Icone

                               
Formulario è un servizio gratuito. Aiutaci a mantenere aperta la partecipazione a tutti, semplicemente cliccando "Mi piace". A te non costa nulla, per noi vuol dire molto

Attività professionale qualificabile, o meno, come autonomamente organizzata - IRAP - Cass. sent. n. 8119 del 23.05.2012

Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 59/04/09, depositata l'8.7.09, la Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna rigettava l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Bologna 3 avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dall'ingegnere M.G. avverso il silenzio rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso dell'IRAP, versata per gli anni di imposta 2000-2004. 2. La CTR, invero, riteneva insussistente il requisito dell'autonoma organizzazione, costituente il presupposto per l'applicabilità dell'imposta in questione.

3. Per la cassazione della sentenza n. 59/4/09 ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate, affidato a due motivi. L'intimato non ha svolto attività difensiva.
Motivi della decisione

1. Con il primo e secondo motivo di ricorso - da esaminare congiuntamente, attesa la loro evidente connessione - l'Agenzia delle Entrate deduce la violazione del D.Lgs. n. 449 del 1997, artt. 2 e 3, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3, nonchè l'insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5. 1.1. La CTR avrebbe, invero, ad avviso dell'amministrazione finanziaria, individuato il quid pluris per l'applicazione dell'imposta nel valore aggiunto fornito da un'organizzazione che sia "assimilabile all'organizzazione dei fattori della produzione o dello scambio di beni o di servizi occorrente per esercitare l'attività della impresa".

Tale assunto costituirebbe, peraltro, - secondo la ricorrente - una palese violazione del D.Lgs. n. 449 del 1997, artt. 2 e 3, atteso che il plusvalore apportato all'attività del singolo professionista, suscettibile di accrescere la sua capacità produttiva, non deve necessariamente coincidere con l'organizzazione dei fattori della produzione, necessari all'esercizio di un'attività di impresa.

Diversamente opinandosi, infatti, si verrebbe a ridurre significativamente ed ingiustificatamente la portata applicativa della norma, che finirebbe - di conseguenza - per poter essere applicata alle sole attività imprenditoriali in senso stretto.

1.2. L'impugnata sentenza si paleserebbe, poi, a parere dell'amministrazione ricorrente, del tutto carente sul piano motivazionale.

Ed invero, la CTR non avrebbe affatto tenuto conto degli elementi di carattere documentale forniti dall'Ufficio, e segnatamente dei quadri RE, relativi agli anni di imposta in oggetto, dai quali era possibile desumere con evidenza l'erogazione, da parte del M., di compensi a terzi in modo continuativo e sistematico; elemento, questo, ad avviso dell'Agenzia delle Entrate, certamente sintomatico dell'esistenza di un'organizzazione autonoma imputabile allo stesso contribuente.

2. Le censure sono fondate e vanno accolte.

2.1. Va anzitutto escluso, infatti, che l'organizzazione autonoma costituente il presupposto essenziale per l'applicabilità dell'imposta in discussione debba necessariamente essere quella di impresa, come erroneamente ritenuto dal giudice di appello.

Dall'esame della norma di cui al D.Lgs. n. 447 del 1997, art. 3, si evince, invero, che soggetti passivi dell'IRAP sono, oltre che le società e gli imprenditori individuali, anche i soggetti "esercenti arti e professioni". Per questi ultimi, l'IRAP trova, per vero, applicazione ogni qual volta si avvalgano, nell'esercizio dell'attività di lavoro autonomo, di una struttura organizzata in un complesso di fattori che - per la loro rilevanza, anche sul piano economico - siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività individuale; sì che debba escludersi che il risultato economico conseguito trovi ragione esclusivamente nella capacità gestionale del solo professionista (v. Cass. 30753/11). Ne discende che, per quanto concerne il prestatore d'opera professionale - soggetto giuridico diverso e distinto dall'imprenditore, in quanto a differenza di quest'ultimo non esercita professionalmente un'attività economica (art. 2082 c.c.), ma espleta una attività libero-professionale per la quale è necessaria l'iscrizione in appositi albi o elenchi (art. 2229 c.c. e ss.) - il requisito dell'organizzazione si atteggia in maniera autonoma e differenziata, rispetto all'organizzazione di impresa che connota l'attività dell'imprenditore. Sotto il profilo in esame, dunque, l'impugnata sentenza va certamente censurata.

2.2. Pienamente fondata si palesa, peraltro, anche la doglianza dell'amministrazione relativa all'insufficiente motivazione della decisione di secondo grado, proprio in relazione al fatto controverso e decisivo del giudizio, costituito dallo stabilire se l'attività professionale svolta dal contribuente fosse qualificabile, o meno, come autonomamente organizzata, ai sensi del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3.

Ed invero, come dianzi detto, l'attività libero-professionale - svolta, nella specie, dal M. - in forza delle disposizioni succitate può essere esclusa dall'applicazione dell'IRAP esclusivamente quando si tratti di attività non autonomamente organizzata. Tale organizzazione sussiste quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'"id quod plerumque accidit", il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui. Costituisce, in ogni caso, onere del contribuente, che chieda il rimborso dell'imposta asseritamente non dovuta, dare la prova dell'assenza delle predette condizioni (Cass. S.U. 12111/09, Cass.21122/10, 21123/10, 26161/11).

2.3. Ebbene, nel caso concreto, non risulta in alcun modo, dall'esame della sentenza impugnata, che tale onere della prova sia stato adempiuto dal contribuente, atteso il carattere del tutto apodittico delle affermazioni, circa l'inesistenza di un'organizzazione della quale possa essersi avvalso il M., contenuta nella, più che stringata, motivazione della decisione di appello. Per di più, siffatta motivazione - laddove afferma che l'esame delle dichiarazioni di imposta per gli anni in contestazione escluderebbero la sussistenza di costo organizzativi, e segnatamente di "retribuzioni a collaboratori" - si pone in netto e stridente contrasto con le risultanze dei quadri RE, debitamente trascritte nel ricorso dall'Agenzia delle Entrate. Da tali sezioni del quadro RE - che specificano la composizione dei costi sopportati nell'esercizio dell'attività professionale - si evince, infatti, che il M., negli anni dal 2000 al 2003, ha erogato sistematicamente e continuativamente compensi a terzi per prestazioni afferenti all'esercizio dell'attività professionale.

E tuttavia, siffatte risultanze istruttorie - che evidenziavano uno degli elementi decisivi per il riscontro di un'autonoma organizzazione ascrivibile al professionista, costituito dall'essersi il medesimo avvalso, in modo occasionale, del lavoro altrui (cfr., tra le tante, Cass. S.U. 12108/09, Cass. 26161/11) - sono state del tutto pretermesse e travisate dalla CTR nell'impugnata senza. Per il che, il dedotto vizio motivazionale - a giudizio della Corte - deve ritenersi senz'altro sussistente.

3. L'accoglimento del ricorso proposto dall'Agenzia delle Entrate comporta la cassazione della sentenza impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell'esercizio del potere di decisione nel merito di cui all'art. 384 c.p.c., comma 2, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente.

4. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico del resistente soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei gradi di merito.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione;

accoglie il ricorso; cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente;

condanna il resistente al rimborso delle spese del presente giudizio, che liquida in Euro 1.500,00, oltre alle spese prenotate a debito;

dichiara compensate tra le parti le spese dei giudizi di merito.