Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Ad esito del dibattimento, svoltosi, sull'accordo delle Parti, con l'acquisizione, in luogo delle prove orali, del verbale di ricezione di querela orale sporta da P.M. ai Carabinieri di Taranto in data 4.11.2010, di quello di integrazione reso in data 11.11.2010, e della querela sporta dal predetto P.M. e da B.S. ai Carabinieri di Taranto in data 12.11.2010, delle CNR dei Carabinieri di Taranto nelle date del 5, 12 e 20 novembre 2010 e della annotazione di servizio dei Carabinieri di Lecce del 17.11.2010 ed, ancora, del verbale di SIT rese da B.S. in data 5.11.2010, le Parti concludevano come in epigrafe riportato.
Dalla lettura del compendio istruttorio è emerso che in data 4.11.2010 la giovane L.B., di sedici anni, invece di recarsi a scuola che regolarmente frequentava, si recava in quel di Lecce unitamente ad un ragazzo che aveva conosciuto qualche giorno prima, di anni diciotto - di etnia montegrina nomade - S.A.; la ragazza comunicava telefonicamente alla madre di non voler fare ritorno a casa e di voler restare con il suo fidanzato.
I genitori della giovane sporgevano il giorno stesso formale denuncia querela, che veniva successivamente integrata da un'altra in data 11.11.2010, relativa alle minacce, telefoniche, che i genitori del giovane avevano effettuato con riferimento alla denuncia sporta. Infatti la madre della ragazza aveva ricevuto due telefonate, la prima da un uomo e la seconda da una donna nella quale minacciavano lei ed il marito di ritirare la denuncia altrimenti avrebbero "preso" anche la loro altra figlia di anni quattordici. L'intestatario del numero di telefono è risultato essere l'imputato S.N. e la di lui moglie V.S. (si cfr. nota dei C.C. di Lecce). Solamente in data 10.11.2012 la ragazza, accompagnata dal giovane fidanzato e dai di lui genitori, faceva rientro a casa, raccontando ai genitori di essere stata sempre consenziente alla "fuga d'amore" ed ai rapporti sessuali che aveva avuto con il giovane.
Ebbene, osserva il giudicante, come integri il delitto di sottrazione consensuale di minorenne l'allontanamento per alcuni giorni all'asserito scopo di effettuare una breve fuga d'amore, di una ragazza di sedici anni dalla casa familiare, in compagnia del proprio fidanzato, se non vi è il consenso dei genitori, atteso che l'elemento soggettivo del delitto di cui all'art. 573 c.p. richieda la consapevolezza di sottrarre il minore contro la volontà dei genitori.
Nel caso che ci occupa la piena consapevolezza di tale contrarietà la si evince chiaramente da tutte le telefonate effettuate: da quella del 4 novembre da parte del giovane e da quella del giorno successivo, contenente la minaccia, da parte dei genitori di quest'ultimo.
D'altra parte la questione circa la legittimità costituzionale della norma è stata più volte affrontata dalla Corte delle leggi, che ha concluso (si cfr. Corte cost. 26 giugno 1975 n. 163) come non sia "fondata - in relazione agli artt. 2, 3 e 13 Cost. - la questione di legittimità costituzionale dell'art. 573 c.p., nella parte in cui consente di punire la sottrazione consensuale di minore commessa a fine di libidine anche nell'ipotesi in cui il minore stesso goda di un ampio margine di libertà per motivi di lavoro, di studio o di svago". Parimenti con sentenza della Corte cost. 6 ottobre 1988 n. 957, si è detto: "È inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 573 c.p. (che punisce la sottrazione consensuale di minorenne) sollevata - con riferimento agli artt. 2, 3, 29 e 30 Cost. qualora il minore manifesti motivata, contraria volontà al mantenimento della querela dopo avere contratto felice matrimonio con il prevenuto del reato de quo, poiché solo con l'intervento del legislatore, improntato a scelta discrezionale solo ad esso competente, possono operarsi nella norma denunciata quelle modificazioni e riformulazioni atte a conciliare l'intervento della volontà di un terzo (il minore), della quale è giusto tenere conto qualora egli sia ormai vicino alla completa maturazione psicofisica, sulla efficacia della querela sporta dai genitori o dal suo legale rappresentante, con giuridica di cui all'art. 573 c.p. (nella specie, il minore era diciassettenne all'epoca dei fatti, e consenziente)".
Con riferimento, poi al delitto di minacce, è a tutti noto che per la sussistenza del reato di cui all'articolo 612 c.p. occorre una minaccia che sia in grado di ledere la libertà psichica e morale del destinatario, libertà che costituisce il bene tutelato dalla figura criminosa in oggetto. Ogni azione o comunque ogni comportamento che sia idoneo ad ingenerare nel soggetto passivo uno stato psichico di timore e che sia finalizzato in tale senso vale ad integrare il reato di minaccia, che non deve necessariamente riguardare la persona destinataria della stessa, ma può essere riferita ad un diverso soggetto legato alla prima da un rapporto di parentela, di lavoro o di particolare amicizia (Cass. pen. sez.V, n. 9902/85) o anche al suo patrimonio. Trattasi di reato di pericolo, per la cui sussistenza non è necessario il verificarsi del male minacciato ed è sufficiente che la persona cui la minaccia è rivolta ne sia comunque venuta a conoscenza, anche a mezzo di interposta persona.
Il secondo comma dell'art. 612 c.p. prevede l'ipotesi aggravata del delitto di minacce: in questo caso la pena è della sola reclusione e si procede d'ufficio.
Dopo l'entrata in vigore del D.Lgs. n. 274 del 2000 che ha attribuito alla competenza dei Giudici di Pace il delitto di minacce semplici, resta invece sempre del Tribunale in composizione monocratica la competenza a conoscere del delitto di minaccia grave.
L'ipotesi aggravata del delitto minacce contempla due ipotesi: la minaccia deve essere effettuata in uno dei modi indicati dall'art. 339 c.p. (minaccia commessa con armi, da persona travisata, da più persone riunite, con scritto anonimo, in modo simbolico, valendosi della forza intimidatrice derivante da associazioni segrete, esistenti o supposte), ovvero deve essere grave. In questa ultima ipotesi la gravità della minaccia deve essere accertata con riferimento all'entità del turbamento psichico causato al soggetto passivo dall'atto intimidatorio, turbamento che si desume sia dall'entità del male minacciato, sia dall'insieme delle circostanze concrete nelle quali la minaccia è fatta e dalle condizioni particolari in cui si trovino l'agente e la persona offesa.
Avuto riguardo ai parametri di cui all'art. 133 c.p., tenuto conto del rilievo dei fatti oggetto di imputazione, fatti unificati per i due genitori, e concessi a tutti le circostanze attenuanto generiche, la pena di cui in dispositivo deve dirsi corretta ed adeguata alle finalità di cui all'art. 27 Cost.. Può essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena a tutti gli imputati ad eccezione di S.N..
P.Q.M.
il Tribunale di Taranto, II sezione penale, in composizione monocratica,
letti gli artt. 533 e ss. c.p.p., dichiara S.A., V.S. e S.N. colpevoli dei delitti loro rispettivamente ascritti e, per l'effetto, ritenuta la sussistenza di circostanze attenuanti generiche per tutti, condanna V.S. e S.N. alla pena di mesi nove di reclusione, unificati i fatti ex art. 81, comma 2, c.p., e S.A. a quella di mesi sei di reclusione, oltre al pagamento, ciascuno per quanto di ragione, delle spese processuali.
Pena sospesa ai soli S.A. e V.S..
Motivazione riservata in giorni 90.
Taranto, lì 5 marzo 2012
Così deciso in Taranto, il 5 marzo 2012.
Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2012.
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