Costituiscono oggetto della comunione:
a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;
b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
c) i proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;
d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.
Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.
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Giurisprudenza sull'art. 177 c.c.
Cass., massima sent. n. 10855 del 05.05.2010
In tema di regime della comunione legale fra i coniugi, la dichiarazione di cui è onerato il coniuge acquirente, ai sensi dell'art. 179, primo comma, lett. f), c.c., al fine di conseguire l'esclusione, dalla comunione, dei beni acquistati con il trasferimento di beni strettamente personali o con il loro scambio, è necessaria solo quando possano sorgere dubbi circa la natura personale del bene impiegato per l'acquisto (ivi compreso il denaro); ne consegue che, in caso di acquisto di un bene mediante l'impiego di altro bene di cui sia certa l'appartenenza esclusiva al coniuge acquirente prima del matrimonio, l'acquisto dovrà ritenersi escluso dalla comunione legale senza che sia necessario rendere la menzionata dichiarazione.
Costituiscono oggetto della comunione cosiddetta "de residuo", ai sensi dell'articolo 177 c.c., lett c), non solo quei redditi per i quali si riesca a dimostrare che sussistano ancora al momento dello scioglimento della comunione ma anche quelli, percetti e percipiendi, rispetto ai quali il coniuge titolare non riesca a dimostrare che siano stati consumati o per il soddisfacimento dei bisogni della famiglia o per investimenti già caduti in comunione.
Nella comunione legale dei beni, ciascun coniuge ha il potere di disporre dei beni stessi, ed il consenso dell'altro (richiesto dal modulo dell'amministrazione congiuntiva adottato dall'art. 180, comma secondo, c.c. per gli atti straordinaria amministrazione) non è un negozio (unilaterale) autorizzativo, nel senso di atto attributivo di un potere, ma è piuttosto un atto che rimuove un limite all'esercizio di un potere; sicché, esso è un requisito di regolarità del procedimento di formazione dell'atto dispositivo, la cui mancanza, ove si tratti di bene immobile o mobile registrato, si traduce in un vizio del negozio (Corte Costituzionale 10 marzo 1988, n. 311). Da tale premessa consegue che l'atto di disposizione del bene in comunione, posto in essere da uno solo dei coniugi, esplica i suoi effetti anche in relazione alla "quota" di comunione spettante al coniuge che sia eventualmente fallito, successivamente al compimento del menzionato atto, senza avere proposto l'azione d'annullamento prevista dal comma secondo dell'art. 184 c.c.; con l'ulteriore conseguenza che è ammissibile l'azione revocatoria fallimentare, quale unico rimedio esperibile dalla curatela per ottenere la declaratoria d'inefficacia dell'atto in relazione alla quota di bene spettante al fallito. All'ammissibilità di tale azione non osta, infatti, la circostanza che il coniuge fallito non abbia partecipato all'atto, in quanto egli, non avendo proposto la menzionata azione d'annullamento, ha assunto, attraverso l'implicita convalida, la posizione di contraente occulto in relazione alla propria quota.
I coniugi che hanno la gestione comune dell'azienda coniugale (ai sensi dell'art. 177, lett. d) c.c.) e svolgano una delle attività rischiose indicate nell'art. 1 del D.P.R. n. 1124 del 1965, anche in campo commerciale, rientrano tra le persone tutelate dall'art. 4, comma 1, n. 7 del medesimo testo unico sempre che l'obbligo assicurativo non sussista per altro titolo del medesimo articolo, alla stregua di un'interpretazione costituzionalmente orientata delle norme antinfortunistiche, secondo cui a parità di esposizione a rischio deve corrispondere parità di tutela assicurativa indipendentemente dalla natura giuridica in base alla quale il lavoro è prestato, e in considerazione dell'autonomia delle definizioni del testo unico e dell'ampiezza della previsione del menzionato n. 7 che impongono di ricomprendervi tutte le tipologie lavorative associative, indipendentemente dalla denominazione civilistica.
In regime di comunione legale fra coniugi, i beni che possono formare oggetto della comunione "de residuo", che si forma ai sensi dell'art. 177, comma primo, lett. b) e c), c.c. all'atto dello scioglimento della comunione stessa sui frutti non consumati dei beni propri e sui proventi della attività separata, possono consistere esclusivamente in beni mobili o in diritti di credito verso terzi, con esclusione, pertanto, degli immobili.
Mentre in caso di separazione personale dei coniugi lo scioglimento della comunione legale di beni si verifica con effetto "ex nunc", solo con il passaggio in giudicato della sentenza di separazione o con l'omologa degli accordi di separazione consensuale - non spiegando alcun effetto al riguardo il provvedimento presidenziale ex art. 708 c.p.c. -, in caso di separazione giudiziale dei beni gli effetti dello scioglimento della comunione retroagiscono invece al giorno in cui è stata proposta la domanda, secondo quanto espressamente prevede il comma quarto dell'art. 193 c.c., il quale, così disponendo, deroga al principio in forza del quale, allorché la pronuncia del giudice ha, come nella specie, valenza costitutiva, gli effetti di tale sentenza non possono prodursi se non dal passaggio in giudicato.
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