Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
Dal matrimonio deriva l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.
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Giurisprudenza sull'art. 143 c.c.
Cass., massima sent. n.12489 del 11.12.1998
In tema di separazione personale dei coniugi, il giudice non può fondare una pronuncia di addebito sulla sola inosservanza dei doveri che l'art. 143 c.c. pone a carico degli stessi, essendo, invece, tenuto a verificare se tale violazione sia stata l'unica causa della separazione, ovvero se preesistesse una situazione d'intollerabilità della convivenza, che non può ritenersi implicita nella volontà di uno dei coniugi di separarsi.
Cass., massima sent. n.7594 del 05-06-2001
La pendenza del giudizio di nullità del matrimonio è assunta dal legislatore come ragione sufficiente a giustificare la pronuncia di separazione temporanea dei coniugi, la quale riveste carattere cautelare ed efficacia interinale e condizionata, essendo destinata a rimanere assorbita dalla declaratoria di nullità del matrimonio, con la definitiva cessazione dell'obbligo di convivenza, ovvero ad essere caducata a causa del rigetto della domanda di nullità, con conseguente ripristino del vincolo in tutti i suoi aspetti, compreso l'obbligo della convivenza, salva la facoltà, in quest'ultima ipotesi, di promuovere l'azione ordinaria di separazione.
Cass., massima sent. n.12124 del 19-08-2003
I danni patrimoniali futuri risarcibili sofferti dal coniuge di persona deceduta a seguito di fatto illecito, ravvisabili nella perdita di quei contributi patrimoniali o di quelle utilità economiche che - sia in relazione ai precetti normativi (artt. 143 e 433 c.c.), che per la pratica di vita improntata a regole etico sociali di solidarietà e di costume il defunto avrebbe presumibilmente apportato - assumono l'aspetto del lucro cessante, ed il relativo risarcimento è collegato ad un sistema presuntivo a più incognite, costituite dal futuro rapporto economico tra i coniugi e dal reddito presumibile del defunto, ed in particolare dalla parte di esso che sarebbe stata destinata al coniuge; la prova del danno è raggiunta quando, alla stregua di una valutazione compiuta sulla scorta dei dati ricavabili dal notorio e dalla comune esperienza, messi in relazione alle circostanze del caso concreto, risulti che il defunto avrebbe destinato una parte del proprio reddito alle necessità del coniuge o avrebbe apportato al medesimo utilità economiche anche senza che ne avesse bisogno. Ne consegue che nel calcolo dei danni patrimoniali futuri risarcibili non rileva che il coniuge diventi titolare di pensione di reversibilità, fondandosi tale attribuzione su un titolo diverso dall'atto illecito e non potendo essa comprendersi tra quei contributi patrimoniali o quelle utilità economiche che il coniuge defunto avrebbe presumibilmente apportato.
Cass., massima sent. n.13747 del 18.09.2003
La reiterata violazione, in assenza di una consolidata separazione di fatto, dell'obbligo della fedeltà coniugale, particolarmente se attuata attraverso una stabile relazione extraconiugale, rappresenta una violazione particolarmente grave dell'obbligo della fedeltà coniugale, che, determinando normalmente l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza, deve ritenersi di regola causa della separazione personale dei coniugi e quindi circostanza sufficiente a giustificare l'addebito della separazione al coniuge che ne è responsabile, sempreché non si constati la mancanza di nesso causale tra infedeltà e crisi coniugale, mediante un accertamento rigoroso e una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, da cui risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.