe di episodi tutti successivi alla stipula della donazione, che, "dato il loro ripetersi nel tempo, rappresentano con certezza il costante sentimento del M. di grave avversione nei confronti della moglie, innumerevoli volte offesa tanto gravemente da ledere profondamente il suo patrimonio morale". Peraltro, soggiunge la ricorrente, delle offese contenute negli scritti difensivi risponde sempre la parte, la quale, come nella specie, ha sottoscritto la procura a margine delle comparse di risposta (doc. n. 3 e 14 fasc. 693/99).

2. - L'esame dei primi due motivi di censura può effettuarsi congiuntamente, vertendo entrambi sullo stesso thema decidendum - che ruota intorno alla asserita insussistenza dell'animus donandi - sebbene occorra muovere dalla dedotta violazione di legge, la cui delibazione è logicamente prioritaria rispetto a quella di vizio motivazionale, giacchè pone in radicale discussione la consistenza stessa della statuizione resa sul punto resa dalla sentenza impugnata.

2.1. - Il motivo è infondato.

La ricorrente, come linearmente evidenziato nel formulato quesito di diritto, si duole del fatto che il giudice del gravame non abbia ritenuto nullo per mancanza di causa la donazione inter partes, posto che l'accertato clima di estrema conflittualità, sfociato anche in episodi di violenza morale e materiale, esistente tra le stesse parti contrattuali si presentava incompatibile con l'animus donandi.

Premesso che la tipizzazione del contratto di donazione (artt. 769 e ss. c.c.) impone una prospettiva di indagine che deve tendere ad una verifica in concreto della sussistenza o meno della causa del contratto intercorso tra l' A. ed il M., occorre a tal fine evidenziare che lo spirito di liberalità che connota, in guisa di requisito genetico del contratto (art. 1325 cod. civ.), l'incremento del patrimonio altrui, con depauperamento del proprio (art. 769 c.c.), va ravvisato, alla stregua dell'insegnamento di questa Corte (Cass. n. 12325 del 1998; Cass. n. 1411 del 1997; Cass. n. 3621 del 1980), nella consapevolezza del donante di attribuire al donatario un vantaggio patrimoniale in assenza di qualsivoglia costrizione, giuridica o morale, secondo un intento pienamente discrezionale.

Dunque, se a realizzare la funzione economico-sociale della donazione concorre la spontaneità dell'attribuzione patrimoniale, questa, come tale, non si pone in relazione di incompatibilità, così da poter essere in concreto elisa, con la circostanza di un esasperato rapporto conflittuale, e finanche violento, esistente tra le parti del vincolo contrattuale, che, seppur presente al momento della conclusione del contratto, si atteggia come elemento fattuale del tutto neutro rispetto alla valenza causale dell'attribuzione patrimoniale operata per liberalità, non integrando nè l'ipotesi di cogenza giuridica, nè quella di costrizione morale dell'anzidetta attribuzione, semmai corroborando proprio l'ipotesi contraria della decisa e netta sussistenza dell'animus donandi, essendosi giunti alla formazione del vincolo nonostante il clima di conflittualità interpersonale in essere.

Del resto, non può confondersi con l'assenza dello spirito di liberalità dell'attribuzione patrimoniale il diverso piano, sebbene anch'esso correlato alla genesi del vincolo negoziale, delle ragioni di annullamento del contratto risiedenti nell'esistenza di vizi della volontà e, tra questi, segnatamente della violenza, rispetto alla quale parrebbe meglio conformarsi, in tesi, la situazione circostanziata dedotta dalla ricorrente. Ambito, quest'ultimo, che, però, non è stato scalfito da alcuna censura in questa sede, sebbene anch'esso sia stato oggetto di cognizione da parte del giudice del gravame, con delibazione negativa rispetto all'interesse coltivato dalla appellante ed odierna ricorrente.

2.2. - Venendo, quindi, all'esame del primo motivo, va osservato che, una volta ritenutasi priva di fondamento la censura imperniata sulla dedotta violazione di legge, la ricorrente difetta di interesse a coltivare la specifica doglianza sulla motivazione, giacchè con essa si tende, al pari del motivo in precedenza scrutinato, a demolire la sentenza impugnata nella statuizione che ha ritenuto sussistente, nel contratto concluso dalle parti, la causa donativa e, segnatamente, l'animus donandi siccome compatibile con la situazione di conflitto interpersonale tra gli stessi contraenti. Pertanto, seppure si ravvisassero le supposte carenze motivazionali, con conseguente accoglimento del motivo, esso non avrebbe alcun effetto utile (si vedano, tra le altre, Cass., sez. 5, 19 luglio 2011, n. 11731; Cass., sez. lav., 19 luglio 2001, n. 9777), essendosi già escluso, in diritto, l'esistenza della nullità della donazione per mancanza di causa nei termini denunciati con il ricorso.

Tale ragione di inammissibilità del motivo è, pertanto, assorbente di ogni altro profilo di indagine.

3. - Anche il terzo motivo di ricorso è inammissibile.

Con esso si denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, un vizio di motivazione della sentenza là dove questa disattende il gravame avverso la reiezione della domanda di revocazione della donazione per ingratitudine del donatario, senza che la censura sia, però, corredata - come imposto, a pena di inammissibilità, dall'art. 366-bis c.p.c. (nella specie applicabile ratione temporis, giacchè la decisione impugnata è stata resa pubblica il 25 marzo 2006, nella vigenza, dunque, della predetta norma, introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, a far data dal 2 marzo 2006, posto che l'abrogazione dello stesso art. 366-bis, da parte della L. 18 giugno 2009, n. 69, non opera retroattivamente, trovando essa applicazione soltanto per i ricorsi proposti avverso provvedimenti pubblicati successivamente al 4 luglio 2009, data di entrata in vigore della medesima legge n. 69; n tal senso, v. anche Cass., sez. 3, 24 marzo 2010, n. 7119) - dal cd. quesito di fatto e cioè di apposito momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che consenta alla Corte di comprendere, in modo immediatamente percepibile, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione (v., tra le altre, Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603 e, più di recente, Cass., sez. 3, 30 dicembre 2009, n. 27680 e Cass., sez. 5, 18 novembre 2011, n. 24255 del 2011).

Del resto, la riscontrata carenza strutturale del motivo non si palesa fine a se stessa, giacchè è sintomo rivelatore dell'obiettivo ultimo della censura, la quale, lungi dall'aggredire le deficienze o le contraddizioni del convincimento raggiunto dal giudice di merito all'esito dell'indagine condotta sul materiale probatorio, tende essenzialmente a sostituire ad esso l'apprezzamento della parte. Ciò conducendo inevitabilmente all'inammissibilità di una doglianza cosi congegnata, posto che - secondo l'orientamento consolidato della giurisprudenza di questa Corte (v., tra le tante, Cass., sez. 1, 30 marzo 2007, n. 7972) - la deduzione del vizio di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 "non consente alla parte di censurare la complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata, contrapponendo alla stessa una sua diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione da parte del giudice di legittimità degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito: le censure poste a fondamento del ricorso non possono pertanto risolversi nella sollecitazione di una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dal giudice di merito, o investire la ricostruzione della fattispecie concreta, o riflettere un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello dato dal giudice di merito".

Sotto tale profilo è da ricondursi, anzitutto, l'addotta insufficiente valutazione degli elementi di prova emergenti dalle comparse di risposta, dall'ordinanza istruttoria del luglio 1998, dalle prove testimoniali, dalla denuncia di furto del giugno 1998, dalla documentazione relativa all'apparente "debito comune" (fonti di prove, queste, indicate, oltretutto, senza fornire la necessaria puntualizzazione dei relativi contenuti rilevanti e decisivi), mancando, però, di porre in discussione le ragioni fornite dalla sentenza impugnata, nel contesto di una valutazione complessiva delle emergenze istruttorie, sulla irrilevanza, ai fini probatori specifici, di quei fatti e di quelle risultanze di causa collocabili temporalmente dopo la proposizione della domanda di revocazione della donazione.

Del pari è da ritenersi, poi, quanto alla pretesa rivalutazione dell'episodio ingiurioso e violento dell'aprile del 1998, sul quale la Corte territoriale, attribuendo ad esso centralità ai fini del proprio convincimento, si è soffermata per escludere, con motivazione priva di vizi logici e giuridici, che un tale fatto potesse integrare, di per sè, gli estremi dell'ingratitudine idonea a determinare la revocazione della donazione, inserendosi invece in contesto "rapporti interpersonali estremamente deteriorati indipendenti e irrilevanti rispetto alle volontà manifestate" con la intervenuta liberalità. Si tratta, del resto, di motivazione che non incontra le asserite aporie, giacchè l'operata delibazione in fatto, di esclusiva pertinenza del giudice del merito, si raccorda pianamente con la fattispecie legale di riferimento (art. 801 c.c.), la quale, come messo in luce dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass., sez. 2, 5 aprile 2005, n. 7033; Cass., sez. 2, 24 giugno 2008, n. 17188 e, più di recente, Cass., sez. 2, 31 marzo 2011, n. 7487), ravvisa nell'ingiuria grave, quale presupposto indispensabile per la revocabilità della donazione per ingratitudine, un comportamento, non isolato, del donatario che sia altamente lesivo del patrimonio morale del donante, cosi da palesare una profonda e radicata avversione di quest'ultimo verso il primo, tale da ripugnare la coscienza collettiva.

4. - Il ricorso va, dunque, rigettato.

In. considerazione delle peculiarità che hanno connotato la vicenda sostanziale versata nella controversia oggetto di cognizione, appare equo disporre la compensazione delle spese di lite del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e compensa integralmente le spese processuali del presente giudizio.